BAM Biennale del Piemonte 2020

Informazioni Evento

Luogo
CASA DEL CONTE VERDE
Via Fratelli Piol 8, Rivoli, Italia
Date
Dal al

da martedì a venerdì ore 16.00-19.00, sabato e domenica 10.00-13.00 16.00-19.00 ingresso libero

Vernissage
18/09/2020

ore 18

Curatori
Edoardo Di Mauro
Generi
arte contemporanea, collettiva
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Si apre la nona edizione della BAM Biennale d’Arte Moderna e Contemporanea del Piemonte, con una mostra dal titolo “Anni Zero. Il Decennio Liquido”.

Comunicato stampa

La BAM - Biennale d'Arte Moderna e Contemporanea del Piemonte ha una precisa finalità, in decisa controtendenza rispetto alla “biennalite” caratterizzante la scena artistica contemporanea nell’era della globalizzazione, che è quello di valorizzare l’arte e la creatività piemontese dal secondo dopoguerra ad oggi secondo un percorso che, ad ogni scadenza, si indirizza verso aree diverse di analisi storica e contenutistica.

Dopo “Proposte artistiche in Piemonte 1996/2004” della sperimentale edizione del 2004, e “Arte in Piemonte 1975/1995” tema del 2006 e prima fase di reale consolidamento dell’iniziativa, ed il significativo intermezzo della “BAM on Tour 2007”, nel 2008 abbiamo approntato una manifestazione intitolata “Art Design”, che ha conosciuto un significativo corollario nell’estate 2009 con uno spettacolare allestimento presso il Castello di Racconigi che, unitamente alla presenza ad Artissima, ha sancito il lancio definitivo di una manifestazione nata per pura scommessa intellettuale e tramutatasi in un appuntamento importante nel folto panorama di iniziative artistiche che caratterizza Torino ed il Piemonte. Nel 2010 con “BAM Piemonte Project Grafik” , bissata con “BAM on Tour 2011” per la prima volta a Torino, abbiamo, con successo, privilegiato il rapporto tra l’arte e la grafica pubblicitaria ed industriale, ma anche il fumetto ed il neo pop. La quinta edizione della BAM si è svolta, dopo Verbania per le prime tre edizioni e Carmagnola per la quarta, a Chieri, in sedi prestigiose quali la Biblioteca e l’Imbiancheria del Vajro, ed anche nelle vetrine del centro cittadino, con il titolo “Contemporary Photobox 2012”, con l' obiettivo di cogliere l’evoluzione di una linea stilistica legata all’uso delle tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. La “BAM on Tour 2013”, dedicata alla giovane fotografia piemontese, si è svolta presso l'NH Lingotto Tech. Con la sesta edizione, anticipata rispetto al consueto nel febbraio 2014 sempre presso l'Imbiancheria del Vajro, “BAM Piamonte Project 6 80”, dedicata a quel stimolante e controverso decennio, ed un allestimento coronato da un autentico e pieno successo, riteniamo che la BAM sia entrata definitivamente nell'eccellenza delle rassegne artistiche della nostra regione. Fatto certamente confermato dalla “BAM on Tour 2015”, che, in sintonia con le celebrazioni religiose svoltesi nel 2015 nella nostra regione, ha allestito una mostra in tema presso il Giardino delle Rose del Castello di Moncalieri, dal titolo “Il cuore sacro dell'arte. La dimensione spirituale nell'arte piemontese contemporanea”.
L'edizione 2016, svoltasi nel Foyer delle Fonderie Teatrali Limone. a Moncalieri, ha affrontato un tema affascinante ma non facile per chi è costretto, come noi, a rapportarsi con budget ristretti, il rapporto tra arte e moda. La manifestazione, dal titolo "MODO. La moda dell'arte, l'arte nella moda", ha avuto un esito assolutamente positivo.

L'edizione 2017 della BAM on Tour, si è inoltrata, aggiornandolo nei contenuti, in un tema già sviluppato con successo nel biennio 2008/2009, quello del legame tra arte e design, ottenendo un grande successo di pubblico e di critica.
Titolo "Contemporary Artdesign". Luoghi divisi tra Moncalieri, Fonderie Teatrali Limone, e Torino, con due importanti spazi privati come la galleria Panta Rei, e Interni Bonetti.

L'ottava edizione della Biennale, per la prima volta nell'area metropolitana nord di Torino, presso gli ampi e bene attrezzati locali espositivi della Casa del Conte Verde in via Fratelli Piol 8 a Rivoli, ha affrontato un periodo controverso come gli anni Novanta con il titolo "Anni Novanta : il decennio delle illusioni".

La BAM On Tour 2019 è tornata presso le Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri sviluppando un tema estremamente attuale con una mostra dal titolo "Today Arte ed Ambiente"

Per la nona edizione della Biennale torniamo presso la Casa del Conte Verde andando a verificare quanto accaduto nel primo decennio del nuovo millennio, gli Anni Zero.

Nella precedente "Anni Novanta : il decennio delle illusioni" il curatore Edoardo Di Mauro, insieme al Direttore Artistico Riccardo Ghirardini, ha impostato una visione il più possibile esaustiva di quel periodo, da un punto di vista artistico, sottolineando, con costruttiva vis polemica, come quelli siano stati anni di qualità ed innovazione nella ricerca, ma di pari come queste doti siano state interdette, almeno temporaneamente, dai limiti di un sistema che implodeva su se stesso, generando negative conseguenze che viviamo a tutt'oggi, incapace di organizzare un coerente rinnovamento generazionale, dopo i fasti meritati di Arte Povera e Transavanguardia, adeguandosi ad uno status quo fatto di epigonismo e di passiva adesione ai canoni di una globalizzazione culturale che allora iniziava a manifestarsi, al contrario di quanto seppero fare altri paesi come Stati Uniti e Regno Unito.

La fase successiva, che analizziamo con il titolo "Anni Zero : la dimensione liquida", eredita dagli anni Novanta, oltre al persistente eclettismo stilistico iniziato già a metà degli Ottanta, la centralità del progresso tecnologico, ora finalmente concreto, e non in divenire come in precedenza, nei termini di una reale diffusione del web e della simultaneità comunicativa.
Questo permette, in ambito italiano, la cessazione di quei perniciosi fenomeni di censura tramite cui un certo sistema riuscì ad interdire tutta una serie di operatori artistici e critici negandogli la visibilità, quindi l'esistenza mediatica, e garantisce una maggiore pluralismo e divulgazione di fenomeni in atto, od accaduti nel passato recente.

Questa accelerazione tecnologica porta ad una socialità "liquida", per mediare un noto termine del sociologo Zygmunt Bauman, probabilmente abusato come capita alle intuizioni azzeccate, in cui la dimensione comunitaria ed il concetto moderno di stato si disgregano sullo sfondo della globalizzazione, e l'unica certezza è data da una condizione di continuo apparente cambiamento dove prevale l'individualismo e, per dirla con l'autore, l'incertezza è l'unica certezza.
Anche dal punto di vista artistico si vive in una dimensione di eterno presente in cui l'unica concreta possibilità è data dalla maggiore facilità di rilettura di quanto in passato non è stato pienamente compreso, ma dove appare arduo guardare al futuro, per costruire un autentico rinnovamento.
Dopo l’11 settembre, evento che ha squarciato il velo tra reale e virtuale, il termine post moderno perde in parte d’attualità e si inizia a parlare di neo contemporaneità; della necessità, ad oggi non concretizzata, di passare dalla condizione liquida dell’eterno presente ad una dimensione di progettualità futura e ad una riscoperta dell’etica, esigenze che la scarsa tollerabilità di un mercato basato sulla finanza speculativa potrebbe accelerare. Lo scenario si manifesta come ormai del tutto globalizzato; si moltiplicano eventi, fiere e biennali, Cina, Russia ed India entrano in forze nel sistema, la bolla speculativa ed il denaro facile in possesso degli oligarchi internazionali conducono a valutazioni assolutamente impensabili in precedenza.
Da un punto di vista stilistico nel decennio d’esordio del nuovo millennio si intravede la possibilità di una “terza via” al di là di una improbabile volontà di restaurazione di una classicità statica o di un totale annullamento dell’arte nel reale e nella comunicazione : un atteggiamento che, pur partecipando alle vicende del quotidiano, interviene su di esse per gettarvi verità, resistendo al conformismo ed alla massificazione dell’opera per restituire all’arte grandezza progettuale e dignità estetica.

