Andrea Bianconi – Love me tender
“Sono uno specchio, un’eco. L’epitaffio”. Parole di Borges, per dire dell’infinito, dell’innumerabile, del tempo, dell’eternità o della ciclicità dei tempi. Ma anche, per sottolineare la convivenza e la compresenza di tutte le cose tra di loro, la loro connessione fluida, ininterrotta che si perpetua attraverso la presenza (o la sparizione) dell’autore stesso. Ebbene, tutta la ricerca degli ultimi anni di Andrea Bianconi (Arzignano, VI, 1974; vive e lavora tra Vicenza e New York) sembra concentrarsi su un’idea di perpetuazione del vissuto.
Comunicato stampa
“Sono uno specchio, un’eco. L’epitaffio”. Parole di Borges, per dire dell’infinito, dell’innumerabile, del tempo, dell’eternità o della ciclicità dei tempi. Ma anche, per sottolineare la convivenza e la compresenza di tutte le cose tra di loro, la loro connessione fluida, ininterrotta che si perpetua attraverso la presenza (o la sparizione) dell’autore stesso. Ebbene, tutta la ricerca degli ultimi anni di Andrea Bianconi (Arzignano, VI, 1974; vive e lavora tra Vicenza e New York) sembra concentrarsi su un’idea di perpetuazione del vissuto, del perdurare di esistenze, anche quando queste sono ridotte a semplici resti, a spoglie ingegnose o maliziose. Anzi, l’artista vicentino pare spingere la sua operazione alle estreme conseguenze, legando (e collegando) uno sterminio di oggetti in una sorta di alluvione romantica e surreale, fino a far perdere loro ogni profilo consueto, ogni riconoscibilità, ogni corporeità. A contare è soprattutto l’utopica idea di collezionare il mondo, come fosse una casa di adorabili fantasmi, una raccolta di saperi indiziari, esposti alla fragilità, al movimento, al mutamento che è la caratteristica stessa del sapere. Niente può essere davvero ordinato o classificato: e gli strumenti che Bianconi utilizza per assemblare il suo bizzarro archivio (corde, nodi, gabbie, colle), più che unire e rinchiudere, risvegliano i “demoni dell’analogia”, attivano un infinito gioco di rimandi, collegamenti, possibilità visive. Le stesse installazioni fatte di gabbie in legno e metallo verniciate di nero non sono altro che “sculture” che disegnano lo spazio. E’ tutto un entrare e un uscire di segni, un imbrogliarsi di linee, come nelle “carceri” che si moltiplicano all’infinito di Piranesi: labirinti architettonici di scale, piani, volte che si arrampicano verso il vuoto. E’ lo stesso artista che parla di “continue sovrapposizioni, di costruzioni e decostruzioni”: “la gabbia la uso, dice, perchè la mia testa sta esplodendo di pensieri e io non riesco a contenerli tutti”.
Eppure, questi pensieri, Bianconi sembra riuscire a contenerli nell’ultimo ciclo di lavori dal titolo “Love Story”, dove ricopre sedie, biciclette, soprattutto vasi di fiori, con colate di cemento, vinavil e smalti vari. E, stendere il colore su una cosa, si sa, assume il significato di intimizzarla, di invaderne la pienezza, di condividerne l’essenza. In realtà ciò che appare vicino è anche posto sotto il segno della lontananza: noi lo riconosciamo, ma esso non si lascia mai cogliere pienamente, perchè si colloca al di là rispetto al mondo dei fenomeni: “fa parte della metafisica: ospita il vuoto, custodisce il silenzio, accoglie il nulla”, scrive Luigi Meneghelli in catalogo. Ancora una volta cioè lo sguardo di Bianconi non sosta sull’opacità delle cose e degli oggetti, ma ne moltiplica le possibilità di sorpresa, ne illumina la realtà attraverso scorci imprevisti e accostamenti singolari. Ne fa proprio “echi”, risonanze borgesiane.
PRESS RELEASE
"They are a mirror, an echo: the epitaph". These were the words Borges used in order to speak about the infinite, the innumerable, about time, eternity, and the cyclic nature of time. But also to underline the cohabitation and coexistence of all things, of their fluid and uninterrupted connection that continues through the presence (or disappearance) of the author himself. And yet all of the recent art by Andrea Bianconi (Arzignano, 1974; he lives and works in Vicenza and New York) seems concentrated on the idea of perpetuating what exists, of the persistence of existence, even when this are nothing more than remnants, ingenious or malicious remains. The artist seems to push his actions to their extreme consequences by tying together or linking a whole range of objects in a kind of romantic and surreal flood, until they lose their usual sense and recognisability. What counts above all is his utopian idea of collecting together the whole world, as though it were a house full of lovable ghosts, a collection of circumstantial knowledge exposed to the fragility and change that characterize knowledge itself. Nothing can really be ordered and classified: the tools that Bianconi uses in order to assemble his bizarre archive (strings, knots, cages, glues), more than uniting and enclosing, reawaken the "demons of analogy" to spark off an infinite game of allusions, links, and visual possibilities. His installations of black-painted wooden and metal cages are nothing other than "sculptures" that draw space. It is all an entrance and exit of marks, a tangle of lines, as in Piranesi's endless "prisons": architectural labyrinths of stairs, planes, and arches that climb towards the void. The artist himself speaks of "continuous superimpositions, of constructions and deconstructions"; he has said, "I use cages because my head is exploding with ideas and I can't contain them all".
And yet Bianconi seems to contain them in his latest series of works, "Love Story", where he covers chairs, bicycles and, above all, vases of flowers, with cement, Vinavil, and various enamels. And as we know, to apply colour to something means to make it intimate, to invade its fullness, and to share its essence. In fact, what appears to be near is also marked as being placed at a distance: we recognize it but we can never fully understand it because it is placed beyond the world of phenomena. As Luigi Meneghelli has written in the catalogue, "it is part of metaphysics: it hosts emptiness, is the custodian of silence, and accepts the void". In other words, once again Bianconi's vision does not dwell on the opacity of things and objects, but multiplies their possibilities for surprising, and illuminates reality through unforeseen views and strange combinations. They echo with the resonance of Borges.