Apostolo – Mal’essere Esser’male

Informazioni Evento

Luogo
DIECI.DUE!
Via Volvinio 30, Milano, Italia
Date
Dal al
Vernissage
29/05/2012

ore 18 - 21

performance h. 1830

Artisti
Apostolo
Curatori
Maria Rosa Pividori
Generi
arte contemporanea, personale
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Una mostra che Apostolo ha perfezionato e definito con particolare attenzione. L’ha costruita e determinata sulla stringente attualità, senza scadere nell’aneddotica del cronista ma, pur partito da una disamina sulla situazione presente, ha volutamente guardato agli aspetti esistenziali e intimisti. In cui tutto può essere, senza troppe scuse o facili vie d’uscita, solo bianco o nero, i due colori che, non a caso, dominano la mostra.

Comunicato stampa

... Se il presupposto di partenza deriva dalla personale esperienza dell’artista e molti lavori proposti evidenziano un suo stato umorale, altrettanto vero è che quegli stessi stati d’animo appartengono a ciascuno di noi e in essi ci troviamo riflessi – non per niente ritroviamo spesso l’uso dello specchio – con cruda verità. Il surrealismo, in taluni casi visionario, di Apostolo diventa la fedele ri-trattazione – trattata nuovamente e non smentita o sconfessata – di una requisitoria dura e senza attenuanti della condizione umana e sociale di oggi.

L’autenticità di questo progetto sta proprio nell’aver rielaborato i mezzi linguistici, cui ci ha abituati nel tempo, delle opere precedenti ad un nuovo sistema comunicativo legato al messaggio che vuole ora dare: ritroviamo giochi di parole, doppi sensi, licenze poetiche, l’uso degli specchi, la performance… Opere mirate a sottolineare il clima cupo e pesante di quest’epoca difficile.

Una mostra che Apostolo ha perfezionato e definito con particolare attenzione. L’ha costruita e determinata sulla stringente attualità, senza scadere nell’aneddotica del cronista ma, pur partito da una disamina sulla situazione presente, ha volutamente guardato agli aspetti esistenziali e intimisti. In cui tutto può essere, senza troppe scuse o facili vie d’uscita, solo bianco o nero, i due colori che, non a caso, dominano la mostra.

Apostolo ci introduce, in questo percorso disarmante dell’io di oggi, ... (dal testo di Matteo Galbiati, storico critico)

Si ringraziano:

Pino Diecidue
per il supporto in tutte le fasi della mostra

Valentino Peyrano
e Sav Gallery per la fiducia e la promozione artistica

Lucia Ravera
per essere la mia compagna di vita

Gigi Conti
per essere amico e artista

Luca Maresca
per le foto preziose di questo catalogo

Paolo Ambrosi ufficiale di P.G. e Cristina Brondoni criminologa,
per essersi simpaticamente prestati alla performance

