A Milano torna il festival dedicato alla videoarte che ogni anno cambia sede: intervista alla direttrice
Ha costruito la sua identità su una continuità rara il festival Video Sound Art, non tanto nella formula, che si è evoluta da esperimenti spontanei a un metodo curatoriale strutturato, quanto nella postura con cui ha occupato la città. Intervita a Laura Lamonea
A quindici anni dalla sua nascita, il festival Video Sound Art torna a interrogare la città di Milano dal suo sottosuolo. Non in senso metaforico, o almeno, non solo. Per la XV edizione, dal 28 al 30 novembre 2025, il festival si tiene, infatti, nei Magazzini Raccordati della Stazione Centrale: Never Ground, è il titolo scelto per quest’anno e prende il nome dell’opera video di Natália Trejbalová che inaugura l’intera rassegna, ma si tratta anche di un invito a considerare la terra sotto i nostri piedi come archivio, frattura, organismo vivo, territorio politico.
La storia di Video Sound Art a Milano
Così, dalla sua fondazione nel 2011, il festival diretto da Laura Lamonea ha costruito la sua identità su una continuità rara, non tanto nella formula, che si è evoluta da esperimenti spontanei a un metodo curatoriale strutturato, quanto nella postura con cui ha occupato la città. Video Sound Art ha scelto luoghi non convenzionali come scuole, piscine, planetari e teatri abbandonati, trasformandoli in laboratori di produzione e relazione. Negli anni, racconta Lamonea, la ricerca di una sede è sempre stata un’azione condivisa con le istituzioni e con le comunità dei quartieri ospitanti. Un equilibrio che oggi si fa più fragile: proprio per questo, sostiene la direttrice, la sfida è non smarrire il valore partecipativo del progetto, quell’intreccio tra arte, città e formazione che ha portato il festival a costruire negli anni un dipartimento educativo capace di influire sulla curatela stessa.
L’edizione 2025 di Video Sound Art a Milano
Never Ground radicalizza questa tradizione di attraversamenti. L’opera di Trejbalová – prodotta da VSA grazie al supporto dell’Italian Council e destinata alla collezione di Museion a Bolzano – delinea una discesa e una risalita attraverso le viscere della terra, immaginando il sottosuolo come spazio di vita, di ipotesi scientifiche, di voci sepolte. Attorno a questo nucleo, le installazioni di Adele Dipasquale, Nicoletta Grillo e Andrea Mauti espandono la riflessione verso gli ecosistemi del futuro e i depositi della memoria, mentre un articolato public program curato da Stella Succi invita filosofi, scienziati, speleologi e performer per parlare del sottosuolo come soglia tra terrestre ed extraterrestre, tra tempo profondo e possibilità narrative.
Accanto alle mostre, Video Sound Art rinnova anche quest’anno la sua attenzione ai processi artistici: dalla produzione di nuove opere alle residenze come quella ospitata dall’azienda agricola Pollinaria in Abruzzo, da cui nasce TUNING FOR RELATIONSHIPS di Sofia Salvatori, un’indagine che intreccia speleologia e pratiche somatiche. Per Lamonea, ciò che arriva in mostra è solo la parte visibile di un lavoro più ampio, che continua ben oltre la durata del festival.
L’intervista a Laura Lamonea
Quindici anni di Video Sound Art: quali sono state le trasformazioni più significative del festival, sia nella sua identità sia nel rapporto con la città?
Credo che l’identità di Video Sound Art sia rimasta coerente nel corso di questi 15 anni, sebbene le attività sperimentali dei primi tempi, costruite in modo spontaneo, siano diventate azioni strutturate e continuative. Mi riferisco in particolare alla produzione di nuove opere. Abbiamo acquisito un metodo di lavoro che unisce ricerca, promozione e produzione, permettendoci di accompagnare artiste e artisti in molte fasi del processo, dalla ricerca alla fase espositiva, all’acquisizione delle opere in collezioni pubbliche e private. Il team non è cambiato, si sono aggiunte nuove persone e in qualche modo il festival è cresciuto con il gruppo di lavoro, mantenendo un contatto diretto con il contesto urbano e sociale in cui operiamo. Fin dall’inizio abbiamo pensato che l’arte contemporanea potesse, entrando in dialogo con i luoghi, essere uno strumento importante per le persone.
E come scegliete i temi?
Ogni edizione nasce da un tema di ricerca che si radica in un luogo preciso e si sviluppa attraverso le opere, il public program, le nuove produzioni, e il coinvolgimento attivo della comunità. La ricerca della sede è sempre avvenuta in collaborazione con le istituzioni della città e questo ci ha permesso di entrare nelle scuole, nelle piscine, di presentare progetti al Museo di Storia Naturale, al Planetario. Negli ultimi 5 anni abbiamo assistito ad un importante cambiamento nella relazione con il comune di Milano. La sede della XV edizione è connessa formalmente e tematicamente al progetto espositivo, ma potremmo definirla un affitto sede, non c’è stato incontro con nessuna comunità. Quello che oggi il team del festival sta facendo è certamente fare in modo che l’aspetto cardine del progetto non venga perduto, anche senza il supporto delle istituzioni nel facilitare connessioni con altre realtà della città.Negli anni il dipartimento educazione ha lavorato sempre più attivamente con scuole superiori e università coinvolgendo gli studenti in molte fasi del festival e facilitando l’incontro con l’arte di oggi. Non si tratta di un’attività collaterale per VSA, ma di una vera e propria estensione della curatela: un modo per far sì che il pubblico diventi parte attiva del processo di produzione culturale. Video Sound Art vuole continuare ad aprirsi ad una modalità di esistenza artistica partecipata, un tentativo di usare l’arte come catalizzatore per attivare un dialogo sul destino del quartiere e della città.