Lo scenario del Piemonte, in particolare di Torino, segna, dopo i Novanta "decennio delle illusioni", una sorta di consolidamento del sistema, anche nella convinzione che le scelte imposte negli anni precedenti sullo sfondo di quanto avveniva nel resto d'Italia, hanno determinato, piaccia o meno, un equilibrio difficile da scalfire in tempi brevi pena cadere nel velleitarismo.
Quindi, anche i molti operatori in disaccordo approfittano del mutato clima frutto dell'allargamento delle possibilità comunicative e divulgative, per costruirsi i propri spazi di manovra.
Torino si caratterizza per un'ampia offerta di proposte, istituzionali ed alternative, migliora la sua immagine con una riqualificazione soprattutto degli edifici del centro e , grazie alla pubblicità fornita dalle Olimpiadi Invernali del 2006, si fregia del titolo, un po' enfatizzato ma in quegli anni giustificato soprattutto dalla crisi di proposta di molti altri centri italiani, che nei successivi anni Dieci recupereranno terreno, di "capitale dell'arte contemporanea".
Le vicende del decennio saranno divulgate con ampiezza di particolari dal curatore Edoardo Di Mauro nel saggio in catalogo.

Artisti invitati :

Angelo Barile, Pierluigi Fresia, Sophie Anne Herin, Ernesto Morales, Octavio Floreal, Cinzia Ceccarelli, Massimo Spada, Cornelia Badelita, The Bounty Kill Art, Guido Bagini, Silvia Fubini, Roberta Toscano, Daniele D'Antonio, Gianni Gianasso, Max Petrone, Domenico Piccolo, Walter Vallini, Tea Giobbio, Riccardo Ghirardini, Carlo Gloria, Luciano Gaglio, Matteo Ceccarelli, Diego Pomarico, Carlo Galfione, Alberto Castelli, Antonio Mascia, Maria Bruno Sisterflash, Miki Wubik, Bostik, Gianluca Nibbi, Roberta Fanti, Chen Li, Laura Valle, Carlo D'Oria, Diego Scroppo, Sarah Bowyer, Francesca Sibona, Francesca Renolfi,Claudio Cravero, Alessandro Fabbris, Dario Colombo, Stefania Di Marco.

Premessa generale

Per parlare degli ultimi trentacinque circa di arte italiana non si può non partire da un inequivocabile, quasi scontato, dato di fatto, cioè che gli ultimi due movimenti innalzatisi ad un riconoscimento internazionale, sono stati l’Arte Povera e la Transavanguardia, con percorsi diversi si sono ad un certo punto intrecciati in una sorta di reciproco riconoscimento, da cui non era difficile prevedere l’ attuazione in una sottile logica di esclusione di quanto sta al di fuori di quel recinto.
La fascia generazionale maggiormente penalizzata da questo stato di cose, che trova solo parziale motivazione nell’indubbia forza espressiva dei movimenti prima citati, è stata quella, di non indifferente qualità, emersa subito dopo la Transavanguardia, tra la metà degli anni ’80 ed i primi anni ’90, periodo nel quale è, tra l’altro, avvenuta la mia formazione critica e da me ben conosciuto, che ho dettagliatamente analizzato nella primavera 1997 con la mostra ed il libro intitolati “Va’pensiero. Arte Italiana 1984/1996”.
Il fatto di avere sostanzialmente “saltato” una generazione sta all’origine, a mio modo di vedere, della sostanziale irrisolutezza dell’arte italiana lungo tutto il corso degli anni ’90.
Gli autori del decennio precedente si sono giocoforza “riciclati” in quello successivo, facendo saltare qualsiasi paletto divisorio in merito ad un plausibile concetto di “giovane artista”, per di più all’interno di una scena sempre più affollata e confusa, in parte per una occulta volontà ma anche per motivazioni pertinenti l’evoluzione della società post industriale nel suo complesso.
Come è noto, dopo il 1975 la situazione muta radicalmente di segno. A seguito soprattutto del rigido rigore del concettuale di matrice analitica e tautologica, dove si manifestava una evidente prevalenza dei significanti sui significati e l’assenza di una dialettica con l’esterno, con l’opera proposta al grado zero, nella sua nudità formale e compositiva, e l’assoluto divieto, sancito dai severi sacerdoti del dogma, dell’introduzione di sia pur minime componenti manuali e decorative, si verificò un’implosione di quello stile, e la lenta ed inesorabile deriva verso altri territori, in sintonia con la costante ciclicità degli eventi artistici. Tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 prende corpo ed evidenza la svolta post concettuale dell’arte, con l’esplodere di movimenti radunati attorno alle parole d’ordine del ritorno alla pittura, di matrice visceralmente neoespressionista od infarcita di valori simbolici e decorativi e, in generale, del ripristino di una manualità dal sapore antico, nell’accezione etimologica originaria della “technè”. Il moto spiraliforme dell’arte inverte la sua traiettoria e intraprende un cammino a ritroso nel tempo, nel territorio densamente popolato della memoria, cimentandosi in un’operazione di citazione dei modi e delle maniere del passato, recente e talvolta remoto, per poi riproporsi al presente ricontestualizzato all’interno delle inquietudini della contemporaneità.
Tra la metà degli anni ’80 ed i primi anni ’90 viene alla luce una generazione artistica di grande interesse impegnata in una ridefinizione dei generi e degli stili e in un rapporto di confronto serrato con la nuova società post moderna della tecnologia e dello spettacolo. Queste caratteristiche sfociano nel decennio successivo in un clima di generalizzato eclettismo stilistico, con punte di attenzione verso la rivisitazione dei linguaggi concettuali e pop ed un’apertura significativa nei confronti dell’uso della fotografia e delle tecnologie video e digitali.
Gli anni ’90, come già citato prima, segnano l’ingresso del sistema artistico italiano in una fase di crisi e di de-valorizzazione nei confronti dello scenario internazionale, all’interno del quale iniziano a fare capolino i paesi emergenti del continente asiatico.
Vengono privilegiati, da parte dei più forti soggetti della scena dal punto di vista critico, economico, istituzionale ed editoriale, artisti che si conformano ai canoni di un neo concettuale epigono ed irrilevante dal punto di vista linguistico o, all’opposto, pittori poco originali che si limitano a rimasticare gli stereotipi degli anni ’80. Per gli altri artisti, critici e gallerie che non si omologano a queste imposizioni scatta un fitto muro di silenzio ed un sottile boicottaggio. Nel decennio successivo e tuttora in corso mutano alcuni dati.
Dopo l’11 settembre, evento che ha squarciato il velo tra reale e virtuale, il termine post moderno perde in parte d’attualità e si inizia a parlare di neo contemporaneità; della necessità, ad oggi non concretizzata, di passare dalla condizione liquida dell’eterno presente ad una dimensione di progettualità futura e ad una riscoperta dell’etica, esigenze che l’attuale crollo del mercato basato sulla finanza speculativa potrebbe accelerare.
Lo scenario si manifesta come ormai del tutto globalizzato; si moltiplicano eventi, fiere e biennali, Cina ed India entrano in forze nel sistema, la bolla speculativa ed il denaro facile in possesso degli oligarchi internazionali conducono a valutazioni assolutamente impensabili anche solo dieci anni fa.
Tuttavia il moltiplicarsi delle possibilità e la pervasività della comunicazione tramite internet conducono anche ad effetti positivi. Non è più praticabile alcuna censura ed aumenta la frequenza espositiva delle opere, quindi si manifesta una condizione maggiormente pluralista. Questo anche se i vari microsistemi di cui è composto il panorama italiano continuano a guardarsi con diffidenza non trovando il coraggio di interagire. Non è più praticabile alcuna censura quanto meno in termini di oscuramento delle notizie ed aumenta il livello di esponibilità, quindi si determina una condizione maggiormente pluralista.
Questa la novità maggiore degli anni Zero : la possibilità di accedere ad una maggiore visibilità e ad un numero di informazioni illimitato inizia a favorire la rilettura di stagioni della contemporaneità sommerse, mentre da un punto di vista stilistico, l'eclettismo imperante da metà degli Ottanta continua ad essere vigente, ora ed allora.
Si manifesta inoltre una estetizzazione diffusa della società che è stata efficacemente stigmatizzata dal filosofo francese Yves Michaud con il suo saggio “L’arte allo stato gassoso”, dove si evidenzia come il mondo è ormai straordinariamente bello ed alle opere d’arte si sono sostituite le esperienze, con l’effetto artistico a prevalere sul tradizionale oggetto. Il tutto all’interno di una società “liquida”, come da definizione del sociologo Bauman, dove si vive un eterno presente contraddistinto per paradosso da una mobilità in cui il cambiamento non è più un passaggio ma lo strumento stesso dell’esistere.