Lo specchio dei tempi

All’arte è toccato spesso il compito di farsi mezzo per descrivere la situazione – più o meno complessa – del proprio tempo, e all’artista non spetta altro ruolo che quello di farsi libero cronista, interprete del suo oggi.
I tempi cupi e gravosi del nostro presente non risparmiano certo le difficoltà e le criticità che dal quotidiano si estendono a tutto tondo anche ad altri campi della nostra vita. E l’arte, appunto, oggi come mai prima, non ne resta immune. Penalizzata nei progetti e nelle proposte, vittima – come la cultura e la ricerca in generale – di costanti tagli, rinvii e annullamenti, non può che accusare il colpo e offrire, nelle espressioni di molti artisti attuali, il riflesso di questa condizione. Sono due le varianti di opere di chi sceglie, in qualità di artista, di schierare la propria espressione su contenuti di denuncia o di impegno civile e sociale (di cronista appunto): assistiamo o al disimpegno più totale con la pochezza e l’inconsistenza di immagini edulcorate e superficiali, oppure troviamo una vena tragica e sottile, forte e disarmante che colpisce il nostro sguardo e non lo lascia immune da riflessioni. In buona sostanza l’artista può compiacerci distraendoci con la leggera spensieratezza di chi finge di non vedere o gira lo sguardo da un’altra parte – indicativo di molte situazioni attuali – o portarci al centro del nostro pensare, indirizzando la vista dritta al cuore del problema, assolvendo il compito di aprire interrogazioni, di portare a considerazioni altrimenti inesprimibili. Scardina attivamente la nostra coscienza diventando così efficace ed esplicito. I mezzi cui gli artisti ricorrono per far questo restano sempre i più svariati, senza pregiudizi e gerarchie su tecniche e linguaggi.
Chi, abituandoci già in passato ad una vena di complessità riflessiva nei propri lavori, ha dato prova di grande volontà in questo senso è Apostolo, la cui nuova mostra, fin dalla sua genesi e dai presupposti sinceri e autentici che la muovono, dichiara un’attualità viva e spontanea. Nata dopo una lunga e sofferta gestazione conseguente a rinvii e sospensioni, cui hanno influito e contribuito tanto situazioni personali, quanto contingenze materiali esterne, offre allo spettatore lo spunto, a volte tagliente e sferzante nel suo essere rudemente esplicito, per un’analisi puntuale sulle pulsioni e le condizioni dell’oggi. Se il presupposto di partenza deriva dalla personale esperienza dell’artista e molti lavori proposti evidenziano un suo stato umorale, altrettanto vero è che quegli stessi stati d’animo appartengono a ciascuno di noi e in essi ci troviamo riflessi – non per niente ritroviamo spesso l’uso dello specchio – con cruda verità. Il surrealismo, in taluni casi visionario, di Apostolo diventa la fedele ri-trattazione – trattata nuovamente e non smentita o sconfessata – di una requisitoria dura e senza attenuanti della condizione umana e sociale di oggi. L’autenticità di questo progetto sta proprio nell’aver rielaborato i mezzi linguistici, cui ci ha abituati nel tempo, delle opere precedenti ad un nuovo sistema comunicativo legato al messaggio che vuole ora dare: ritroviamo giochi di parole, doppi sensi, licenze poetiche, l’uso degli specchi, la performance… Opere mirate a sottolineare il clima cupo e pesante di quest’epoca difficile.
Una mostra che Apostolo ha perfezionato e definito con particolare attenzione. L’ha costruita e determinata sulla stringente attualità, senza scadere nell’aneddotica del cronista ma, pur partito da una disamina sulla situazione presente, ha volutamente guardato agli aspetti esistenziali e intimisti. In cui tutto può essere, senza troppe scuse o facili vie d’uscita, solo bianco o nero, i due colori che, non a caso, dominano la mostra.
