Lacan al Louvre, o l’invisibilità dell’evidente. Cosa ci rivela il furto dei gioielli della Corona di Francia? 

L'audace furto al Louvre ha scosso l'opinione pubblica e il mondo della cultura. Ma c'è un dettaglio che sta passando inosservato e che Marco Senaldi analizza attraverso la psicanalisi: com'erano vestiti i ladri

Pochi giorni fa, il mondo dell’arte è stato scosso da un audace furto al Musée du Louvre di Parigi. Non una tela di inestimabile valore, ma un set di gioielli antichi, sottratto con una rapidità e una disinvoltura che hanno spiazzato la grandeur francese e suscitato meme satirici a valanga. Tuttavia, mi pare sia passato inosservato un dettaglio che rende questo episodio degno di analisi critica, cioè l’abbigliamento scelto dai malviventi. I ladri, stando al video che è circolato quasi subito sui media, avrebbero agito indossando il gilet giallo ad alta visibilità, l’indumento creato per l’uso stradale e lavorativo, sinonimo visivo di impegno civico, operosità e sicurezza. In Francia, però, occorre ricordare che il gilet jaune aveva già assunto una risonanza ben diversa e molto più ampia, quando divenne il simbolo iconico e immediatamente riconoscibile di un movimento di protesta politica, le grandi manifestazioni iniziate nel 2018 contro le politiche governative. 

Il “Gatto” di Hitchcock… al contrario 

L’uso di un capo d’abbigliamento così deliberatamente visibile per commettere un crimine che richiede l’invisibilità è un paradosso affascinante, forse persino una beffa? Invece di camuffarsi, per esempio indossando la celebre calzamaglia nera del Gatto, il protagonista dell’hitchcockiano Caccia al ladro, per passare inosservati nelle tenebre, i ladri parigini hanno usato un indumento pensato per non passare inosservati e hanno eluso la sorveglianza proprio rendendosi eccessivamente visibili

Il paradosso de “La Lettera Rubata” 

Questa singolare strategia evoca immediatamente una delle più acute disquisizioni della teoria psicoanalitica e letteraria, cioè il seminario tenuto da Jacques Lacan negli anni Cinquanta, intitolato Il Seminario sulla Lettera Rubata. In quel seminario, Lacan analizzò il celebre, omonimo racconto di Edgar Allan Poe, in cui una lettera compromettente viene rubata e la polizia, guidata dal Prefetto, non riesce a trovarla. Il Prefetto aveva cercato la lettera ovunque, in ogni anfratto nascosto, convinto che il ladro l’avrebbe occultata con grande astuzia. Ma solo il detective Dupin, alla fine, riesce a scoprirla, perché capisce che non poteva trovarsi in qualche complicato nascondiglio, ma era fin dall’inizio ben visibile, semplicemente messa in bella mostra sopra il camino. L’errore fatale del poliziotto, secondo Lacan, è stato credere che ciò che è importante debba necessariamente essere nascosto. La lettera invece (come la Verità) era lì, sotto gli occhi di tutti, e proprio per questo è rimasta invisibile: l’estrema evidenza è diventata la sua mimetizzazione. 

Una teca dopo il furto
Una teca dopo il furto

L’invisibilità dell’evidente 

Il furto al Louvre è un esempio lampante di questa lezione lacaniana applicata al crimine. Agire travestiti da “gilet gialli” (o da operai) nel contesto di un’area museale è talmente banale, e al tempo stesso così palesemente fuori luogo in un contesto di protesta politica, da generare una distrazione cognitiva. Chi vede un gilet giallo si aspetta un operaio o, al massimo, un manifestante; l’attenzione si concentra sul simbolo o sulla funzione attesa, non sull’azione in corso. La divisa, destinata a segnalare la presenza, ha finito per renderla irrilevante. La morale, per cui a volte ciò che è più evidente risulta invisibile, non è utile solo per i ladri d’arte o i detective. Essa risuona potentemente anche nella nostra vita contemporanea: in ambito economico, i grandi scandali o le bolle speculative spesso non si nascondono in documenti segreti, ma emergono in fenomeni talmente pubblici, da essere ignorati ignorati finché non collassano. Allo stesso modo, in politica, le manipolazioni o le verità più scomode sono esposte in una luce talmente evidente, da risultare accecante. Nell’arte, le opere più celebri e accessibili nei musei rischiano di diventare “invisibili” perché le vediamo ogni giorno riprodotte ad nauseam, proprio come la Gioconda louvreana, che secondo Duchamp abbiamo da tanto tempo smesso di vedere davvero. 

Troppe immagini non ci fanno più vedere 

Il gilet giallo, indumento nato per l’utilità e trasformato in icona di rivolta, usato infine come stratagemma per un furto, ci ricorda che il vero crimine oggi non è celare, ma sovraccaricare il campo visivo di una mole catastrofica di innumerevoli evidenze, sapendo che gli occhi, abituati a cercare il nascosto, ignoreranno ciò che è esposto.

Marco Senaldi

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Marco Senaldi

Marco Senaldi

Marco Senaldi, PhD, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea, ha insegnato in varie istituzioni accademiche tra cui Università di Milano Bicocca, IULM di Milano, FMAV di Modena. È docente di Teoria e metodo dei Media presso Accademia di Brera, Milano…

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