La scena torinese e regionale negli Anni Zero

Con "Anni Zero : il decennio liquido" giungiamo al terzo appuntamento di una narrazione sincronica sugli ultimi vent'anni di arte contemporanea torinese e piemontese, dopo l'edizione 2014 dedicata agli anni Ottanta e quella 2018 al decennio successivo.
Ultimo capitolo sarà quello dedicato agli anni Dieci, per il decennio successivo vedremo, in proiezione ampia, quale sarà il destino futuro della BAM ma nulla esclude, dato il crescente successo della nostra manifestazione e la tenacia di noi organizzatori, di trattarlo in futuro.
Il riferimento immediato è naturalmente a quei Novanta da me definiti, con una espressione che ha riscontrato un certo consenso, "il decennio delle illusioni".
La continuità non è solo l'ovvia prosecuzione della cronologia , ma è individuabile soprattutto nel fatto che, in termini generali che vanno oltre la situazione piemontese, gli Anni Zero ricalcano stilisticamente i Novanta per la costante presenza dell'eclettismo stilistico e poche differenze nel rispecchiamento tra arte e dimensione sociale.
Infatti valgono appieno, per definire l'arte del 2000, le considerazioni generali che feci in una delle mie mostre meglio riuscite, allestita nel 2002 in varie sedi a Parma, "Una Babele post moderna : realtà ed allegoria nell'arte italiana degli anni Novanta", dove il riferimento era diretto principalmente alla seconda metà di quel decennio, in cui si erano attenuate le conseguenze della infatuazione neo concettuale dei primi anni, " Vi è stata una accentuazione nella proposta di operazioni basate sulla formulazione di istanze analitiche ed oggettuali, nonché nell’uso della fotografia e del video, così come una forte presenza di arte al femminile ma non solo questo, ad onta di interpretazioni affrettate e superficiali. Infatti non è mancata una vena, soprattutto in pittura che, pur non rinnegando aprioristicamente questo abbraccio con il reale, se ne è discostata da un punto di vista iconografico, in direzione di una dimensione narrativa simbolica attenta ai valori di una ritrovata manualità, fenomeno peraltro riscontrabile anche in altri siti espressivi, non esclusi quelli impegnati in un uso prevalente delle nuove tecnologie e della pittura digitale. Dalla somma di queste considerazioni scaturisce il titolo della mostra, dove si riassume da un lato la frenesia creativa di questo decennio, dall’altro se ne delimitano i confini, per l’appunto in bilico tra realtà ed allegoria, tra un arte che aderisce il più possibile al reale adoperando le recenti “protesi” tecnologiche di cui l’uomo si è provvisto o, all’opposto, cerca di dialogare con la contemporaneità difendendosi con un distacco vissuto come rifugio nella magia del simbolo, senza contare i frequenti casi in cui queste tendenze convivono all’interno della medesima opera"
Una differenza sostanziale sta nella digitalizzazione di massa della società, dal 2000 anche in Italia inizia una diffusione crescente del web.
Questo determina una rivoluzione nel modo di comunicare, che cresce e si espande esponenzialmente fino ai giorni nostri.
Naturalmente, come per tutti i macro fenomeni, ci sono i pro ed i contro.
La grande massa di comunicazioni va attentamente valutata, ai giorni nostri si vive il disagio per le informazioni taroccate, le cosiddette fake news, quasi tutte però facilmente decodificabili adoperando il buon senso e disponendo di un buon livello di istruzione.
Gli effetti per la scena dell'arte contemporanea sono stati indubbiamente positivi.
Gli artisti hanno iniziato a promuoversi direttamente in rete e poi sui social, abbattendo i costi delle spedizioni di costosi portfolio fotografici, critici e galleristi dal canto loro possono ora disporre rapidamente di immagini e documentazione bibliografica.
Ma è soprattutto dal punto di vista dell'informazione che le cose sono cambiate.
Negli anni Novanta le riviste d'arte, Flash Art in primo luogo, hanno esercitato uno strapotere che andò oltre la legittima libertà di informazione non criticando, come sarebbe legittimo, ma omettendo e censurando tutta una serie di realtà espositive, critiche ed artistiche non in linea con quella parte di sistema che intendevano supportare.
Riportando un brano della BAM 90 " Una considerazione a parte va fatta per la comunicazione.
Gli anni Novanta sembrano molto vicini, in realtà, da questo punto di vista, distano anni luce dalla situazione attuale. Si può dire tutto il male possibile del web e dei social network ma un fatto è indubitabile. Tramite la comunicazione telematica nessun evento può essere omesso o censurato e, nel caso di critiche malevole e pregiudiziali, esiste la possibilità della contro informazione.
Gli anni Novanta furono quelli dello strapotere della rivista Flash Art e del suo editore Giancarlo Politi, a cui va dato comunque il merito di essere stato pioniere, fin dalla fine degli anni Sessanta, dell'editoria d'arte in Italia.
Per motivi suoi, relativamente alla scena italiana, Politi fece da cassa di risonanza delle esigenze di un sistema che richiedeva la censura di tutta una serie di esperienze, tra cui anche quella di cui fui protagonista alla Galleria d'Arte Moderna, di cui solo il Giornale dell'Arte fornì ampia divulgazione.
Deficitaria anche la stampa locale, con rare eccezioni, tra cui va citata l'obiettività del giornalista e critico Angelo Mistrangelo.
Le cose cambieranno dopo il 2000 e l'avvento di riviste web ideate da giovani lungimiranti, come Exibart di Massimiliano Tonelli, Marco Enrico Giacomelli ed altri, fondata nel 1998 e poi diventata dal 2011 Artribune, in grado di fornire un'informazione approfondita e pluralista, darà un colpo decisivo all'informazione cartacea."
Venendo allo specifico della situazione piemontese, il cui epicentro è naturalmente ed inevitabilmente Torino, il primo dato che balza agli occhi è che questo è il decennio in cui si afferma la nomea di Torino come "capitale dell'arte contemporanea".
Da dove nasce tutto ciò?
La riqualificazione urbanistica ed architettonica di Torino, insieme a quella artistico -culturale, peraltro già iniziata negli anni Ottanta, andò avanti negli anni Novanta, il fermento generale e la qualità degli artisti era notevole, tuttavia la visionarietà progettuale dei primi due anni (1993-1995) della Giunta Castellani, dove sollecitai, venendo inizialmente ascoltato, la ripresa di un intervento pubblico sull'arte contemporanea, venne ingabbiata nelle secche di quello che viene definito, ancora ai nostri giorni, il Sistema Torino, che determinò la creazione di un asse di ferro Castello di Rivoli/ Fondazione Sandretto, con l'esclusione di tutto quanto ruotava fuori da quell'orbita.
Nella mia esperienze triennale, dal 1994 al 1997, di Condirettore Artistico, insieme a Rossana Bossaglia ed Angelo Bucarelli, della Galleria d'Arte Moderna e dei Musei Civici torinesi, senza il minimo supporto dalla scena artistica cittadina, salvo rare eccezioni, oltre a contribuire alla realizzazione di mostre importanti e all'invenzione dell'Abbonamento Musei, lanciai l'idea, accettata a fatica, di creare, attorno alla neonata fiera Artissima, un "autunno caldo" dell'arte contemporanea a Torino, che partii in quel periodo, e venne potenziato in seguito, soprattutto da Fiorenzo Alfieri con le "Luci d'Artista" ed altre iniziative, fino a diventare "Contemporary Arts Torino Piemonte".
