Interpretare una collezione. Sei artisti-curatori al Guggenheim Museum di New York

Solomon R. Guggenheim Museum, New York – fino al 12 gennaio 2020. Cai Guo-Qiang, Paul Chan, Jenny Holzer, Julie Mehretu, Richard Prince e Carrie Mae Weems vestono i panni dei curatori nella mostra newyorkese che reinterpreta la collezione del Guggenheim Museum.

A volte è solo questione di prospettive e basta uno sguardo diverso per scoprire una nuova natura in ciò che già si conosce. È questa la sensazione che si ha visitando la mostra in corso al Guggenheim Museum di New York, dal titolo Artistic License: Six Takes on the Guggenheim Collection.
Per celebrare il sessantesimo anniversario dell’iconico edificio firmato da Frank Lloyd Wright che ospita il museo, l’istituzione newyorchese ha incaricato sei artisti contemporanei ‒ che hanno contribuito alla storia del Guggenheim con importanti mostre personali nel corso degli anni ‒ di selezionare opere dalla propria collezione di arte del Novecento. Ognuno dei sei artisti, Cai Guo-Qiang, Paul Chan, Jenny Holzer, Julie Mehretu, Richard Prince e Carrie Mae Weems, ha scelto un tema intorno a cui organizzare il materiale estratto dalla collezione. Ogni tema corrisponde a una sezione della mostra e ogni sezione ha il suo curatore e il suo carattere distintivo. Lo sguardo degli artisti-curatori riflette un approccio unico: esplorando gli archivi del museo e scegliendo a volte di presentare lavori poco noti o mai esposti prima, gli artisti sono riusciti a creare accostamenti inediti che suscitano interessanti riflessioni sulla storia del museo e dell’arte del Novecento.
Si tratta della prima mostra curata da artisti mai andata in scena al Guggenheim e l’allestimento, che occupa l’intera rampa a spirale dell’edificio di Wright, raccoglie oltre 300 opere, fra dipinti, sculture, fotografie, installazioni e lavori su carta. Seppure gli artisti siano stati affiancati nel proprio lavoro da Nancy Spector, direttore artistico del museo, e dal team di curatori del Guggenheim, il risultato è qualcosa di inatteso, molto diverso dalle mostre tradizionalmente curate. Alcuni accostamenti hanno un che di didascalico, altri sembrano riflettere un gusto marcatamente personale. Ma è proprio questo a rendere la mostra interessante e divertente: il percorso espositivo è un viaggio avventuroso nella storia dell’arte del Novecento e, tra opere raramente esposte e percorsi inusuali, riserva continue sorprese.

PRIMA DELLO STILE

Al primo livello della rampa affacciata sulla rotonda centrale, troviamo Cai Guo-Qiang con Non-Brand, una selezione di opere realizzate a inizio carriera da artisti in seguito divenuti noti per lavori astratti o concettuali. La presentazione mostra ciò che è stato prima dell’affermazione di questi famosi autori, prima che il loro nome venisse associato a uno specifico stile e diventasse marchio. All’inizio del percorso espositivo, una parete affollata di quadri raccoglie lavori figurativi di decine di nomi noti tra cui Vassily Kandinsky, Joseph Beuys, Constantin Brâncuși, Willem de Kooning, Walter De Maria, Marcel Duchamp. È interessante ritrovare alcuni tratti distintivi di questi autori anche in queste iniziali sperimentazioni, ma altrettanto interessante è scoprire scelte estetiche inaspettate e influenze stilistiche poi andate perdute. Oltre a mettere insieme una selezione della raccolta e a includere alcuni dei propri lavori, Cai Guo-Qiang, curatore di questa sezione, ha anche prodotto una nuova serie di opere che citano famosi lavori che costituiscono il marchio di fabbrica della collezione Guggenheim, utilizzando il suo mezzo preferito, la polvere da sparo su vetro e specchio.

