All’Antiquarium di Boscoreale apre la prima mostra site specific che connette Pompei all’arte contemporanea
L’artista gallese Cerith Wyn Evans, esplora il concetto di tempo con “Pompeii Threnody”, la prima mostra site-specific del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche che crea una connessione tra l’importante sito archeologico e l’arte contemporanea

Tomaso Montanari e Vincenzo Trione in Contro le mostre, descrivono il raffinato potere dell’immersione nel territorio, ormai fenomeno puntuale e quasi offuscato dalle “orge consumistiche” dell’arte a briglie sciolte: “[..] il contesto (è) quel vortice di passato e futuro, di conoscenza e bellezza, di storie e di incontri, quell’insieme indescrivibile di nessi e collegamenti che si sprigiona quando decidiamo di vedere, di conoscere, di amare anche il più piccolo frammento di quel corpo unico che è ‘il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione, come definito dall’articolo 9 della Costituzione”.
Analogamente Antonio Franco Mariniello narra l’imprescindibile genius loci da considerare come malta necessaria per l’edificazione del “nuovo”. Così, è con lente attenta agli episodi esistenziali dei luoghi e alla storia inestirpabile che l’artista gallese, classe 1958, Cerith Wyn Evans tocca con mano i resti della vicenda pompeiana e ne aggiunge un sussurro sub specie aeternitatis.

La mostra “Pompeii Threnody” di Cerith Wyn Evans nell’Antiquarium di Boscoreale
Pompeii Threnody di Cerith Wyn Evans è la prima mostra site-specific del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche a cura di Andrea Viliani con Stella Bottai, Laura Mariano, Caterina Avataneo, organizzata con la supervisione generale del Direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel.
La mostra si snoda nell’Antiquarium di Boscoreale e trova in un’eco luminosa la cerniera che accorpa le dodici opere esposte. L’efebo lampadoforo fa da sentinella al percorso espositivo, soffiando la gentile doratura che ancora lievemente conserva sulle labbra bronzee, testimonianza della vita sempre da celebrare. La brillantezza è il leitmotiv della mostra, una luce che disvela e accarezza la verità (aletheia, letteralmente ‘togliere il velo’). Il processo che conduce all’essenzialità è un atto di sottrazione. Il gesto di Evans è un sospiro pieno di pathos. “Non è tanto, ma è tutto” afferma Viliani, “è un progetto minimale narrato da una voce che si alza come un bisbiglio a ricordare chi e cosa non c’è più”.

“The museum as a muse”, l’approccio di Cerith Wyn Evans all’antico a Boscoreale
“Pompei is a medium, is a process, a lens to read life and history” (Pompei è un mezzo, è un processo, una lente attraverso cui leggere la vita e la storia) racconta l’artista, aggiungendo che non è solo la città storica a stimolare la sua pratica ma anche l’edificio stesso che ospita la mostra. Non si tratta di un white cube, ma dell’Antiquarium, una costruzione di sapore brutalista con cemento a vista e già dimora di reperti che testimoniano usi e costumi della vita romana e costituisce una coordinata imprescindibile per l’ideazione della mostra. Del resto, la mostra The museum as a muse, organizzata nel 1999 al MoMA di New York, già accennava l’importanza dell’involucro.

L’incontro di Cerith Wyn Evans con l’antico a Pompei
Per quanto la storia pompeiana appaia fossilizzata nel tempo, Evans approccia al passato con un fare rispettoso: non si tratta di valorizzazione e sedimentazione, ma di un incontro con l’arcaico, in uno spazio concepito, anche da Pompeii Commitment. Materie archeologiche, similmente all’idea dello storico dell’arte e direttore di museo Alexander Dorner. Il museo è un Kraftwerk, una centrale elettrica sempre in movimento: ciò che sembra sepolto è in continuo divenire e i tempi sono legati in una linea indissolubile tra passato e futuro.

L’arte della luce, le opere di Cerith Wyn Evans all’antiquarium di Boscoreale
Le fotoincisioni di alberi fossilizzati di Cerith Wyn Evans
Il primo corpus di opere si presenta sotto il nome di The Ancient Cypress Trees of the Sarno Plain. Si tratta di una serie di fotoincisioni di alberi fossilizzati lungo il Sarno, testimonianze del rapporto tra uomo e ambiente. Tramite la conservazione anaerobica, i tronchi sono mantenuti a temperatura specifica e tutt’oggi sono materia ricca da scandagliare con la luce. La fotografia non appare piatta, ma in composizioni sempre diverse, di dettaglio e d’ambiente, narra tanto la struttura dell’albero quanto la musealizzazione dell’opera. Un memoriale che connette il passato al presente.
Francesco Venezia, parlando dell’architettura in La torre d’Ombre, afferma “Le serie di ombre manifestano il loro segreto, danno forma al presente con la propria forma”. Ciò accade analogamente nelle architetture naturali, esposte sotto il gioco di luci e ombre orchestrato da Evans.
Le installazioni di Cerith Wyn Evans che vivono in relazione al contesto
È proprio la luce l’ingrediente prediletto dall’artista che nell’opera In girum imus nocte et consumimur igni usa il neon (a una temperatura di 6500 kelvin che assume il colore della luce del giorno) per evidenziare il palindromo tradotto andiamo in tondo nella notte e siamo consumati dal fuoco. La scritta nasce dallo sbirciare attento di Evans nella tensione del luogo con approccio ermeneutico, recuperando il titolo di un film del situazionista francese Guy Debord. L’installazione luminosa vive in relazione al carro cerimoniale rinvenuto a Civita Giuliana, le cui ruote richiamano la circonferenza dell’opera. Ancora oggi c’è una traccia sul terreno che ricorda il percorso del carro sulle strade vesuviane e la forma circolare delle ruote, seppur presenta un solo punto di congiunzione con la terra, è in grado di lasciare la sua impronta continua nel tempo. L’installazione suggerisce un senso di recupero della ciclicità, affine alla mentalità arcaica del rito: lo sviluppo è comunemente associato alla linea retta in salita ma, come ha affermato Nietzsche, è nel ritorno di realtà ataviche già complete che si trova il senso armonico del mondo: “Che tutto ritorni, è l’estremo avvicinamento del mondo del divenire a quello dell’essere: culmine della contemplazione”.

La dimensione domestica nella mostra di Cerith Wyn Evans: a Boscoreale
L’ultima tappa della mostra assume una dimensione domestica. Due lampade del XX Secolo disegnate da Hans Kögl, direttamente provenienti dalla collezione privata di Evans, sono la “natura morta” che cresce nel patio del museo. La conformazione architettonica dello spazio suggerisce l’assetto tipico della domus e le lampade in forma di palme dorate dialogano con la vegetazione già presente, accendendo l’ambiente che diviene nuovo fulcro vitale dello spazio. L’affaccio dal piano di sopra, accanto al carro, contribuisce a creare nuove traiettorie visive e idealmente suggerisce la crescita della natura dorata come se le palme fossero moderni, ma anche antichi, pilastri del tempo.
Elizabeth Germana Arthur
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