A questa iniziativa si deve il mito, nato negli anni Zero, di Torino "Capitale dell' Arte Contemporanea".
Ad un entusiasmo eccessivo attorno a questa nomea, molte erano le contraddizioni poi inevitabilmente esplose con la diminuzione delle risorse, ha fatto seguito, in tempi recenti, una depressione altrettanto eccessiva, tipica della ciclotimia subalpina.
L'altro macro evento, non artistico ma inevitabilmente destinato a proiettarsi, nell'immaginario più che nel concreto, su tutti gli aspetti della vita piemontese fu lo svolgimento delle Olimpiadi Invernali nel febbraio 2006, coincidente con un altro episodio da decenni atteso, l'inaugurazione della prima di linea di Metropolitana.
Le Olimpiadi vennero assegnate a Torino nel 1999, in una fase di ripresa della seconda Amministrazione Castellani, dopo una lunga quiescenza seguita alla propulsività del biennio 1993/1995.
Infatti, tra l'altro, Fiorenzo Alfieri, all'epoca Assessore al Commercio, inventò, nel 1998, le "Luci d'Artista", facendo inserire da artisti di varie generazioni coefficienti di creatività nelle tradizionali luminarie natalizie.
Nel 1999, su proposta del Vice Sindaco Domenico Carpanini, precocemente scomparso nel 2001 durante la campagna elettorale, venne dato alla luce il progetto "Murarte", pionieristica iniziativa tesa ad incanalare in una dimensione di costruttiva creatività la carica vitale dei giovani writers.
Le Olimpiadi, secondo l'analisi già fatta nel precedente testo furono " un evento simbolico del graduale passaggio della città da luogo di industria manifatturiera a centro caratterizzato da vocazioni maggiormente legate alla dimensione immateriale della tecnologia, del turismo e della cultura.
Non a caso il vero artefice di quella assegnazione, fermo restando il ruolo di ambasciatori colti e conoscitori delle lingue, ricoperto dalla staff del Sindaco Castellani, fu l'Avvocato Agnelli.
Le Olimpiadi rappresentano una sorta di lascito alla città dopo una lunga e controversa storia, in cui, secondo me, le luci sono comunque eguali alle ombre, un viatico per intraprendere un nuovo cammino nel quale, tra speranze e contraddizioni, Torino si è inserita".
Una cosa è certa, gli anni Zero segnarono una crescente proliferazione degli eventi, sia quelli di "prima fascia" che le operazioni controtendenza, ed un visitatore proveniente da fuori certo a Torino non si annoiava.
Indubbiamente Torino ed il Piemonte in quel periodo dimostrano una attenzione evidente alla promozione di arte e cultura, superiore a quella di altre città, e l'evento olimpico viene adoperato, insieme a progetti come le "Luci d'artista" per promuovere l'immagine cittadina a livello internazionale, con risultati interessanti, testimoniati dal crescente afflusso turistico, fenomeno a tutt'oggi persistente.
I problemi principali, che si mostreranno nella loro evidenza dopo la crisi economica globale del 2008, che naturalmente non risparmia la nostra regione, sono di natura strutturale.
Molte realtà culturali promosse da imprenditori privati, caso unico in Italia, non vengono supportate con agevolazioni fiscali e contributi per la promozione, ma finanziate con cospicue erogazioni di denaro pubblico. Questo determinerà un forte calo del sostegno economico alle realtà del privato sociale, dopo il 2008 sostenute, con contributi non ingenti ma diffusi e comunque preziosi per mantenere un livello necessario di pluralismo culturale, quasi unicamente dalla Regione Piemonte e dalle Fondazioni Bancarie cittadine, con il Comune che si farà sempre più latitante.
In aggiunta la mancata realizzazione di nuovi contenitori culturali pubblici, soprattutto per l'arte, il mancato ampliamento per la GAM, la necessità per la Regione di spendere per l'affitto di sedi per la realizzazione di mostre ed eventi, stanno alla base di tutte le problematiche in seguito emerse.
Da un punto di vista politico, Torino è amministrata, dal 2001 al 2011, in maniera senza dubbio positiva, specie se si fa un paragone con esperienze precedenti e successive, da Sergio Chiamparino, con Fiorenzo Alfieri Assessore alla Cultura.
In Regione Piemonte si alternano dal 2000 al 2005 la seconda Giunta presieduta da Enzo Ghigo a cui succede, dal 2005 al 2010 Mercedes Bresso.
Come Assessori alla Cultura abbiamo dapprima Giampiero Leo, figura storica per la promozione della cultura piemontese, poi lo storico Gianni Oliva.
Venendo ora ad un trattazione più specifica sui principali accadimenti del decennio, mi pare d'obbligo partire dall'evoluzione di una manifestazione controversa, ma centrale per comprendere l'evoluzione degli eventi come "Artissima".
La fiera manterrà, e mantiene tutt'oggi un ruolo centrale nelle manifestazioni dell'autunno artistico, in particolare in quella prima settimana di novembre che, nel corso degli anni, si è esponenzialmente riempita di eventi al punto da risultare impossibile da frequentare in toto.
Artissima fallì alla fine degli anni '90, credo nel 1999, ed il fatto anomalo fu che, invece di concedere una nuova chance all'imprenditore Roberto Casiraghi, inventore del format dal 1994, o vagliare altre proposte, si era fatta avanti l'Associazione delle Gallerie di Arte Moderna e Contemporanea, gli enti pubblici pensarono bene di salvarla tramite una massiccia immissione di risorse.
Nel 2001 cambia la sede, da Palazzo Nervi a Torino Esposizioni, ed inizia una crescita esponenziale del numero di gallerie, soprattutto di quelle estere, nel 2003 furono 185 provenienti da 21 paesi.
Opinione comune, anche se sempre sussurrata sottovoce, che condivido avendo seguito in presa diretta, ai tempi della mia esperienza alla GAM, la nascita ed i primi anni della Fiera, è che la maggior parte delle gallerie straniere non paghino il canone di affitto spazi, per fornire all'evento un appeal internazionale.
Nel 2004 il passo finale di questa mutazione. Dal comunicato stampa dell'organizzazione : "E, last but not least, Artissima diviene una fiera pubblica, unico esempio nel panorama fieristico nazionale. Dopo dieci edizioni gestite privatamente, il marchio della fiera passa infatti agli Enti Locali e la gestione viene affidata a Fondazione Torino Musei."
Io continuo a ritenere anomala questa procedura, tuttavia mi rendo conto che, o si cambiava registro nel 1999 od era difficile farlo dopo.
Senza ombra di dubbio, al di là del caos di proposte attuale, l'autunno dell'arte è stato ed è un ottimo volano promozionale per Torino anche per le ricadute sul tessuto commerciale della città, ed Artissima, come peraltro fui proprio io ad intuire in origine, è un tassello insostituibile attorno a cui ruotano gli altri eventi. Si poteva fare diversamente ma è andata così e non si tratta certo dell'unico esempio, a Torino, di imprenditoria privata finanziata con denaro pubblico.
Intanto il sistema artistico manifesta l'evidente desiderio di stabilire un controllo più serrato sulle scelte artistiche della Fiera, ed inizia l'abitudine, per allora inedita, di nominare un curatore, per lo più appartenente all'ultima generazione dei trenta -quarantenni, quella più ligia alle direttive perche formatasi all'interno di quel mondo.