Apostolo ci introduce, in questo percorso disarmante dell’io di oggi, con due targhe luminose al neon – eco dei messaggi pubblicitari, dei loghi evidenziati che costellano il paesaggio metropolitano – recanti le scritte Mal’Essere e Esser’Male, in cui l’evidenza data all’apostrofo più che una licenza poetica, per dove è collocato, lo fa sembrare, forse propriamente visto il tema che si tratta, una lacrime di fatica o di dolore. Queste scritte danno anche il titolo alla mostra: un’esplicita dichiarazione d’intenti. Uno stato inalienabile ed effettivo. Un presa di coscienza lucida e senza mezzi termini. Campeggiano queste scritte come due insegne luminose sulle teste di chi ha modo di osservare la mostra, ad evidenziare lo stato dell’essere, lo stato e la condizione che fa da denominatore, con dovute sfumature, a tutti. Un motto che rispecchia il nostro diffuso sentire, la nostra condivisione più taciuta e tanto condivisa. Apostolo cerca un possibile ribaltamento del modo di vedere, rigira allora la frase, altera il sostantivo in predicato e viceversa, ma, non si sfugge. Nulla cambia. In un modo o nell’altro, per qualunque verso la si prenda, il senso non sembra mutare. E l’aurea negativa e sfiduciata pare perdurare e sottolinearsi nella luce squillante e nella scelta di una font modaiola e noir allo stesso tempo.
Proliferano poi le piccole situazioni, magari paradossali, di Riflessioni (il gioco di significazioni denunciato dal titolo è quanto mai efficace): sono piccoli palcoscenici della vita, in cui elementi differenti, magari simbolici, in cui siamo liberi di trovare le nostre personalissime associazioni, si trovano costretti in un’angusta piattaforma specchiante in cui il singolo elemento e soggetto non può fare a meno di sfuggire da una considerazione su di sé o a confrontarsi con l’altro sé riflesso. Deve guardare in faccia o vedersi duplicato nel suo doppio, nel suo aspetto sinistro, ribaltato e, in certa misura, opposto. Le forme e i soggetti-oggetti messi in campo sono poi icone stereotipate e semplificate non certo per un disimpegno di Apostolo, quanto per una volontà di lungimirante chiarezza immediata.
Il tema dello specchio e dell’incomunicabilità con l’altro diventa centrale anche in Riflessibraille: una serie di quattro specchi, semplici e minimi. L’unico intervento è costituito dai piccoli cristalli tondi disposti a formare scritte in alfabeto braille. Chi vede si trova riflesso e riconosce il tipo di scrittura, ma non è in grado di leggere. Chi legge invece non si vede riflesso. Un handicap scambievole, nessuno può legare il senso della propria immagine con il significato delle parole. Malvagio, maltolto, malvisto e malato: queste le parole accomunate tutte dal prefisso mal-, il vero tema conduttore di tutta la mostra. Apostolo qui gioca ancora sul paradosso della perdurante incomprensione insita nel linguaggio diretto della visione e in quello ancor più esplicito della comunicazione scritta. Chi è cieco e su cosa si è ciechi? Rimane forse drammaticamente insoluto questo interrogativo che costringe a vedere meglio e più in profondità.
Anche Gabbie non lasciano molto spazio ad aspettative migliori: tre gabbie imprigionano ognuna un singolo uovo che Apostolo non sceglie a caso come presenza. L’uovo rappresenta un simbolo consolidato e acquisito, è un oggetto che diventa immagine dai contorni iconografici connotati e definiti: è un simbolo di rinascita e rinnovamento. L’artista, seguendo il percorso di tutte le altre opere, lo vincola, sospeso dietro le sbarre di una gabbia-prigione. Non c’è spazio per un nuovo inizio, la rinascita viene bloccata, segregandone in partenza, prima ancora della sua dischiusa, la libertà. Una vita che si blocca.
Una vita interrotta drammaticamente, con tutta l’irruenza del fatto di cronaca nera, è quella presentata nella performance The end, in cui sdraiato a terra l’artista si presenta al pubblico esanime. Il corpo sembra (oppure è!) morto, rimane la perplessità su come, e se, dover intervenire. Un omicidio o un suicidio? Neppure l’intervento delle forze dell’ordine – reali – aiutano a risolvere il mistero. Non perviene nessuna risposta, nessun riscontro dalle indagini e dalle perizie. Rimane la sagoma vuota e svuotata di un corpo. Una sagoma vuota come tante ne abbiamo viste susseguirsi nella nostra storia più o meno recente. Un’esistenza spazzata via. Tanti interrogativi senza un perché o un come. Senza una giustificazione o una motivazione. Rimaniamo sconvolti dal dubbio e dall’impotenza, desiderosi di risposte, di colpevoli o mandanti grazie ai quali, scaricata su di essi la colpa e intervenuto il senso di appagamento prodotto dall’intervento della giustizia, sentiamo la nostra coscienza più pulita. E allora dimentichiamo in fretta quel vuoto che nemmeno il profilo della sagoma bianca riesce a trattenere e bloccare. Un vuoto che diventa dimenticanza.
