Musica, anzi no: arti sonore. A Roma parte il 90dB Festival

Quattro giorni per una full immersion totale nelle “arti sonore”. Parte infatti giovedì 11 settembre il festival 90dB, per proseguire fino a domenica 14. In una location già di per sé notevole: un’ex cartiera all’interno del Parco dell’Appia Antica. Siamo a Roma, naturalmente, e il resto ce lo racconta il compositore - nonché condirettore artistico del festival - Stefano Tedesco.

Partiamo dal nome del festival: 90dB – Festival Internazionale delle Arti Sonore. Perché proprio novanta decibel?
Il nome 90dB fa riferimento alla soglia dei decibel oltre la quale il suono può iniziare a produrre effetti lesivi sull’apparato uditivo. Si tratta quindi di una sorta di riferimento indiretto al margine sempre più sfumato fra musica e rumore, ma soprattutto un concetto che sottintende la volontà di perlustrare i limiti espressivi dell’arte sonora contemporanea. 90dB Festival tenta di percorrere proprio questi spazi di confine, in cui lo sviluppo della tecnologia digitale, la possibilità di generare interfacce sempre più articolate e l’estrema duttilità dei sistemi interattivi hanno reso gradatamente più labili le distinzioni fra suono e materia, superficie architettonica e soundscape, tridimensionalità e ambient music.

L’accento è posto quindi sul côté tecnologico?
New media e nuove tecnologie, sì, ma anche uno sguardo approfondito sulla gestualità delle performance e sulla fisicità del suono, generato da installazioni meccaniche che sfruttano le semplici leggi di natura, tornando a mettere in risalto la stretta connessione fra la corporeità degli elementi e il processo creativo.

Ecco spiegato perché “arti sonore” invece di “musica”…
Il festival nasce come tentativo di aprire uno spazio per l’indagine sul rapporto fra suono e ambiente, pratica creativa e nuovi mezzi tecnologici. Quindi, per quanto riguarda la parte espositiva tutto ruoterà attorno ai concetti di sound art e digital art, focalizzandosi anche sul tema dell’interattività per coinvolgere il visitatore in un rapporto più diretto e stimolante con le opere.

David Maranha, 2013 - photo Nuno Martins

David Maranha, 2013 – photo Nuno Martins

Qualche esempio?
In alcune opere il suono diverrà un momento di aggregazione, come nel caso della micro-orchestra messa a disposizione del pubblico dal collettivo Tim Murray-Browne and the Music Hackspace Ensemble (vincitrice nella categoria Digital Art dell’edizione 2014 del Sonic Arts Award), composta da una “sonosfera“, un generatore di onde simile al theremin, superfici di luce che producono suono mediante giochi di ombre e sensori che si azionano attraverso il contatto diretto col corpo. In altre, sarà un momento di riflessione sulla memoria, come nel caso del moto perpetuo e dei processi alchemici generati dai sei moduli “monocorda” di Edgardo Rudnitzky, percossi da un congegno formato da un piccolo battente in legno, una molla metallica e una candela.
Altrove, gli artisti lavoreranno sulle relazioni dirette fra suono e immagine, come nell’installazione di Kathy Hinde in cui la parte interna di un vecchio pianoforte verticale viene riutilizzata per dar vita a una scultura sonora cinetica, sulla quale sono proiettate le ombre di uccelli che col battito delle ali generano una partitura musicale in continua evoluzione. O ancora nell’opera di Valerio De Bonis e Giulio Colangelo, in cui una goccia d’acqua cade dall’alto e un microfono a contatto nascosto in una teca di vetro ne cattura la vibrazione e la fa rimbalzare all’interno dello spazio fra una serie di diffusori, dando inizio a una reazione a catena.
La mostra ospiterà anche i video di Memo Akten, l’opera Garden of Signals di Jeremy Keenan, in cui il feedback viene utilizzato come processo autogenerativo, e infine l’impianto audio di David Hochgatterer, vincitore della seconda edizione del premio internazionale Sonic Arts Award e presentato col titolo Time to X, in cui l’autore ha sezionato in frammenti un file audio contenente una frase registrata e ha riprodotto ognuno di essi simultaneamente su ciascuno dei 96 altoparlanti che compongono una struttura di quasi cinque metri di lunghezza, montata su parete.

Ci racconti com’è stato strutturato il programma dei concerti?
Riguardo ai musicisti, la scelta si è fondata su una sorta di ideale bilanciamento fra le varie componenti che caratterizzano l’attuale scena della sperimentazione sonora. Se è vero che sin dal momento in cui è stato per la prima volta formulato il concetto di “musica concreta”, il suono ha progressivamente assunto proprietà e significati sconosciuti in passato, oggi la dimensione plastica, le componenti materiche e gli aspetti visuali ad esso connessi lo hanno ormai proiettato in un territorio complementare rispetto a quello delle arti figurative, per cui spesso non è quasi più possibile delimitare i rispettivi ambiti di appartenenza.

