40 anni di carriera del grande artista Jeff Wall in mostra alle Gallerie d’Italia di Torino
La mostra sviluppata senza vincoli tematici offre attraverso 27 opere la possibilità di riflettere sul senso della ricerca di un grande protagonista del panorama dell’arte contemporanea
La prima delle foto nella rassegna torinese di Jeff Wall (Vancouver, 1946) alle Gallerie d’Italia è datata 1986, la più recente 2023: quasi 40 anni di lavoro, che offrono la possibilità di riflettere sul senso della ricerca di un grande protagonista del panorama dell’arte contemporanea. Importante anche il volume che l’accompagna con un lungo testo illuminante di David Campany (Allemandi).
Wall è tra gli artisti che hanno sperimentato, utilizzato opere di grande formato, a colori, in forma di tableau. I suoi inizi, tuttavia, non sono fotografici, i primi passi del cammino li compie con il disegno e la pittura, che lasciano una traccia indelebile in molti dei suoi lavori. Lui stesso ha raccontato di essersi imbattuto, all’inizio degli Anni Sessanta, in The Americans di Robert Frank, un libro che lo colpisce profondamente ma che gli fa anche capire che non è quello il risultato al quale voleva arrivare.
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Le opere di Jeff Wall in mostra alle Gallerie d’Italia a Torino
Ognuno dei ventisette lavori in mostra è testimonianza del fatto che l’artista canadese, oggi settantanovenne, non si è mai vincolato a un tema, né a una specifica modalità di realizzazione dei suoi scatti. “L’adozione della retroilluminazione è stata cruciale. Tutte le fotografie di Jeff Wall, dal 1977 fino a quando è passato al bianco e nero nel 1996, e poi alle stampe a getto d’inchiostro a colori poco dopo, venivano ingrandite come diapositive e collocate tra due vetri e un materiale traslucido, dietro cui si trovano dei tubi fluorescenti”, spiega Campany.
Vi sono opere cosiddette documentarie, anche se la scena è preparata, immagini oniriche per certi versi surreali. Sempre il curatore della mostra: “ a Gallerie d’Italia, Jeff Wall e io abbiamo disposto le sue opere senza alcun raggruppamento tematico esplicito, per valorizzare l’individualità di ciascuna. Gli spettatori sono liberi di creare i propri collegamenti tra fotografie vicine e forse anche tra fotografie esposte in stanze diverse”.
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Le idee possono arrivare da mille frangenti, anche se una delle situazioni più comuni è l’osservazione di qualcosa che avviene nella quotidianità che Wall elabora, trasforma, così come in Insomnia del 1994 o in Woman with a Necklace del 2021.
Anche la letteratura è una fonte determinante non tanto di ispirazione quanto di partenza per progetti visivi che trovano uno sviluppo, lui stesso li definisce “incidenti di lettura” perché realizzati come risposta a specifici brani di alcuni romanzi, da Ralph Ellison a Yukio Mishima.
Le immagini sull’igiene di Jeff Wall
Alcuni lavori sono dei veri e propri monumenti, ma altri esplicitamente degli antimonumenti così The Thinker del 1986, un tema che torna nella storia dell’arte. Rodin? Forse ma non solo e il coltello piantato nella schiena?
In mostra è Morning Cleaning la famosa foto di Alejandro, uno degli addetti alle pulizie del padiglione progettato a Barcellona da Mies van der Rohe, costruita attraverso la ripetizione degli scatti in modo da riuscire a riassumere la totalità della visione e il punto di vista è decentrato rispetto alla geometria d’insieme.
Numerose sono le foto dedicate a questo tema. Nel 2000 Wall scrive: “Mi sono reso conto che negli ultimi anni ho realizzato diversi scatti sul tema della pulizia, dell’igiene o delle faccende domestiche. C’è molto da dire sullo sporco e sul lavare. È una contrapposizione come crudo e cotto. Mi piace che le cose siano pulite e ordinate. Un luogo estremamente curato può essere bellissimo, come il giardino di Ryoan-Ji a Kyoto, o la mia camera oscura quando ogni cosa è stata lavata e messa in ordine. Ma mi piacciono anche i lavandini sporchi, i vestiti abbandonati e zuppi che vedo sempre nel vicolo dietro il mio studio, le pozzanghere incrostate e tutte le altre cose pittoresche che sono così affini allo spirito della fotografia”. Lo spettatore è rapito, visivamente sballottato, ma reso volutamente libero di fronte a quanto sceglie di guardare e di fare proprio, così come nella monumentale The Gardens, composta da tre pezzi, realizzata nel 2017, ambientata nei giardini di Villa Silvio Pellico vicino a Torino, che ci pone domande e non ci offre risposte.
Angela Madesani
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