Non ho mai condiviso la scelta di nominare un curatore critico per una Fiera, che dovrebbe essere un evento basato in primo luogo sulla dimensione imprenditoriale, quindi diretta da un manager con competenze culturali.
Oltretutto un'idea che forse poteva rivelarsi idonea alla piega che aveva preso Artissima, si è rivelata nefasta applicata altrove. In particolare per quanto riguarda l'Arte Fiera di Bologna, la principale e più credibile kermesse fieristica italiana, specie per il fondamentale dato di essere un indicatore della situazione reale e non fittizia del mercato dell'arte, dove l'instaurarsi di questa abitudine e del tentativo di assomigliare ad Artissima, le ha fatto perdere nel corso degli anni non pochi colpi.
Dal comunicato stampa di Artissima "Il 16 febbraio 2007, viene pubblicamente annunciato il nuovo direttore di Artissima: il curatore Andrea Bellini. Artissima è la prima fiera a nominare un direttore con un background curatoriale."
Andrea Bellini, allora trentacinquenne, dal 2004 al 2007, diresse l'ufficio newyorchese di Flash Art, esperienza che lo accomuna a due curatori come Francesco Bonami e Massimiliano Gioni.
La direzione di Artissima lo coglie in realtà di sorpresa. Curerà la fiera fino al 2009.
Persona garbata ed ironica, ma all'epoca ancora abbastanza inesperta, sfrutterà l'esperienza accumulata per la successiva condirezione, insieme a Beatrice Merz, del Castello di Rivoli dal 2009 al 2012, data in cui passerà a dirigere, fino ad oggi, il Centro d'Arte Contemporanea di Ginevra.
Ancora da un comunicato stampa : "Tre grandi novità caratterizzano il 2010: viene nominato direttore Francesco Manacorda; la nuova spettacolare sede della fiera è l’Oval e nasce Back to the Future", sezione inedita della Fiera volta a riscoprire maestri del passato."
Le edizioni degli anni Zero, a parere presso che unanime, si sono caratterizzate per una omogeneità di proposte quasi tutte relative a fotografia, video ed installazione neo concettuale, secondo il ligio dettato della globalizzazione artistica.
A partire dalla direzione di Manacorda, anch'egli trentacinquenne in precedenza direttore della Barbican Art Gallery di Londra e curatore della rassegna "Il Subcontinente indiano nell'arte contemporanea" presso la Fondazione Sandretto, comincia provvidenzialmente negli stessi organizzatori a prendere piede la consapevolezza di come ormai Artissima si sia ormai da anni tramutata in un evento con le fattezze esteriori di una Fiera, e che quindi sia opportuno costellarla di iniziative che diano un senso alla cosa.
Con "Back to the future" inizia prendere piede una versione maggiormente pluralista, sia in termini di proposte degli stand che di rivisitazioni storiche.
A seguito di Artissima iniziano a manifestarsi una serie di eventi collaterali, che negli anni Dieci si tramuteranno in vere e proprie fiere satellite.
Il merito di essere stata la prima va senza dubbio a Paratissima, evento che inaugurerà l'abitudine, piuttosto criticata, di apporre il suffisso "issima" a qualsiasi nuovo evento in città.
Paratissima segue un percorso opposto rispetto alla capofila. Nata come evento di base e di aggregazione alternativa, secondo un modello che diventerà prassi consueta negli anni Dieci , gradualmente si trasforma, nel decennio successivo, in una vera e propria Fiera Off, allargandosi, da qualche anno, da evento noto ed importante solo a Torino, a manifestazione in grado di trasferirsi in centri come Milano e Bologna.
Fondatori un gruppo di creativi e comunicatori che nel 2004 dà vita all'Associazione Ylda (Young People for Local Development Association ). Nel 2005 la prima edizione, con una mostra di sette artisti emergenti in un appartamento sfitto di 400 metri quadri in via Po. Nel 2006 l'evento si sposta in un fabbricato in disuso in via Aosta, e nel 2007 alle Ex Carceri Nuove.
Ma è col trasferimento in un quartiere emblematico e molto chiacchierato di Torino come San Salvario, dal 2008 al 2011, dove si realizza una mostra diffusa in negozi, botteghe, locali e spazi vari, in cui svariati artisti espongono pagando una piccola quota di partecipazione, che la manifestazione letteralmente esplode complice anche un supporto molto ampio e raramente visto per l'esordio di altre iniziative fornito dai quotidiani torinesi, in particolare La Stampa.
Andiamo ora a vedere quanto avviene nel panorama museale regionale.
La Galleria d'Arte Moderna fino al 2008 viene diretta dal critico emiliano Pier Giovanni Castagnoli, a seguito di vicende tormentate e controverse seguite alla conclusione dell'esperienza della co- direzione di cui feci parte.
Castagnoli, come ricordo nel testo dell'edizione dedicata agli anni Novanta, era un colto docente universitario associato di Storia dell'arte, formatosi alla scuola di Francesco Arcangeli, che però praticò poco l'insegnamento, sfruttando la sua abilità manovriera per ottenere quasi ininterrottamente, dal 1982 al 2008, incarichi di direzione alle Galleria d'Arte Moderna di Modena, Bologna e Torino.
Non dotato di particolare attitudine organizzativa ma in grado di contare sul solido sostegno degli artisti dell' Arte Povera e sull'impegno implicito a non turbare i nuovi equilibri che si desiderava instaurare a Torino, nel lungo decennio di direzione Castagnoli tenderà gradualmente ad assopire la GAM con una programmazione dignitosa ma senza alcun squillo particolare, salvo un pacchetto di personali di artisti contemporanei , peraltro allestiti in spazi espositivi non ufficiali della struttura espositiva di via Magenta, tra cui citerò Tobias Rehberger, Kcho, Massimo Bartolini, Eva Marisaldi, Elisa Sighicelli, curate da una critica italiana residente a Berlino, Alessandra Pace.
Per il resto, rassegne sugli anni Cinquanta, incontri, ed una serie di personali di autori già rappresentati dal Castello di Rivoli come Mario Merz, Marco Gastini, Giulio Paolini e Nicola De Maria. Unico artista "fuori quota" Salvo, di cui fu allestita una personale nel 2007.
Isolata ma consistente novità l'inaugurazione di una documentata Videoteca, diretta ad oggi con competenza da Elena Volpato.
Pur nell'irrisolutezza dell'annosa questione dell'allargamento degli spazi, per tutto il decennio, nonostante la già copiosa dotazione, proseguono a getto continuo le acquisizioni di opere, tramite un mutuo, la Compagnia di San Paolo e le Fondazioni CRT e De Fornaris.
Emblematica appare da questo punto di vista la mostra, allestita a cavallo tra 2006 e 2007, nei 10.000 metri quadri dell'area di Torino Esposizioni, che sarebbe stato un ottimo contenitore da affiancare alla sede centrale, con il titolo "Museo museo museo. 1998/2006 Duecentocinquanta nuove opere per la GAM".
Seguendo una schema già collaudato a Bologna, Castagnoli si accommiata dalla GAM nel dicembre 2008, accusando buona parte dei soggetti e delle istituzioni che lo avevano in origine sostenuto di essere colpevoli del non allargamento della GAM, dimenticando come la ristrettezza degli spazi gli fosse nota fin dall'inizio, e che la sua nomina era stata immaginata e praticata proprio in virtù del mantenimento dello status quo.