Lawrence Weiner, To the Sea - On the Sea - From the Sea - At the Sea - Bordering the Sea, 1970. Solomon R. Guggenheim Museum, New York, Collezione Panza © 2019 Lawrence Weiner - Artists Rights Society (ARS), New York

Lawrence Weiner, To the Sea – On the Sea – From the Sea – At the Sea – Bordering the Sea, 1970. Solomon R. Guggenheim Museum, New York, Collezione Panza © 2019 Lawrence Weiner – Artists Rights Society (ARS), New York

AL MARE E AL BAGNO

Proseguendo lungo la rampa, ci si ritrova davanti a una parete su cui campeggiano i caratteri blu di TO THE SEA / ON THE SEA / FROM THE SEA / AT THE SEA / BORDERING THE SEA (1970) di Lawrence Weiner. È l’opera che apre la sezione curata da Paul Chan, Sex, Water, Salvation, or What Is a Bather?, che indaga la rappresentazione dell’acqua nell’arte occidentale, la figura del bagnante e il rapporto tra il piacere e il corpo. Le opere in mostra ci ricordano, come si legge nel testo che introduce la sezione, che il piacere ci rinnova e che non c’è colpa o aggressione nel piacere. La selezione celebra il potere purificante dell’acqua e quanto fragile sia questo sistema. Accostato alla parete di Weiner, troviamo un atipico Mondrian, Summer, Dune in Zeeland (1910), dove note di giallo acceso su sfondo blu e azzurro trasmettono tutta la vitalità dell’estate. Resta in tema marittimo L’Étoile de mer, opera di un Léger a fine carriera (1942), mentre trasporta nel mito mediterraneo la serie di tre gouache animate di ciclopi e sirene di Giacomo Manzù. Curiosa variazione sul tema, la serie di fotografie di Laurie Simmons che ritraggono scene all’interno di una stanza da bagno, presumibilmente parte di una casa per le bambole degli Anni Settanta.

ASTRATTISMI DAL MONDO

Uscendo dal mondo acquatico di Chan, si entra nella sezione curata da Richard Prince, Four Paintings Looking Right, a partire dalla constatazione della politicizzazione dell’Espressionismo Astratto americano, usato, suo malgrado, in contrapposizione al socialismo reale, per poi arrivare a una presentazione che sintetizza le qualità visive dell’astrattismo internazionale tra gli Anni Quaranta e Cinquanta. Esponendo lavori di Martin Barré, Conrad Marca-Relli, Georges Mathieu, Kenzo Okada, Judit Reigl, questa sezione ricostruisce quel ponte tra culture e movimenti artistici che fu l’astrattismo. In una delle nicchie della rampa, troviamo un Afro del 1957 (Night Fight), felicemente accostato all’olio su tela Signs and Portents (1956) di José Guerrero e alla scultura in ottone di Étienne Hajdu, Cock (1954). Prince, artista concettuale membro della Pictures Generation, include nella selezione anche alcuni lavori parte della sua raccolta personale. Tra questi, un piccolo quadro per anni attribuito a Pollock e appartenuto alla collezione di Mercedes Matter. Inoltre, due opere di Stuart Sutcliffe, oggi ricordato come il quinto Beatle ‒ fu infatti il primo bassista del gruppo di Liverpool. Sutcliffe lasciò la band prima del successo, nel ‘61, per dedicarsi alle arti visive, ma appena un anno dopo morì di emorragia cerebrale. I due quadri in mostra, realizzati da un giovanissimo pittore ancora in cerca di uno stile, mostrano l’influenza di diversi approcci all’astrattismo, restando in equilibrio tra una pennellata più lirica e tratti più decisi e meccanici.

Laurie Simmons, First Bathroom-Woman Kneeling, 1978. Solomon R. Guggenheim Museum, New York © Laurie Simmons

Laurie Simmons, First Bathroom-Woman Kneeling, 1978. Solomon R. Guggenheim Museum, New York © Laurie Simmons

SE L’ARTE VEDE NERO

Affronta uno specifico periodo e un corrispondente stato d’animo globale, la sezione curata dall’artista di origini etiopi Julie Mehretu. Cry Gold and See Black raggruppa opere realizzate nel secondo dopoguerra, quando artisti di tutto il mondo furono costretti a fare i conti con le atrocità compiute dall’essere umano durante la Seconda GUERRA MONDIALE e allo stesso tempo ad affrontare l’ansia generata da un clima di diffusa instabilità. In quello scenario, l’arte è stata testimone del dolore, ma anche sentinella e custode di valori e allo stesso tempo è stata portatrice di cambiamento ed espressione di un futuro possibile. La sezione prende il titolo da una serie di opere in mostra in cui si mescolano questioni politiche, geopolitiche e sociali: la delicata scultura The Cry (1959) di Isamu Noguchi; il particolarissimo Untitled (Gold Painting) (1953 ca.) di Robert Rauschenberg e l’angoscioso Close Your Eyes and See Black (1969) di David Hammons. In mostra anche Una Composizione (1953) e un Legno e bianco 1 (1956) di Alberto Burri, voce distintiva del Dopoguerra, nel cui lavoro si trovano i profondi segni del conflitto mondiale. Altrettanto appropriata al tema è l’opera di Dubuffet, Triumph and Glory (1950), così come il trittico di Francis Bacon, Three Studies for a Crucifixion (1962) e la serie di autoritratti in movimento di Blythe Bohnen. La sezione propone inoltre alcune opere che testimoniano le prime ricerche nell’ambito della performance e dell’installazione, dando conto anche dell’inquietudine creativa nelle sperimentazione con i mezzi espressivi.

