L’Ottocento svelato. La storia di Nicolò Barabino in mostra al Museo Diocesano di Genova
Genovese di origine, Barabino con la sua pittura conquistò la Mostra Internazionale di Venezia e la Regina Margherita di Savoia
Se la gioca con Raffaello nella gara tra gli artisti più amati dagli ultras mariani e più riprodotti sulle immaginette. Solo che lui, Nicolò Barabino, benché ottimo pittore (dell’Ottocento), per il grande pubblico è un perfetto sconosciuto. Quasi tutti hanno visto almeno una volta, magari in cartolina, il quadro, oggi diremmo iconico, che lo ha reso popolarissimo. Ma i più ne ignorano la storia, il nome, la collocazione. Già il titolo è un piccolo mistero. “Quasi oliva speciosa in campis”. È latino biblico. Versetto dell’Ecclesiaste. Un elogio della Madonna. Che la Bibbia di Gerusalemme traduce così: “Come un ulivo maestoso nella pianura”.
Chi era Nicolò Barabino
Barabino (1832-1891), primo di nove figli di un sarto e di una cucitrice, nasce a Sampierdarena, dal 1926 un quartiere della Grande Genova, allora un comune autonomo, prossimo a essere battezzato “la Manchester d’Italia” per via delle grandi fabbriche meccaniche costruite in riva al mare.
Nicolò bambino si rivela presto dotato nel disegno. I genitori lo mandano a studiare all’Accademia Ligustica di Genova. Vince una borsa di studio che gli consente di viaggiare: subito a Roma, poi a Firenze, dove si esercita copiando gli antichi maestri, Raffaello su tutti, un mito e modello di bellezza ideale per gli studenti delle accademie ottocentesche, e frequenta i Macchiaioli al Caffè Michelangelo che gli insegnano un tocco di modernità. Gode di buona notorietà e ottime frequentazioni. A Genova tra i suoi committenti figurano banchieri e aristocratici. Dipinge soggetti storici e sacri, per chiese e palazzi. E il sipario del teatro Gustavo Modena.
La svolta avviene nel 1886. Quando, per la chiesa di Sampierdarena dov’è stato battezzato, Santa Maria della Cella, realizza la Madonna che gli porterà fortuna. E pensare che appena ultimata non gli piace per nulla. Così scrive alla compagna Carlotta Popert, lei stessa pittrice: “Riuscì una vera porcheria”. E invece.

Il pittore Nicolò Barabino a Venezia
L’anno dopo, nel 1887, il quadro viene presentato alla Mostra Internazionale di Venezia (non è ancora la Biennale, ma è già una vetrina di grande prestigio). Una visitatrice illustre, la regina Margherita di Savoia, collezionista e pittrice dilettante, lo vede, se ne innamora e lo acquista (per settemila lire, pagate dal marito, re Umberto). Sarà destinato alla sua camera da letto nella villa Reale di Monza. Nel secondo dopoguerra se ne perderanno le tracce. Intanto era iniziato un legame tra i Reali e il pittore che si protrae nel tempo. Un episodio tra i tanti: un giorno la regina, anche appassionata di montagna, partecipa all’ascensione a punta Gnifetti, una delle più alte del massiccio del Rosa, oltre i quattromila. Gli sherpa preparano per lei una capanna rifugio, e dentro allestiscono un altare per la messa, imperdibile anche in alta quota. Sopra l’altare viene appeso un dipinto su porcellana, è una riproduzione della Madonna di Barabino.
Per un altro altare, quello nella sua parrocchia, rimasto orfano dopo la vendita del quadro alla regina, l’artista dipinge una replica. Con qualche variante iconografica. Al posto delle arance, ramoscelli di ulivo. E Madonna dell’Ulivo sarà d’ora in poi il nome popolare del quadro.
Il giorno dell’inaugurazione, 21 ottobre 1888, prende la parola in chiesa un padre barnabita, raccomandando l’opera come “modello di perfezione per le donne cristiane, scuola di modestia, umiltà e pazienza”. Quanto ai modelli storico artistici, di sapore neorinascimentale, in molti vi hanno riconosciuto il ricordo di Bellini e Giorgione.
La mostra dedicata a Barabino
La candida dolcezza della Vergine e del Bambino, “in bilico tra solennità e delicatezza materna” (Sergio Rebora) conquista un clamoroso successo popolare. Grazie anche alla fama della prima testimonial, il quadro viene riprodotto in un’infinità di varianti commerciali e devozionali: disegni, fotografie, stampe, stendardi, finti arazzi, sbalzi metallici, statuine e lastre in maiolica policroma modellate da due delle più celebri manifatture del tempo: la bolognese Minghetti e la fiorentina Ginori. Il successo scavalca l’Ottocento. È il 1991 quando nella cappella dell’aeroporto milanese di Linate viene esposto un altorilievo in bronzo, opera dello scultore Enrico Pandiani, modellato sulla Madonna del Barabino.
Racconta questa storia una piccola, curiosa mostra, “Sacro & Pop. La Quasi oliva speciosa in campis di Nicolò Barabino, capolavoro della pittura dell’Ottocento”, allestita al Museo Diocesano di Genova per la cura di Lilli Ghio, Paola Martini (direttrice del museo), Caterina Olcese Spingardi e Sergio Rebora, nell’ambito del progetto “Ottocento svelato”.
Armando Besio
Genova // fino al 23 febbraio 2026
Sacro&Pop. La Quasi oliva speciosa in campis di Nicolò Barabino, capolavoro della pittura dell’Ottocento
MUSEO DIOCESANO
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