Nel febbraio 2009, con relativa sorpresa in quanto il suo nome era tra i papabili ed egli certamente aspirava all'incarico , ma le indicazioni davano per sicura la promozione dello storico conservatore della GAM Riccardo Passoni, nominato nel 1990 con l'istituzione ancora chiusa ed in attesa della riapertura che avverrà nel 1993, e dal 2003 Vice Direttore, viene nominato Danilo Eccher.
Esponente della generazione critica di nati tra il 1945 ed i primi anni Cinquanta, in larga misura schierati nella sfera di influenza dell' Arte Povera e di Germano Celant, e da loro tutelati a patto di proseguire in quella direzione non turbando equilibri ed assetti costituiti, Eccher costruisce la sua fortunata carriera inaugurando nel 1989 la Galleria d'Arte Contemporanea di Trento, sua città di origine, trasferendosi poi alla GAM di Bologna ed al Macro di Roma.
Eccher può essere considerato una versione curatoriale del sistema dell'arte allineata al dogma, ma con una certa dose di libertà e di apertura nei confronti di altre esperienze, soprattutto legate alla Transavanguardia ed alla Scuola Romana degli anni Ottanta.
Il suo esordio alla GAM di Torino vede il primo approccio di una prassi che si consoliderà nel decennio successivo : cercare di superare la ristrettezza della sede, confinata nella sola via Magenta, ottimizzando al massimo tutti gli spazi disponibili, e facendo ruotare il più possibile, con mostre a tema, le amplissime collezioni, permettendone quindi una visione più allargata.
Il Castello di Rivoli prosegue nella sua linea espositiva, perseguita coerentemente dalla mostra "Ouverture" del 1984.
Durante gli anni Zero, dove va avanti la direzione di Ida Gianelli fino al 2008, tra le altre segnalo le personali di Nan Goldin (2002), Mario Merz (2005), Joseph Kosuth (2006), Bruce Nauman e Gilbert & George (2007).
Di rilievo anche le rassegne "Transavanguardia" e "I Moderni", quest'ultima di particolare interesse dal punto di vista della dialettica moderno/postmoderno, curata da Carolyn Christov - Bakargiev, che dal 2002 al 2008 fu capo curatore del Museo.
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo inaugura la sede torinese nel 2002.
Si tratta di un classico "white cube" situato nello storico quartiere di San Paolo, in via Modane 16, edificato ex novo su un terreno concesso dal Comune, finanziato tramite un bando europeo e successivamente sostenuto dalla Regione Piemonte, dalle Fondazioni Bancarie cittadine, e da sponsor privati, oltre al ricavato dell'attività di ristorazione, seguita con particolare cura.
La mostra di esordio si intitola "Exit : nuove geografie della creatività italiana", curata da Francesco Bonami, Direttore Artistico della Fondazione, ed allestita dal 19 settembre 2002 al 4 gennaio 2003.
"Exit" rimarrà l'unica rassegna di ampio respiro dedicata dalla Fondazione all'arte italiana dell'ultima generazione, con oltre sessanta presenze, in quel caso a cavallo tra la seconda metà degli anni Novanta ed i primi Anni Zero. Serbo il ricordo di una mostra non priva di spunti di interesse ma decisamente caotica nell'allestimento.
La programmazione espositiva della Fondazione Sandretto è sintonica per vocazione e strategia a quella del Castello di Rivoli. La parte più interessante è quella delle rassegne dedicate ad analisi della situazione artistica in luoghi non convenzionali e paesi dell'Asia e del terzo mondo.
L'impressione complessiva è quella di un contenitore elegante e glamour, ma tendenzialmente staccato dal tessuto cittadino e dal panorama complessivo dell'arte italiana contemporanea, di cui vengono analizzate solo alcune linee di tendenza.
Diverso il caso del rapporto con le scuole, dove funziona egregiamente la sezione dedicata alla Didattica.
Altro importante luogo del contemporaneo inaugurato negli anni Zero, precisamente nel 2005, è la Fondazione Merz, anch'essa collocata in Borgo San Paolo, nella via Limone limitrofa al Grattacielo Lancia ed al Parco Ruffini.
La Fondazione, diretta da Beatrice Merz, si avvale di un prestigioso Comitato Scientifico internazionale.
Dal sito : "L'edificio della Fondazione, ex Centrale Termica Officine Lancia, è un affascinante esempio di architettura industriale degli anni Trenta di proprietà della Città di Torino, dato in concessione alla Fondazione Merz". La Fondazione è un ente privato, sostenuto dalla Regione Piemonte e dalle Fondazioni bancarie.
La programmazione si basa sulla valorizzazione del lavoro di Mario e Marisa Merz e del loro archivio storico. Il tutto affiancato da proposte provenienti prevalentemente dalla scena internazionale ma anche da quella italiana.
Molto attiva la sezione didattica. Il rapporto con Torino ed il quartiere si sviluppa con varie rassegne, come "Meteorite in Giardino", inaugurata nel 2008 ed ispirata al titolo di un'opera di Mario Merz, improntata ad una logica multidisciplinare che prevede l'interazione tra arti visive, musica, immagine e teatro.
Per completare il quadro dei nuovi contenitori pubblici/privati inaugurati a Torino negli anni Zero non si può dimenticare il PAV Parco d'Arte Vivente.
Il PAV rappresenta la concretizzazione di progetti portati avanti da Piero Gilardi sin dall'inizio della sua carriera, e con maggiore decisione a partire dagli anni Ottanta, alla ricerca di un rapporto equilibrato tra arte, spazio urbano, ambiente e tecnologia.
Il Museo occupa uno spazio verde di 23.000 metri quadri nell'area ex Framtek in via Giordano Bruno, e la sua sistemazione definitiva risale al 2008, con il progetto elaborato dagli architetti Gianluca Cosmacini ed Alessandro Fassi. Nel giardino sono presenti interventi di Land Art ed Arte Relazionale, come quelli di Dominique Gonzalez- Foerster e Gilles Clèment.
Nell'edificio centrale sono presenti una libreria, l'archivio ed una serie di installazioni tecnologiche interattive.
Il PAV rappresenta una voce diversa, a cavallo tra arte pubblica e ricerca tecnologica, supportata da una forte vocazione didattica, centrata sulla difesa e sul rispetto dell'ambiente.
La sostanziale omologia delle programmazioni portate avanti dalle altre strutture museali, GAM Castello di Rivoli e Fondazione Sandretto, la necessità di ristabilire un pluralismo di proposte, fa comprendere l'importanza di un progetto come la BAM Biennale del Piemonte, nato nel 2002, e cresciuto esponenzialmente nel corso degli anni.
Per quanto riguarda i Musei privati assistiamo ad una chiusura e ad un apertura che, in qualche modo, si compensano.
La prima è quella di Palazzo Bricherasio , storico edificio secentesco di via Lagrange 20, dove, nel 1995, l'omonima Fondazione voluta dalla famiglia Alessio e diretta artisticamente da Daniela Magnetti, da il via ad una intensa ed eclettica programmazione, nei locali restaurati per l'occasione, dove si alternano rassegne storiche che spaziano dal Cinquecento al Novecento, mostre di fotografia, ma anche appuntamenti dedicati alla più stretta contemporaneità.
La Fondazione diventa meta assai frequentata, per la varietà e buona qualità delle proposte.
Nel 2009, all'inizio della crisi economica di fine decennio, la famiglia Alessio dichiara una situazione di difficoltà e richiede un supporto ulteriore da parte degli enti pubblici, che peraltro finanziavano la Fondazione con una cifra molto superiore a quella che io immaginavo, a prova del rapporto non del tutto sano sviluppatosi in quegli anni tra imprenditori privati ed enti pubblici, cosa da me più volte denunciata.