COLLEZIONI SENZA COLORE

È una domanda senza punto interrogativo il titolo della sezione affidata a Carrie Mae Weems, What Could Have Been, che propone una selezione rigorosamente in bianco e nero, come metafora di un ipotetico scenario in cui le collezioni dei musei riflettano una più ampia e complessa palette di colori culturali ed etnici. L’artista-curatrice sceglie il bianco e nero per suggerire uno sguardo a colori sulla storia dell’arte, uno sguardo che sia in grado di integrare la produzione creativa di chi è stato tradizionalmente escluso dalla storia ufficiale. Gli artisti qui in mostra sono a loro volta parte di quella monocromia. La sezione si apre con Virgin (Jungfrau) (1979) di Joseph Beuys: un banco, una sedia, una lavagna e una lampadina che scende dal soffitto, uno spazio per l’apprendimento, l’analisi e la ricerca. Non sembra casuale che sia proprio con quest’opera che Carrie Mae Weems abbia voluto aprire la sua sezione, come una lezione di storia dell’arte in negativo. Tra gli altri, troviamo pezzi di Franz Kline, Mark Rothko, Jean Arp, Jean Tinguely. In una delle nicchie è gloriosamente posizionato uno dei feltri di Robert Morris, Untitled (Black Felt) (1969, ca.). In un’altra troviamo due lavori di Alberto Giacometti. La sezione è inoltre ricca di fotografie, ovviamente in bianco e nero, in cui finalmente spunta, nei soggetti rappresentati, una nota di diversità.

Louise Nevelson, Luminous Zag. Night, 1971. Solomon R. Guggenheim Museum, New York © Estate of Louise Nevelson - Artists Rights Society (ARS), New York

Louise Nevelson, Luminous Zag. Night, 1971. Solomon R. Guggenheim Museum, New York © Estate of Louise Nevelson – Artists Rights Society (ARS), New York

UNA STORIA AL FEMMINILE

Ancora esclusi, o meglio escluse, nella sezione curata da Jenny Holzer e dedicata alle artiste, spesso rimaste fuori dalla storia dell’arte, dalle grandi collezioni e dai grandi musei. Il Guggenheim stesso, come si legge nel testo che introduce la sezione, ammette una carenza nella rappresentazione della parte femminile dell’arte, pur avendo legato il proprio nome al successo e alla visibilità di alcune artiste come Louise Bourgeois e Helen Frankenthaler, Agnes Martin, Joan Mitchell e Louise Nevelson. Oltre a questi nomi, Holzer fa spazio a carriere meno note e a lavori raramente esposti, come le delicate sculture a filo di Ruth Asawa o le composizioni al neon di Chryssa. Molto riuscito l’accostamento del poderoso Luminous Zag: Night (1971) di Louise Nevelson con l’autoritratto del 1945 di Ilse Bing e quello del ‘73 di Liliana Porter. Lo spazio dedicato a Louise Bourgeois vale di per sé la visita. L’installazione termina con una bella selezione di fotografie di artiste associate alla Pictures Generation, tra cui Cindy Sherman, Nan Goldin, Sarah Charlesworth e Barbara Kruger. Qui la critica femminista si fa più evidente, eppure la classificazione all’interno di una presunta categoria di arte femminile continua a essere sfuggente. La domanda è se l’arte femminile sia tale perché costretta a identificarsi come tale e a lottare per una propria voce o se davvero esista una sensibilità diversa. La sezione curata da Jenny Holzer sembra dare una risposta che mette in discussione il concetto stesso di un’arte femminile.

Maurita Cardone

New York // fino al 12 gennaio 2020
Artistic License: Six Takes on the Guggenheim Collection
SOLOMON R. GUGGENHEIM MUSEUM
1071 Fifth Avenue
www.guggenheim.org

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro. Dal 2011 New York è…

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