Di Bernardo Rietti Toppeta – In Orsa Maggiore & Minore

Informazioni Evento

Luogo
INANGOLO
Largo San Giovanni Battista 7 Penne, Penne, Italia
Date
Dal al

venerdì e sabato dalle ore 18.00 alle 20.00

Vernissage
19/03/2022

ore 17,30

Artisti
Di Bernardo Rietti Toppeta
Curatori
Antonio Zimarino
Generi
arte contemporanea, personale
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Mostra personale.

Comunicato stampa

Intrinsecamente umani di Antonio Zimarino

Il rapporto tra (Χάος) caos / cosmos (κόσμος) non è solo il nucleo generativo e fondante della cultura greca ma è anche il punto di partenza dell’intero pensiero occidentale che da essa si è generato; ma a ben guardare tale rapporto è essenziale in ogni forma di cultura, anche non “mediterranea”, che ha inteso dare risposte diverse al problema antropologico della dualità e degli opposti. Nelle culture orientali in particolare, le dualità hanno da sempre configurato la dimensione esistenziale e “storica” della persona, il fluire ciclico e ricorsivo degli opposti in cui essa è, i concetti di permanenza e impermanenza, l’orientarsi consapevole o inconsapevole e la variabile indeterminatezza del vivere.
Che questo sia un problema essenziale anche del “contemporaneo” è assolutamente ovvio ed evidente anzi, questo è il problema centrale di ogni “contemporaneità”: continuamente c’è da capire cosa fare, perché farlo, continuamente cerchiamo di scegliere, capire fronteggiare, seguire, distinguere e discernere, ed è questo che è autenticamente “umano”.
Il vero grande problema è quando questo non accade più, quando rifiutiamo di farlo, vuoi per estenuazione o solo per “comodità” e pacifica deresponsabilizzazione.Il “presente incessante” non ha memoria, non ha identità, ti piega alla sua volontà alle sue logiche spicciole, prevede e causa la dispersione dell’identità, si compiace della fluidità occasionale e conveniente. Orientarsi, segnare una differenza, discernere, prendere posizione non sempre è un qualcosa di conveniente: è un atteggiamento che “rallenta”, che pretende attenzione e consapevolezza delle cose; ostacola i flussi, li incanala, impone delle scelte e degli orientamenti, cerca di comprenderne direzioni e composizioni, almeno anche solo per qualche istante, almeno per dire a se stessi di essere qualcuno.
Non avere coscienza dell’accadente, perdersi nel fare, adeguarsi passivamente ai flussi significa piegarsi alle leggi del contingente e del necessario, mentre distanziarsi da esse, porsi lateralmente ai flussi e osservarli, andando a se stessi, significa provare a darsi una legge, a cercare un significato, a definirsi rispetto all’indistinzione. Ed è questo che è invece profondamente “umano”.

Tentare di distinguere nel Χάος, costruire ipotesi di interpretazione e direzione in esso, significa provare a disporre un “ordine” / κόσμος ovvero un senso alle cose, un idea delle cose. Oltre (e insieme a) quella esistenziale la questione é dunque anche di tipo epistemico, cognitivo e intellettuale: il problema legato al dualismo fondamentale Χάος / κόσμος si declina quindi anche nelle diverse forme basilari e generative del pensiero (noto/ignoto - chiarezza/oscurità - bene/male …) ovvero è la base della stessa origine del conoscere, del comportarsi, del relazionarsi, dello sviluppo delle culture materiali, economiche, civili etc. ovvero di tutte quelle cose che costituiscono “l’universo” che abitiamo e con cui ci relazioniamo.
La dualità disordine / ordine, identifica la differenza fondante e generativa delle scelte, del pensiero (da cui l’aforisma nietzschiano); è ciò che ci costringe a trovare una soluzione all’ignoto o, se non una soluzione, almeno una ipotesi di soluzione, ovvero, la “stella” leggera, danzante davanti ai nostri occhi che illumini almeno un poco, una ipotesi credibile, un orizzonte a cui tendere.
Χάος è la condizione di oscurità, imprevedibilità, passività di fronte agli elementi, alle volontà, allo stesso fluire illogico delle cose che si succedono e si combinano nel vivere; il κόσμος è tutto ciò che ipotizziamo, opponiamo, “ordiniamo” per avere un’opportunità di orientarci, muovere, passi, gesti, costruire, rendere conoscibile e interpretabile ciò che accade.
Siamo dunque dentro il fondamento stesso delle scelte, della coscienza del tempo, dei gesti, del pensare o del non pensare; siamo allo stesso tempo dentro il macrocosmo che “ci vive” (cioè che condiziona il nostro essere e pensare) e il “microcosmo” che abitiamo (ovvero, il piccolo mondo attorno a noi dentro il quale le nostre idee e le nostre “posizioni” sono in grado di dare un “effetto” se pur piccolo)
Se queste sono le condizioni generali del problema, l’installazione che abbiamo di fronte, non può essere “incontrata” solo attraverso dualismi superficiali del tipo: “bella/brutta” - “suggestiva/banale” - “interessante/incomprensibile” etc. etc. …) come ci porta a fare la retorica generalista dell’estetica banalizzata dell’arte “da consumo”, cioè subordinata al flusso dell’occasione e del soggettivo.
Questo lavoro va invece colto nelle sue simbologie e all’interno di una riflessione sull’ essenziale, cioè sul problema fondativo che esso pone: è un modo per dare percezione visibile, per essere immagine metaforica della questione essenziale del dualismo di cui prima parlavamo. Del resto, è proprio dell’”arte” più concettualmente motivata, tentare di “dare forma” ad una percezione, proporre l’immagine percepibile e fruibile di ciò che si è intuito, provando a dare un “senso” ricostruibile a ciò che ci attraversa internamente come percezione.
L’installazione non dice “cosa sono le cose che si rappresentano” come purtroppo troppa arte contemporanea anche celebratissima continua stereotipatamente a dire, ma propone di prendere coscienza di “come le cose stanno” attraverso la rappresentazione. Non interpreta, non pontifica, non ostenta, non grida, semplicemente evidenzia, ripartendo dalla necessità di orientarsi, cioè da un punto-chiave entro cui si gioca la costante costruzione di un esistere. Ci pone semplicemente l’evidenza di ciò che dovremmo fare: orientarci, scegliere, tentare strade, prendere una posizione, riconoscerla, nell’ambiente, fisico, sociale, professionale in cui ci troviamo ad abitare.
Le costellazioni evocate, il cosmo, le simbologie delle stelle, le loro funzioni ancestrali, le tracce ipotetiche che le legano in loro e tra loro nello spazio; il “sale” simbolo terrestre, tellurico, elemento capace di assorbire, distruggere o purificare; i termini che esso evoca: sapidità, sapore, ( gli etimi stessi del termine “sapienza”) sapere che per noi significa conoscere ma che per il latini (sàpere) significava “avere un gusto”; il sale (minerale) trattiene l’acqua (il flusso, il fluire), la assorbe, gli da sapore, arresta, contiene il flusso, da un “gusto” a ciò che fluisce … beh direi che qui è possibile liberare la metafora fino a meditare, cioè, a cercare il senso profondo di ciò che si offre agli occhi.
Costruire, simbologie, aprirle alle relazioni, intravvederle, renderle percepibili … in fin dei conti è esattamente ciò che umanamente ci è dato di fare per combattere il non senso del flusso incessante e immemore dell’inconsapevole. Costruire e proporre un “senso” possibile, dare un significato che costruisca e apra pensieri: questo si che è intrinsecamente umano.