Laboratorio "Oggetti sonori" - Courtesy Teatro Pane e Mate

Laboratorio “Oggetti sonori” – Courtesy Teatro Pane e Mate

Anche in questo caso: esempi?
Herman Kolgen proporrà una performance audiovisiva intitolata Seismik, in cui l’artista rende visibile l’invisibile con un sofisticato software che registra i campi magnetici e l’attività sismica da San Paolo a Kyoto, dando vita a un suono astratto e ad immagini in costante evoluzione. Anche il percussionista tedesco Michael Vorfeld si esibirà in un live set a metà strada fra improvvisazione elettroacustica e installazione, utilizzando un set di lampadine di differente grandezza e potenza in cui l’affascinante effetto acustico generato dai filamenti elettrici dialoga con le suggestioni visive prodotte dai suoi macchinari autocostruiti. I drones di Oren Ambarchi e l’elettronica destrutturata di Rashad Becker, i mondi paralleli di storici sperimentatori come Alvin Curran e David Maranha, il suono oscuro e sfuggente di Lucrecia Dalt e di Eli Keszler, completeranno questo quadro composito e ad ampio spettro, una rassegna su quanto di più interessante si sta affermando oggi nel panorama sperimentale contemporaneo.

Ci saranno anche gruppi legati al territorio capitolino?
Sì, nel programma è inserita una serie di realtà romane come il collettivo Circuiterie, Heroin in Tahiti e Franz Rosati, affinché il festival possa diventare un punto d’incontro e di crescita per tutti coloro che in città gravitano attorno alla sperimentazione di matrice non accademica, attiva soprattutto al di fuori del circuito museale o, più genericamente, istituzionale.

Parliamo della location: siamo in una ex cartiera, nel Parco dell’Appia Antica. Suggestioni moderniste e antiche mescolate insieme, quindi grande fascino. Com’è nata la scelta del luogo?
Il complesso dell’ex Cartiera Latina è uno dei pochi impianti industriali sopravvissuti nella città di Roma ed è a suo modo una struttura unica, uno scenario inconsueto e ricco di verde che si apre quasi a sorpresa in una zona semicentrale a ridosso delle Mura Aureliane, a due passi da Porta San Sebastiano, ma che in realtà non è molto visibile allo sguardo di tutti coloro che si trovano a passare in quella zona. Questa scelta si è legata all’idea di utilizzare spazi non convenzionali per connettere le pratiche della sperimentazione al contesto urbano e alle sue radici storiche, al fine di sviluppare una proposta che sia espressione di un rapporto più stretto fra creatività e territorio. Si tratta di una struttura affascinante, divisa in tre padiglioni risalenti al primo Novecento che ancora contengono al loro interno parte dei vecchi monumentali macchinari, perfettamente assimilabili alle strutture articolate, e spesso meccanizzate, delle installazioni o ai suoni da opificio che esse emettono: un gioco di contrasti fra memorie post-industriali e lo sguardo proiettato nel futuro della cultura digitale.
Tutt’attorno a questi tre volumi si sviluppa un’area verde, un piccolo parco in cui verranno organizzati un laboratorio sull’uso della scheda Arduino e due workshop sul suono per i bambini, oltre a un punto ristoro per poter trascorrere anche un’intera giornata in un contesto vivo e stimolante.

Parco dell'Appia Antica, Roma - photo Rosanna Palermo

Parco dell’Appia Antica, Roma – photo Rosanna Palermo

Qual è stato il percorso che vi ha condotti alla stesura di questa seconda edizione del festival?
90dB Festival nasce da più di dieci anni di lavoro dell’associazione moorroom nell’ambito dell’organizzazione di festival e rassegne.La prima edizione del Festival, essendo stata completamente autofinanziata, è confluita nella presentazione della seconda edizione del Sonic Arts Award, avvenuta a novembre 2013, all’interno dell’Opificio Telecom Italia. Dal 2002 l’associazione si occupa di arte, musica, architettura e antropologia, proponendo iniziative legate allo spazio urbano con la volontà di porre in correlazione realtà pertinenti a diversi campi di intervento. Queste linee guida sono state applicate sin dalle prime tre rassegne organizzate da moorroom (Sonìcity:architetti del suono:compositori del luogo) presentate a Corviale, negli ex Mercati Generali dell’Ostiense e a Laurentino 38 fra il 2002 ed il 2004. In questi casi si è sperimentata un’idea d’azione concreta applicata alle periferie e alle zone marginali della metropoli nel tentativo di reinterpretare gli spazi utilizzando in maniera innovativa l’architettura, la musica e l’arte contemporanea.
90dB è la prima manifestazione importante che moorroom organizza nuovamente a Roma dopo aver lavorato, negli ultimi sei anni, all’estero. Il festival è anche il frutto della collaborazione nata nel 2012 con il Sonic Arts Award, con l’intento di diffondere l’arte sonora in Italia attraverso un premio internazionale che, nel corso degli ultimi due anni, ha selezionato più di settecento opere provenienti da tutto il mondo. Una parte di questi lavori verrà proposta proprio all’interno di 90dB Festival, sia sotto forma di documentazione sonora che di istallazioni vere e proprie, stabilendo così un rapporto diretto e continuativo fra due realtà che da tempo operano nel campo della sperimentazione e della ricerca.

Marco Enrico Giacomelli

www.90dbfestival.org

 

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

Scopri di più