Alessandro Busci – Parthenognesis

Lo spazio multidisciplinare di Giuseppe Mannajuolo e Mario Pellegrino – prende il via con la mostra “Parthenognesis” di Alessandro Busci.
Comunicato stampa
Da giovedì 16 ottobre 2025, la stagione espositiva della galleria Al Blu di Prussia (via Gaetano Filangieri, 42 - Napoli) – lo spazio multidisciplinare di Giuseppe Mannajuolo e Mario Pellegrino – prende il via con la mostra “Parthenognesis” di Alessandro Busci.
La mostra, promossa dalla Fondazione Mannajuolo è la quarta personale a Napoli per l’artista milanese Alessandro Busci che torna negli spazi della galleria Al Blu di Prussia con un nuovo ciclo di opere nelle quali tra figurazione e astrazione rivela la miscela di magia, rovina e rinascita di una città sospesa in una perenne transitorietà.
In esposizione, accompagnato da un intenso testo di Angelo Crespi, un vibrante corpus di oltre 20 lavori inediti di formato medio e grande, tutti smalti su acciaio corten e su carta nei quali l’artista mostra maturità stilistica e rivoluzione materica.
Filo conduttore la prepotenza della natura e la tensione tellurica, Alessandro Busci spazia tra scorci tipici alludendo sin dall’emblematico titolo “Parthenogenesis” (riproduzione virginale) alla millenaria attitudine di sopravvivenza miracolosa della città, della sua capacità di rinascita per autorigenerazione tra catastrofi passate e imminenti.
“E’ una pittura adesso matura quella di Busci che ha abbandonato collaudati schemi compositivi, per addentrarsi in territori dove talora l’astrazione sembra prevalere sulla figura; una maturità tecnica in cui il gesto si è liberato di qualsiasi accademismo e che ha permesso al pittore milanese di liberarsi da qualsiasi manierismo rimanendo però fedele a uno stile, e a un materiale come il ferro (…). La questione tecnica non è secondaria: l’utilizzo dell’acqua e degli acidi per le basi in acciaio corten sui cui vengono impressi gli smalti, prefigurava fin dall’inizio della carriera una fuoriuscita dalla figurazione più classica (…). In seguito, sempre più spesso, Busci si è confrontato con il paesaggio naturale, penso alle teorie di montagna, o agli iceberg, in cui le sagome dei monoliti di ghiaccio si confondono con il mare sottostante e il cielo retrostante, e i riflessi tendono a confondersi in macchie, e in cui la parte più figurativa è una memoria, un lacerto ormai di figura (…). La fiducia che il proprio lavoro possa dire qualcosa di nuovo del reale, si ritrova nella Napoli immaginata più volte da Busci che appare magicamente dal fondo ferroso, così distante da ogni confortante veduta da cartolina o da souvenir, non c’è nessun approccio folkloristico, bensì la crudezza dell'immaginazione”. (dal testo di Angelo Crespi).