Il festival si è da sempre caratterizzato per la scelta di luoghi non convenzionali. Cosa rappresentano i Magazzini Raccordati e il sottosuolo della Stazione Centrale per questa quindicesima edizione, dal titolo Never Ground?
Il tema di quest’anno nasce dalla nuova produzione video di Natália Trejbalová Never Ground che dà anche il titolo alla quindicesima edizione del festival. L’opera, prodotta da VSA grazie al supporto di Italian Council 2024, raffigura una discesa e una risalita attraverso le viscere della Terra. Never Ground ci ha offerto il punto di partenza per intendere il sottosuolo come territorio di immaginazione, di fratture e sedimentazioni. La discesa sotto la Stazione Centrale, nei Magazzini Raccordati, rappresenta tutto questo. Sono spazi industriali, nati per servire la città, rimasti per anni sospesi tra abbandono e possibilità di nuove configurazioni. In dialogo con il film e gli interventi scultorei di Natália Trejbalová, le opere di Adele Dipasquale, Nicoletta Grillo e Andrea Mauti estendono la riflessione sul sottosuolo, inteso non soltanto come spazio geologico o materiale, ma come metafora delle voci sepolte, inascoltate, sommerse dal flusso della Storia e dalle sovrastrutture del potere. Assumere il pianeta come sistema dinamico, attraversato da fratture ed estrazioni che minano le nostre concezioni di stabilità, diventa compito dell’immaginario e della ricerca. Il viaggio verso il centro della Terra è inesorabilmente un confronto con ciò che è nascosto non solo nel pianeta.
Video Sound Art 2025: i temi
Molti lavori selezionati quest’anno si confrontano con scienza, fantascienza e nuove forme di vita. Come l’immaginazione speculativa può essere uno strumento di lettura del presente?
L’immaginazione ci offre uno strumento per interpretare il presente, ci permette di tenere insieme campi che spesso percepiamo come distanti: la scienza, la geologia, la tecnologia, la mitologia, la dimensione psichica. Pensare al sottosuolo, ad esempio, significa confrontarsi con uno spazio che non appartiene solo alla Terra ma che dialoga con lo spazio extraterrestre: grotte, vulcani e cavità profonde sono oggi ambienti chiave per studiare condizioni simili a quelle di Marte o della Luna, mentre lo stesso sottosuolo è diventato terreno strategico per l’estrazione di risorse. L’ipogeo resta un luogo simbolico, un archivio di ciò che è stato rimosso o dimenticato dalla Storia, uno spazio che resiste a una rappresentazione totale e che richiede strumenti di lettura intuitivi. È in questa intersezione che la speculazione diventa politica, proprio come nella ricerca di Natália Trejbalová che, partendo da ipotesi scientifiche, le supera, le deforma e, a volte, le anticipa.
Come si concretizzano queste premesse nell’edizione 2025?
In questa edizione tali premesse hanno trovato un ulteriore sviluppo nel public program a cura di Stella Succi, pensato come un percorso di attraversamento del sottosuolo da prospettive diverse. Abbiamo invitato studiosi, ricercatori e artisti a confrontarsi con le opere in mostra e con le loro implicazioni scientifiche, filosofiche e narrative: parleremo di come il sottosuolo ha plasmato le forme espressive nel tempo, dai gesti rupestri alle visioni speculative contemporanee; delle connessioni tra grotte terrestri, ambienti extraterrestri, ecosistemi estremi e futuri possibili; infine una costellazione di letture e performance dedicate ai “sotterranei” di Milano, con la partecipazione di collettivi, scrittori, ognuno portatore di un modo diverso di attraversare la città sotto traccia.
Video Sound Art propone anche residenze d’artista e percorsi di ricerca. Che valore hanno nell’economia del festival?
Negli anni abbiamo sviluppato attività a sostegno della pratica artistica, incentrate su percorsi di produzione e ricerca. Molte residenze, nate in dialogo con spazi indipendenti, fondazioni, musei, tra questi la Real Fabbrica di Capodimonte a Napoli, il laboratorio di restauro di Palazzo Abatellis a Palermo, il Touring Club e la Fonderia Artistica Battaglia di Milano. Tali esperienze hanno dato agli artisti la possibilità di confrontarsi con maestranze ma soprattutto di partecipare a processi di lavorazione e di restauro, e di integrare nel proprio linguaggio tecniche e materiali che normalmente restano fuori dai circuiti contemporanei. Questo approccio ci consente di sostenere progetti complessi, ma anche di favorire una crescita reale, accompagnando gli artisti oltre la mostra, verso collaborazioni e inserimenti istituzionali più duraturi. In un certo senso le opere che arrivano al pubblico sono la parte visibile di un processo più ampio, costellato da attività di ricerca, dialogo e co-produzione e che continua ben oltre la durata del festival.
Caterina Angelucci
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