Inutile dire che, a fronte dell'inevitabile diniego stante il periodo assai poco propizio, lo spazio chiuse i battenti.
Nel 1999 apre al pubblico la Fondazione Accorsi Ometto-Museo di Arti Decorative, collocata in uno storico palazzo settecentesco in via Po 55, vicino Piazza Vittorio, grazie al lascito del proprietario, l'antiquario Pietro Accorsi. Alla bellissima collezione di quello che forse può definirsi l'unico vero Museo privato di Torino, si affiancano iniziative espositive talvolta legate alla dimensione contemporanea.
Prosegue la sua attività, potenziandola ulteriormente, il Centro per l'Arte Contemporanea del Castello di Rivara, diretto da Franz e Davide Paludetto, mentre, grazie ad un robusto supporto della Regione Piemonte, l'Associazione Marcovaldo inizia una intensa attività di promozione artistica e di valorizzazione dei beni culturali del sud del Piemonte, che porterà alla fondazione del Cesac-Centro Sperimentale per le Arti Contemporanee, presso il Filatoio di Caraglio, diretto da Andrea Busto e Fabrizio Pellegrino.
Anche se con obiettivi non legati all'arte visiva, nell'ambito della politica culturale cittadina non si può non citare l'apertura, nel 2008, presso Palazzo Mazzonis in via San Domenico 11, del MAO Museo d'Arte Orientale, fortemente voluto dall'Assessore alla Cultura Fiorenzo Alfieri per radunare le sparse collezioni di arte orientale della Città.
Altra chiusura di una importante realtà torinese quella che colpì la Fondazione Italiana per la Fotografia.
Dal testo della BAM '90 . " Nata nel 1992, con sede inaugurata nella seconda metà del decennio, in uno storico stabile di via Avogadro angolo Corso Vittorio Emanuele, diretta conseguenza delle iniziative portate avanti dall''Associazione Torino Fotografia di Luisella D'Alessandro, affiancata da esperti ed appassionati quali Federico Manassero e Daniela Trunfio, come la Biennale di Fotografia, la cui prima edizione venne organizzata nel 1985, la Fondazione svolse un ruolo importante, al quale fornii, nei limiti del possibile, anche il mio personale sostegno, di divulgazione e promozione della fotografia storica e di quella contemporanea, accumulando una ingente collezione e proseguendo nell'esperienza delle Biennali Internazionali di Fotografia, alle quali affiancherà l'iniziativa di Fotodiffusione, prima Borsa Internazionale dei Musei Fotografici d'Europa."
Non del tutto accettata dall'establishment artistico e da parte di quello politico, la Fondazione subirà varie traversie nel decennio successivo, relative anche alla mancata attuazione di un progetto di riqualificazione di un'area emblematica di Torino come quella di Ponte Mosca, limitrofa a Porta Palazzo, al fine di creare un punto di aggregazione di varie realtà artistiche ed associazionistiche torinesi, che ad onor del vero ricalcava in più di un aspetto un 'iniziativa per cui molto mi spesi tra la fine degli anni Ottanta ed i primi Novanta, il "Comitato per un Laboratorio di Arte Contemporanea a Torino", in cui, insieme a varie altre realtà cittadine, coinvolsi anche la Fondazione.
Le vicende che portarono alla conclusione dell'esperienza della Biennale Fotografia sono troppo complesse per essere riassunte. Per chi fosse interessato ad approfondire la questione rimando al libro di Daniela Trunfio " Fondazione Italiana per la Fotografia 1985-2006. L'avventura di una passione", disponibile sul sito dell'editore d'arte torinese Prinp.
Mi sono soffermato su questa vicenda in primo luogo per la sua importanza, ma anche perche emblematica di una scarsa solidarietà intercorsa negli anni passati tra gli operatori culturali torinesi.
Personalmente mi esposi molto, specie negli anni Ottanta e Novanta, per creare maggiore unità di intenti ma, al di là di dichiarazioni di facciata, ognuno andò avanti per la sua strada, creando una disgregazione progettuale che agevolò molto il mantenimento di un certo status quo.
Venendo alle manifestazioni che caratterizzano il decennio, la più rilevante è la Triennale di Torino, che, seppure molto diversa come impostazione, prende il posto di BIG Biennale Giovani Artisti dell'Europa e del Mediterraneo, che, dopo la cosiddetta edizione della "Sardina" del 1997, vede l'allestimento di altre due puntate, concentrate prevalentemente nell'area dell'ex Cavallerizza Reale, nel 2000 e nel 2002.
La Triennale nasce da una iniziale riflessione sulla necessità , soprattutto per l'ambito delle arti visive, di modificare la struttura organizzativa della Biennale Giovani, non dotata di una vera e propria direzione artistica, ed estremamente costosa.
Al posto di una manifestazione dotata di maggiore caratterizzazione ed attitudine selettiva a sostegno della scena emergente torinese ed italiana, l'Assessorato alla Cultura opta per un'altra soluzione.
La Triennale è un evento indubbiamente qualitativo, ma pecca nel fatto di assomigliare a decine di manifestazioni analoghe espanse nella scena artistica globalizzata.
La prima edizione, dal titolo "La Sindrome di Pantagruel" è del 2005, i curatori sono Francesco Bonami e Carolyn Christov-Bakargiev, le sedi il Castello di Rivoli, la GAM, le Fondazioni Merz e Sandretto, il Palafuksas, la Casa del Conte Verde e la Chiesa di Santa Croce a Rivoli.
La seconda viene allestita alla fine del 2008, con il titolo "50 Lune di Saturno", ed il coordinamento critico di Daniel Birnbaum, esponente di spicco della curatela internazionale, presso la Promotrice di Belle Arti, la Fondazione Sandretto ed il Castello di Rivoli.
A seguito della crisi economica l'evento non conoscerà nuove edizioni.
Piuttosto vivace il panorama galleristico, con molte aperture di nuovi spazi, legati sia al mercato che alla promozione e la chiusura di alcuni altri.
Tra le aperture cito 41 Arte Contemporanea di Federica Rosso, Gagliardi Arte Contemporanea, Dieffe Gallery, Allegretti Arte Contemporanea, Marena Art Gallery, Franco Noero, Guido Costa Projects, Photo & Contemporary, Norma Mangione, Luce Gallery. la nuova sede di Giorgio Persano in via Principessa Clotilde.
Tra le chiusure, che molto spesso significano solamente l'inizio di nuove attività in campo artistico, Maze Gallery, The Box, Caterina Fossati, Luigi Franco.
Nel 2006 scompare a soli 57 anni Guido Carbone, uno dei protagonisti della scena contemporanea torinese a partire dal 1986. In sua memoria Artissima per diversi anni organizzerà il Premio Guido Carbone, dedicato ai giovani artisti e, nel 2008, vari soggetti a lui legati realizzeranno, a Palazzo Bricherasio, la mostra "Questo mondo è fantastico. Vent'Anni con Guido Carbone".
Sempre a Palazzo Bricherasio, con mia presentazione, si tenne nell'estate 2002 una analoga iniziativa in ricordo di Mercurio, uno dei migliori talenti emergenti a Torino ed in Italia, scomparso nel febbraio di quell'anno.
Nell'estate 2000 apre a Torino un locale, nel cuore dell'appena riqualificato Quadrilatero Romano, in Piazza Emanuele Filiberto, il Pastis, diretto da due qualificati esponenti del nightclubbing torinese aperto alla cultura ed al sociale, Toni Minniti ed Andrea Tortorella.
