Piccolo è bello: due mostre al MART di Rovereto

Due esposizioni ridotte ma di interesse si incontrano tra le sale della collezione del MART di Rovereto: un omaggio a Claudia Gian Ferrari e un'indagine sui rapporti tra fotografia e pittura.

Alle esposizioni principali il MART affianca due “micromostre” di grande interesse, pur se ridotte come dimensioni. Tra le sale dedicate al moderno ci si imbatte nell’omaggio alla grande gallerista e storica dell’arte Claudia Gian Ferrari, in occasione dei dieci anni dalla scomparsa. Una sola stanza ma dal grande impatto, per l’intensità e la qualità dei dipinti appesi alle pareti (opere degli autori di predilezione della gallerista tratte dalle collezioni del MART) e per la presenza di straordinarie ceramiche di Melotti, disposte su tavoli a centro sala, donate al museo proprio da Claudia Gian Ferrari.
L’ironia e la paradossale solennità, la leggerezza è l’importanza delle creazioni dell’artista trentino risuonano anche grazie all’allestimento, che le mette in rapporto tra loro e ne fa una sorta di contrappunto “obliquo” dei dipinti.

DA MELONI A DUDREVILLE

Nelle ceramiche si ritrova tutto il genio e l’eclettismo di Melotti, la sua ricerca “concettuale” di una nuova strada per la scultura con opere che coinvolgono al massimo grado chi le osserva. La sua capacità di riportare una dimensione scultoreo/architettonica piena in lavori così piccoli è d’altronde stupefacente.
Alle pareti sfilano invece in stretta continuità undici dipinti, dalla corposa desolazione della Periferia con camion (1920) di Sironi al Nudino (1923) di Dudreville, fino a tre perturbanti Cagnaccio di San Pietro degli Anni Trenta.

Cagnaccio di San Pietro, Ritratto della signora Wighi, 1930-36. Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto - Collezione VAF-Stiftung

Cagnaccio di San Pietro, Ritratto della signora Wighi, 1930-36. Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto – Collezione VAF-Stiftung

AFTER MONET

Al termine del percorso dedicato al contemporaneo si trova invece After Monet, mostra in due sale sul tema del rapporti tra fotografia e pittura (anche qui le opere provengono dalle raccolte del MART). Lo svolgimento è antididascalico: non si va alla ricerca di consonanze, né di conferme della permanenza della pittura, ma si evidenziano i confini sfumati tra i vari mezzi espressivi che caratterizzano il contemporaneo.
Gli spunti si moltiplicano e si incrociano. La pittura antica diventa fotografia al vetriolo nei Black Rembrandt di Andres Serrano, mentre Luigi Veronesi e Wolfgang Tillmans si rispondono a distanza di decenni con due modi di fare fotografia rinunciando alla macchina fotografica.

VIK MUNIZ E GLI ALTRI

Alessandro Calabrese dimostra come la fotografia sia ormai un’arte quanto mai mediata rispetto a se stessa e alla realtà; e lo stesso vale per la pittura, come indica il Monet rifatto in versione Pantone e poi fotografato di Vik Muniz. La decostruzione non solo della realtà ma dell’immagine stessa è al centro della tecnica mista di Umberto Chiodi, mentre l’immagine assume una dimensione corporea con Pierre & Gilles, Laurie Simmons e Allan McCollum, Matthew Barney e Alex da Corte. L’influenza della tecnologia sull’identità viene registrata da Davide Coltro, l’impossibilità del realismo da Luca Andreoni. Ed è un piacere scoprire/riscoprire un autore inclassificabile e poco valorizzato come Giovanni Ziliani.

Stefano Castelli

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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