A Firenze l’ultimissima mostra prima della riapertura del Museo Sant’Orsola

In bilico tra rovina e rigenerazione, l’ex convento di Sant’Orsola si prepara a rinascere come spazio culturale. In attesa della riapertura, un’ultima mostra chiama a raccolta quattordici artisti internazionali che intrecciano arte contemporanea, memoria collettiva e rigenerazione urbana

In certi luoghi il tempo non scorre: si stratifica. ogni angolo racconta una storia diversa. Camminando tra i corridoi del cantiere fiorentino di Sant’Orsola, tra ponteggi, macerie e tracce di restauri in corso, si ha la sensazione di attraversare molte vite. È in questo tempo sospeso che prende forma The Rose That Grew From Concrete, mostra corale che si insinua tra le crepe dell’ex convento per trasformarle in fessure da cui filtrano nuovi immaginari. L’arte, qui, non decora né spiega: cura, custodisce, evoca. Per l’ultima volta… prima della riapertura.

La mostra nel cantiere di Sant’Orsola: un manifesto di resilienza

Il titolo della mostra è tratto da un celebre poema di Tupac Shakur, che racconta la nascita di una rosa tra le fessure del cemento: un’immagine potente di resistenza e rinascita. È questa la metafora che accompagna le opere dei 14 artisticoinvolti, chiamati a confrontarsi con un luogo segnato da secoli di trasformazioni – da monastero a manifattura, da rifugio a rudere – e oggi pronto a tornare vivo. Allestita nel cuore del cantiere di restauro, The Rose That Grew From Concrete è l’ultima tappa espositiva prima dell’apertura ufficiale del Museo Sant’Orsola nel 2026. Non un semplice evento collaterale, ma un dispositivo di ascolto del luogo, delle sue stratificazioni fisiche e simboliche. La curatela di Morgane Lucquet Laforgue orchestra un dialogo poetico tra memoria e materia, coinvolgendo pratiche che spaziano dalla scultura al ricamo, dalla pittura alla chimica alchemica. Ogni opera è site-specific, pensata per raccontare le storie silenziose dell’ex convento. Come l’oro posato da Shubha Taparia sulle crepe dell’intonaco della volta d’ingresso del museo, legato all’idea di rigenerazione ciclica degli universi, o le foglie di rame sospese di Federico Gori, che congelano in un vortice la tensione tra immobilità e trasformazione. Gli interventi non si limitano a “riempire” gli spazi, ma li interpretano: il complesso prende voce attraverso le sue cicatrici.

Voci contemporanee tra le rovine di Sant’Orsola a Firenze

Molti degli artisti in mostra hanno collaborato con storiche botteghe fiorentine, dando nuova forma a tecniche antiche. Mireille Blanc e gli artigiani della scagliola fiorentina “Bianco Bianchi” trasformano nature morte pittoriche in superfici levigate, kitsch e solenni; Clara Rivault sospende sopra la tomba di Lisa Gherardini, la presunta modella della Monna Lisa di Leonardo da Vinci, una vetrata che celebra la nascita e il risveglio della memoria femminile. Tra le voci più delicate e potenti della mostra, Elise Peroi si distingue con un lavoro che intreccia memoria botanica e architettura tessile, creando strutture che sembrano respirare la vita del passato. Bianca Bondi trasforma invece oggetti domestici in rituali di sale, dando forma sacra a elementi semplici come il sale, il rame e l’acqua. La sua installazione site-specific, sospesa tra alchimia e spiritualità, si presenta come un altare profano che riattiva lo spazio dell’ex convento, trasformandolo in un luogo di passaggio e metamorfosi, dove fragilità e forza convivono in un delicato equilibrio. 

Nuove voci al Cantiere di Sant’Orsola

La mostra non parla solo del passato di Sant’Orsola, ma della possibilità dell’arte di creare relazioni e accogliere nuove voci. Lo dimostra anche il progetto audio Dominae, nato in collaborazione con IED Firenze: un podcast che intreccia le memorie delle donne che hanno abitato il convento con le visioni delle artiste contemporanee. Così l’arte si fa atto politico e poetico, restituendo dignità ai frammenti e valore al non finito. In questa rosa cresciuta dal cemento, ogni petalo è una storia che ha trovato modo di fiorire.

Gaia Rotili

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