Lalibela, shamma e preghiere. Reportage fotografico dall’Etiopia

Siamo a Lalibela, città etiope che fa da cornice alle celebrazione del Genna, il Natale copto. Un mix di rituali arcaici che fanno viaggiare indietro nel tempo. Ecco il racconto, attraverso parole e immagini, di Valerio Corzani.

Sono gesti lenti, come una recita al ralenti. Siamo appesi al movimento della mano del capofamiglia che, dopo aver tostato i chicchi verdissimi, mescola il caffè in un vecchio tegame. Il chiaroscuro della catapecchia prende luce dalla porta d’entrata e viene ogni tanto “agitato” dalla bimba col moccolo che fa quello che fanno tutti i bambini: protesta la vita, rumorosamente. Il resto della famiglia è fatto di figure che si muovono il meno possibile in questa casetta di calce e lamiere: la moglie, la nonna, una capretta smilza. È lo stesso chiaroscuro, da grotta scavata nella roccia, che abbiamo attraversato dieci minuti a piedi da qui, nel piccolo monastero di Ashetan Maryam, affollato di sacerdoti, fedeli, icone e pergamene.

LE CELEBRAZIONI DEL GENNA, IL NATALE COPTO

Siamo a Lalibela per assistere alle celebrazioni del Genna, il Natale copto che ha conservato ancora tutti i suoi riti arcaici. È come attraversare un Medioevo cristiano, immutato nei secoli, una sorta di febbre mistica, la magia del Genna… Anche quest’anno, complice una diffusione della pandemia da Covid ancora relativamente sotto controllo, dovevano convergere folle di pellegrini in questa zona dell’Africa orientale depositaria di un carisma spirituale immutato nei secoli. L’incognita, salita precipitosamente alle cronache in questi ultimi mesi, è data piuttosto dalle gravi turbolenze politiche e dagli scontri etnici nella zona del Tigray, vasta regione a quasi trecento chilometri a nord di Lalibela e al confine con l’Eritrea

Lalibela, Etiopia. Photo © Valerio Corzani

Lalibela, Etiopia. Photo © Valerio Corzani

UN RITO CHE NON SI DIMENTICA

Paradossalmente è stato proprio il suo perdurante status di “terra santa” che ha tolto, per secoli, ogni vis agonistica, ogni fanatismo, al rito che si celebra in questa cittadina a 2500 metri sul livello del mare, con ventimila abitanti che diventano più di centomila a inizio gennaio. È infatti questo il periodo in cui solitamente le genti dell’altopiano, gli Amhara e i Tigrini, contadini e pastori, si mettono in cammino lungo le piste polverose abbigliati come ai tempi della Bibbia: gli uomini con i loro dula, i lunghi bastoni da preghiera, le donne con qualche ramo di pianta benefica, entrambi con il capo coperto dallo shamma, il velo di garza bianca. Formano lunghe processioni dirette verso le chiese rupestri.

LA PROCESSIONE E IL TABOT

È un’esperienza unica e imperdibile assistere alla processione con cui i sacerdoti portano fuori dalla chiesa il Tabot, la lastra di pietra che raffigura la tavola dove Dio scrisse con un dito i Dieci Comandamenti, mentre i fedeli sono avvolti nei loro shamma, i teli di cotone tradizionali, che usano anche come coperte, quando la notte e l’altitudine si fanno sentire. In questi i giorni i canti dei pellegrini si impossessano della città e ogni rito è accompagnato da una dolce e lenta melopea che culla la folla come uno sciame sonoro.

Valerio Corzani

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Valerio Corzani

Valerio Corzani

Valerio Corzani è autore, giornalista, conduttore radiofonico, musicista, fotografo e globetrotter. È una delle voci più note di Radio3 Rai e della Radio Svizzera Italiana, scrive su Il Manifesto, Alias, Lonely Planet, Blogfoolk. In passato ha collaborato con Velvet, Fare…

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