Forse lo sguardo di Apostolo diventa quasi spietato con la serie Rompere in caso di emergenza: queste sono teche che rievocano le nicchie delle emergenze, il cui vetro si rompe per un pronto intervento. Pensiamo agli estintori, ai kit di pronto soccorso, … Oggetti che aiutano a risolvere problemi urgenti e imminenti e risolvono il dramma in salvezza. Dal gesto violento, praticato senza dubbi e tentennamenti, della rottura ci procuriamo una via salvifica. Nel caso di Apostolo gli strumenti suggeriti paiono essere drammaticamente più consoni ad un’offesa o una serrata difesa, che non ad un intervento rapido di emergenza: troviamo armi, un rasoio, una bottiglia di vino, lamette da barba, farmaci... Solo dei surrogati e dei palliativi di una salvezza e liberazione improbabili. Forse per questo motivo, nel caso specifico, si tentenna a rompere quel vetro, pur riconoscendo in esso – nell’oggetto specifico – il simbolo di una via d’uscita svelta, il potenziale catalizzatore risolutivo di situazioni complesse, difficili e che paiono insormontabili. Quel vetro, quel caso d’emergenza, quell’oggetto che Apostolo ci propone diventano simboli estremo di una scelta ardua e magari estrema.
Apostolo riferisce al nostro sguardo di spettatori – che crediamo vergine e immacolato – tutte le nostre frenesie, psicosi, paure e debolezza. La fragilità e vulnerabilità dell’uomo, in un tempo particolarmente complesso e difficile della sua esistenza e della sua storia, sono i soggetti individuati e bersagliati dal suo humor nero-bianco, dissacratore e silenziosamente irriverente.
Ma sarà allora la fine? Crediamo di no perché ogni cosa può essere riletta in una chiave differente, possiamo trovare una via d’uscita e girare dal negativo in positivo. Spostare in bianco il nero e vedere, prestando attenzione maggiore, come le cose possano essere viste e lette in modo differente. Lontano da come la cronaca ci ha abituati a considerare i fatti. Qui c’è lo spazio di liberazione maggiore, qui la strada che indica invisibilmente Apostolo e che, ciascuno di noi, deve essere in grado di recuperare. Qui la rinascita e la speranza.
Torniamo, infine, sul giudizio morale che inevitabilmente portano questi lavori... Dobbiamo, credo, per forza di cose porci in un atteggiamento scevro da falsi e ipocriti moralismi. Forse, è vero, molti saranno rimasti, sconcertati o shockati, saranno ancora scettici o perplessi e, di sicuro, criticamente sconvolti davanti a certe immagini e, soprattutto, alle idee che queste suggeriscono e rimandano. Ma occorre chiarezza e onestà. Diciamocelo francamente, confessiamocelo: proprio oggi, visto quello che quotidianamente sentiamo, leggiamo e viviamo, a chi non sarà capitato di pensare a “certe cose”. Chi non avrà avuto pensieri e reazioni di rassegnata sfiducia, di rabbia incontenibile o di sdegnoso rancore e risentimento verso un presente che pare delineare un futuro dalle tinte fosche? Chi contraddice o dà torto seriamente ad Apostolo?
Eppure, nonostante questi nostri falsi perbenismi che sono anch’essi una moda vilmente dilagante, chissà a quanti di noi, che abbiamo osservato infastiditi le sue opere, sarà venuta la voglia di rompere quel vetro e usare quell’oggetto per un nostro personalissimo – e quindi ora legittimo – scopo. Chi è rimasto sinceramente immune da questo pensiero o desiderio di risolvere una propria, e quindi rispettabile e giusta, emergenza? Siamo onesti, chi, anche per un solo istante veloce, non ci ha proprio pensato?

Matteo Galbiati
Maggio 2012