La poesia del Grande Fiume. Pietro Donzelli a Rovigo

Le sale di Palazzo Roverella ospitano per la prima volta una mostra di fotografia con il reportage realizzato da Pietro Donzelli sul Delta del Po fra il 1953 e il 1961. Cento scatti per una rassegna artistica e poetica insieme.

Un senso di profonda solitudine morde le viscere quando si lascia correre lo sguardo sulla profonda vastità della foce del Grande Fiume, le cui sponde videro la nascita di una civiltà di artigiani, contadini, pittori, fotografi, scrittori, ognuno a suo modo figlio di quelle acque, di quella terra così bassa e piatta dove i pesci nuotano più in alto degli uccelli. È qui, in mezzo a questa natura che porta in sé la geometria metafisica di Giorgio de Chirico, che l’uomo è costretto a essere se stesso per non lasciarsi schiacciare da quel sole che “picchia martellate sulla testa della gente”, come scrisse il suo cantore più celebre, Giovanni Guareschi. E proprio Terra senz’ombra Pietro Donzelli (Montecarlo, 1915 – Milano, 1998) ha voluto intitolare il suo racconto per immagini di un fiume e della sua civiltà, realizzato fra il 1953 e il 1961. Una terra che gli entrò nell’anima durante la Seconda Guerra Mondiale, quando vi svolse il servizio militare e visse i giorni tragici della sanguinosa ritirata della Wehrmacht con le sue vittime innocenti. Dallo sbandamento morale accusato all’indomani del 25 aprile risorse grazie alla fotografia, che divenne per lui un’esigenza espressiva, come la scrittura lo fu per Cesare Pavese. Al pari di Fenoglio, divise il lavoro d’impiegato con quello di artista/intellettuale, portando avanti in solitudine la sua ricerca poetica sul paesaggio, alla ricerca di radici che la guerra aveva rischiato di spazzare via.

Pietro Donzelli, Delta del Po. Terra senz'ombra. Valle Pega, venditrice ambulante, 1954 © Renate Siebenhaar, Estate Pietro Donzelli, Frankfurt a. M.

Pietro Donzelli, Delta del Po. Terra senz’ombra. Valle Pega, venditrice ambulante, 1954 © Renate Siebenhaar, Estate Pietro Donzelli, Frankfurt a. M.

UN POETA SU PELLICOLA

Negli anni del cinema neorealista, che videro il Po fare da sfondo a tanti capolavori, anche Donzelli crea una sue personale epica sociale, con uno stile che ricorda il montaggio cinematografico. Caratterizzato da quei campi lunghi e lunghissimi adatti a catturare la vastità delle prospettive in cui si muove una civiltà laboriosa, legata da secoli all’acqua e alla terra domate da un paziente e faticoso lavoro, che ha permesso il radicarsi di una profonda coscienza socialista romanticheggiante. Lo stesso fotografo porta dentro di sé i medesimi sentimenti, che emergono con discrezione nel suo racconto per immagini della vita di quella gente fiera del proprio lavoro e della propria fatica, che ha familiarità con quella natura bella e aspra, con gli animali compagni di lavoro, con i barconi sul Po che per molti divengono una sorta di “appendice” del casolare; si pesca, si draga, si trasportano persone e merci. Il Po come un luogo animato, dove però la presenza dell’uomo è sempre subordinata alla vastità del paesaggio; presenza che invece si fa calda e colorata nei paesi sparsi lungo il fiume e abitati da uomini e donne che avrebbero potuto essere stati intervistati da Soldati nel suo reportage sulla cultura gastronomica, o descritti da Guareschi nelle sue animate scene di piazza a Brescello. Donzelli racconta un mondo piccolo eppure grande, tocca il cuore di Strapaese e ne estrapola l’anima e la storia, fatte di episodi minuti come le tessere di un mosaico bizantino, appena sfiorate dal tempo che scorre placido come il Po sotto la calura d’agosto.

Pietro Donzelli, Delta del Po. Terra senz'ombra. Il sarto-barbiere di Scardovari © Renate Siebenhaar, Estate Pietro Donzelli, Frankfurt a. M.

Pietro Donzelli, Delta del Po. Terra senz’ombra. Il sarto-barbiere di Scardovari © Renate Siebenhaar, Estate Pietro Donzelli, Frankfurt a. M.

UNA STORIA RADICATA

E questo senso d’immobilità, di attesa, è in parte mutuato dai reportage sulla Grande Depressione realizzati dai colleghi d’Oltreoceano Walker Evans e Dorothea Lange. Ma l’esotismo finisce qui, Terra senz’ombra è un racconto per immagini radicato nel territorio, al punto che Donzelli accostò molti suoi scatti alle poesie dialettali del rodigino Gino Piva, anima nomade e anarcoide sullo stile di Ligabue, un altro che con il fiume parlava.
Un terra generosa e fertile, ma anche violenta e matrigna, che non risparmia flagelli come le inondazioni; numerose furono quelle avvenute fra gli Anni Cinquanta e Sessanta, i cui danni riportarono il Delta del Po ai giorni duri della guerra. Donzelli le documenta con la partecipazione emotiva di un contadino del Polesine che avesse perso i suoi animali, e quella stessa partecipazione la si ritrova in tutti gli aspetti della vita quotidiana, dal lavoro in campagna e sul fiume ai cinema all’aperto, i bar, gli angoli d’osteria. Esalta la fisicità dei luoghi antropizzati, i casolari, le rimesse, i cinema di paese, i primi pozzi metaniferi. Si sentiva “figlio della Bassa”, del Grande Fiume, e raccontandoli volle fissare anche le proprie radici.

Pietro Donzelli, Delta del Po. Terra senz'ombra. Il Po di Tolle, 1954 © Renate Siebenhaar, Estate Pietro Donzelli, Frankfurt a. M.

Pietro Donzelli, Delta del Po. Terra senz’ombra. Il Po di Tolle, 1954 © Renate Siebenhaar, Estate Pietro Donzelli, Frankfurt a. M.

UN CAPOSCUOLA MANCATO

Donzelli riuscì a imporre in Italia la fotografia come forma d’arte, ma il suo reportage, per quanto notevole, non ebbe in Italia la stessa eco che quello di Robert Frank del 1955-56 ebbe in America, un po’ anche per la riservatezza che caratterizzò il suo modo di lavorare. Nonostante l’attività di curatore, saggista, ricercatore e fotografo, quando alle metà degli Anni Sessanta si delineò la scena fotografica italiana – con i vari Berengo Gardin, Guidi, Jodice –Donzelli aveva superato la cinquantina e l’entusiasmo giovanile era ormai venuto meno, anche a fronte dei frenetici cambiamenti di un’Italia sulla via dell’industrializzazione, destinata a cambiare profondamente anche lo scenario atavico del Po. Donzelli lo sapeva e ne soffriva.

Niccolò Lucarelli

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

Scopri di più