Il Pastis è molte cose : bar, ristorante, bistrot, galleria d'arte e diventa ben presto uno dei punti di riferimento di una vita serale e notturna sempre più intensa nel capoluogo subalpino.
L'inaugurazione coincide con una mostra corredata di catalogo di un'altro grande talento troppo presto mancato : Raffaello Ferrazzi.
Venendo al mio percorso personale, dopo avere definitivamente chiuso l'esperienza storica della Galleria VSV, dal 1984 al 1998 in via Po 28, da quell'anno al 2000 in via Santa Giulia 66, insieme all'architetto e designer Walter Vallini, farò partire il progetto della Fusion Art Gallery, legata all'Associazione Fusion Arts.
La Fusion Art Gallery fa partire la sua attività nel 2001, in uno spazio galleria inserito all'interno di un nuovo locale del Quadrilatero Romano, Il Fusion Cafè di via Sant'Agostino, progettato dal Walter Vallini, per poi trovare, dal 6 giugno 2003, una sede definitiva, attiva ancora oggi, in un ampio seminterrato sottostante un cortile-giardino, in Piazza Peyron.
La programmazione, fino a quando proseguirà la nostra collaborazione, cioè fino a dicembre 2010, si baserà principalmente su proposte che spaziano dagli anni Settanta agli anni Novanta, e sulla promozione di giovani talenti emergenti.
Con l'Associazione Fusion Arts, grazie al supporto della Regione Piemonte, ed avvalendoci del circuito degli Istituti Italiani di Cultura, porteremo la creatività piemontese ed italiana in fatto di arti visive, fotografia, video, moda, design ed architettura, enogastronomia, a Lisbona, Porto, Praga, Copenhagen e Berlino.
Dal 2000 l'associazione Tag Torino Art Galleries organizza la manifestazione di apertura stagionale "Ouverture", ed altri eventi.
Vengono però invitate solo alcune gallerie, ed escluse altre senza plausibile motivo, anche aderenti all'associazione ufficiale Angamc. Dopo varie discussioni nei primi anni, ognuno andrà per la sua strada.
Questo episodio è sintomatico delle critiche periodicamente mosse, ancora a tutt'oggi, al cosiddetto Sistema Torino.
Da 2001 al 2006 il Comune organizza a supporto la rassegna ManifesTO, consistente nell'esposizione di grandi banner, riproducenti immagini degli artisti delle gallerie, affissi in alto, all'interno dei portici del centro.
Il discorso relativo alle gallerie conduce inevitabilmente alla selezione degli artisti, precisando che, come abitudine della BAM, il catalogo sarà presentato in occasione del finissage, e le mie considerazioni critiche definitive saranno successive all'inaugurazione del 18 settembre, e terranno conto dei lavori esposti e del loro allestimento, aggiornando e completando questo testo.
Ho individuato gli artisti tenendo conto del mio gusto personale, elemento fondamentale dell'azione critica, abbinato all'obiettività necessaria alla rappresentazione di un decennio di storia recente.
Parto da un nucleo di artisti provenienti da quel fertile vivaio che è stata, e naturalmente è tuttora, l'Accademia Albertina , diretta fino al 2005 da Carlo Giuliano, poi da Guido Curto fino al 2011, attorno alla metà degli anni Zero. Giovani autori in grado di affermarsi sulla scena dell'arte praticando una ricerca eclettica, che spazia dalla pittura di impianto sia concettuale che neo pop, alla fotografia ed all'installazione, come Cinzia Ceccarelli, Massimo Spada, Cornelia Badelita, Francesca Sibona, Max Petrone e Francesca Renolfi. Proseguiamo poi con l'originale pop surrealismo di Angelo Barile, gli enigmatici paesaggi fotografici di Pierluigi Fresia, la ricerca in bilico tra interiorità ed apertura al sociale di Sophie-Anne Herin, la pittura evocante la dimensione assoluta dell'universo naturale di Ernesto Morales, la disseminazione spaziale di segni e simboli di Octavio Floreal, il raffinato ed ironico concettualismo oggettuale dei The Bounty Kill Art, la pittura netta , nitida ed evocativa di Guido Bagini, la fotografia intima , aperta alla memoria ed in grado di proiettarsi nel presente di Silvia Fubini, Roberta Toscano e Tea Giobbio, la dimensione artistica negli oggetti quotidiani di Walter Vallini, l'impiego del tramite digitale per una ironica e corrosiva denuncia sociale di Daniele D'Antonio, la pittura colta e surreale di Gianni Gianasso, l'essenziale espressionismo di Domenico Piccolo, l'attenzione per l'immagine formulata in vari modi e maniere di Riccardo Ghirardini, l'espressionismo pop e l'environment pittorico di Carlo Gloria, le griglie geometriche in cerca di connessioni di Luciano Gaglio, l'art design di Matteo Ceccarelli, il rapporto difficile tra individuo e spazio urbano di Diego Pomarico, gli stimolanti pattern pittorici di Carlo Galfione, l'immaginifica quadreria di Alberto Castelli, i reportage pittorici dal Terzo Mondo di Gianluca Nibbi, la raffinata fotografia concettuale di Roberta Fanti, le grafie orientali di Chen Li, l'eclettica pittura a tecnica mista di Laura Valle, la duttile ricerca tra scultura ed installazione di Carlo D'Oria, la ripresa della tradizionale piegata alle visioni del presente in una dimensione di surrealtà di Diego Scroppo, la pittura psichedelica di Sarah Bowyer e quella narrativa e ludica di Antonio Mascia, la capacità di scandagliare il quotidiano con la fotografia di Claudio Cravero, la ricerca aniconica di Alessandro Fabbris, l'uso evocativo ed espressionista della fotografia di Dario Colombo e Stefania Di Marco, la pittura urbana di Maria Bruno Sisterflash, Bostik e Miki Wubik.
L'arte pubblica che si confronta con la dimensione metropolitana per costruire nuove narrazioni, ha conosciuto, in Europa ed in Italia, una significativa crescita negli ultimi anni.
In un epoca in cui la globalizzazione finanziaria causa danni irreversibili agli Stati, mentre quella culturale amplifica gli effetti perversi dello “star system”, l'arte vive una condizione di schizofrenia, non inedita, ma enormemente amplificata. Da un lato un mondo glamour e patinato caratterizzato da quotazioni ingiustificate, al netto della qualità degli artisti, numericamente minoritario rispetto alla massa della produzione artistica, dal moltiplicarsi di fiere in ogni angolo del globo, dove i nuovi ricchi asiatici e mediorientali danno sfoggio della loro onnipotenza economica, da biennali incrementatesi esponenzialmente di numero, senza apportare alcuna novità concreta, ospitando la medesima compagnia di giro di artisti e curatori “internazionali”. Dall'altro la maggioranza degli operatori dell'arte che quotidianamente porta avanti, con impegno, fatica e passione, l'impegno artistico, critico e didattico, confrontandosi con un mercato ed un sistema “normali” .
Anche a Torino , negli anni Zero, si diffondono significative esperienze, legate soprattutto al Muralismo ed alla Street Art.
La nascita e lo sviluppo del progetto Murarte, il lancio definitivo del Museo d'Arte Urbana dopo l'esordio negli anni Novanta, ed altre iniziative, creano le basi per quanto avverrà nel decennio successivo, con la Street Art nuovo linguaggio dell'arte ed elemento fondamentale di aggregazione e riqualificazione urbana.
Non a caso proprio nel 2010 apre i battenti quella che tuttora è la principale galleria torinese del settore, la Galo Art Gallery, spazio dedicato all'arte contemporanea, dai post-graffiti alla pop art.

Edoardo Di Mauro