Gli oggetti del leggendario curatore Harald Szeemann in una mostra e un libro. Intervista alla figlia Una
Un ricco programma di iniziative celebra ad Ascona vent’anni dalla scomparsa del mitico curatore di When Attitudes Become Form. Si parte con una pubblicazione (ed una mostra) che esplora un aspetto inedito della sua ricerca…

Vent’anni senza Harald Szeemann, il curatore che ha rivoluzionato il concetto stesso di critica e di curatela a livello internazionale nel secolo scorso, si celebrano ad Ascona, su quel Monte Verità che egli stesso prescelse come luogo di idee e rese mitico con la mostra Le mammelle della verità. La Fondazione che presiede al sito, diretta in Canton Ticino da Nicoletta Mongini presenterà il 19 luglio alle 17.30 il libro Pretenzione Intenzione – Objects of Beauty and Bewilderment from the Archive of Harald Szeemann, curato dall’artista e figlia Una Szeemann, insieme a Michele Robecchi & Bohdan Stehlik con Elsa Himmer per le edizioni Patrick Frey. Alle 19 invece inaugurerà (fino al 31 agosto) una mostra sullo stesso tema.
Il libro Pretenzione Intenzione
Bilingue, in inglese e tedesco, la pubblicazione offre un aspetto inedito sulla ricerca di Szeemann, nato a Berna nel 1933 e scomparso a Locarno nel 2005, ridando vita a quegli altari, quegli oggetti parte dell’archivio del curatore e che facevano parte del suo personalissimo Museo delle Ossessioni, santuario segreto nella sua Fabbrica Rosa, la casa archivio di Maggia, scrigno contenente un corpus vivissimo e trasversale tra arte, documenti e istanze antropologiche.
L’archivio di Harald Szeemann e la mostra
Alla morte di Szeemann, parte di questa moderna Wunderkammer viene acquisita dal Getty Research Institut di Los Angeles, mentre la documentazione afferente a Monte Verità resta all’Archivio di Stato del Canton Ticino. Ne rimane una porzione non censita nelle mani della famiglia che oggi torna alla luce in Pretenzione Intenzione, offrendo nuove angolazioni sulla metodologia di Szeemann e grazie alle fotografie in bianco e nero di Bohdan Stehlik. Ne abbiamo parlato con Una Szeemann che ci ha raccontato entrambi i progetti, in attesa di una giornata di studi che in autunno esplorerà la pratica dello storico dell’arte con direttori di musei Svizzeri ed Europei, critici, curatori, artisti.

Intervista a Una Szeemann
Sono trascorsi 20 anni dalla morte di Harald Szeemann. Come è cambiato il panorama dell’arte da allora?
Il mondo dell’arte ha subito trasformazioni così profonde che, insieme a molti amici e colleghi, ci troviamo spesso a domandarci come Harald avrebbe risposto a questi cambiamenti con il suo sguardo visionario.
Qual è l’eredità che suo padre ha lasciato al mondo dell’arte?
Harald era attratto da ciò che sfuggiva alle categorie: outsider, autodidatti, mistici, visionari. Credeva nella forza dell’individuo che osa inventare il proprio universo: “Le mitologie individuali”. La sua capacità di unire storia, arte, utopia, spiritualità e biografia rendeva ogni sua mostra una dichiarazione d’amore per l’immaginazione. Oggi, la sua eredità risiede in questo sguardo: libero, inquieto, anticipatore, capace di creare spazi dove l’arte si rivela.
E ad Ascona? Grazie a Szeemann Monte Verità è un posto quasi mitico…
Il progetto sul Monte Verità è una vera e propria ricostruzione storica, poetica e psichica del mito del luogo. Harald raccolse documenti, fotografie, architetture, memorie, spiritualismi e visioni. Mise in dialogo arte, danza, psicoanalisi, politica e utopie. Ma non si limitò a salvare la storia del Monte Verità: la riattivò, non per storicizzarla, ma per restituirle forza vitale, nella speranza che potesse ispirare nuove visioni di vita.
Negli ultimi anni della sua vita Szeemann ha un po’ preso le distanze dal mondo dell’arte. Perché nella sua opinione?
Harald era interessato a esplorare e mostrare un mondo in modo poetico e, in questa luce, ha scelto ambienti e istituzioni diverse per farlo. Dagli Anni Settanta fino alla fine, che si trattasse della Biennale di Venezia o di un piccolo teatro nelle Centovalli, della Documenta o del suo appartamento, di rovine attivate o di grandi musei, tutti erano scenari per le sue visioni.
Il suo sogno era di curare una mostra, La Mamma, che poi non è riuscito a realizzare. Come ha vissuto suo padre l’impossibilità di portare a termine questo progetto?
Harald ha lavorato alla mostra dedicata alla Mamma fino all’ultimo. E sono certa che l’abbia portata a compimento altrove, in un’altra dimensione.
Come è stato vivere con un padre come Szeemann per lei, come ha influenzato la sua vita personale e i suoi studi?
Ho avuto la grandissima fortuna di crescere in una famiglia in cui lavoro e vita non erano due entità separate, ma un tutt’uno: il centro di ogni passione. Una ricchezza culturale sempre intrecciata al sentimento, che mi ha sicuramente portata ad avere un approccio aperto e sensibile, capace di attingere a fonti trasversali e integrarle nel mio percorso e lavoro artistico.
Il 19 luglio sarà presentato il libro Pretenzione Intenzione – Objects of Beauty and Bewilderment from the Archive of Harald Szeemann, che esplora un aspetto inedito della sua ricerca. Ci racconta quale?
In diversi posti dell’archivio di Harald, a Maggia, nella Fabbrica Rosa, si trovavano delle costellazioni di oggetti di ogni tipo, assemblati in quello che lui stesso chiamava “altari”. Quando, insieme al Getty Research Institute, abbiamo iniziato ad analizzarli uno per uno — smantellando per la prima volta l’immagine composta di questi altari — ci siamo accorti che molti degli oggetti risultavano sconosciuti. È così che, più di dieci anni fa, è nato il progetto Pretenzione Intenzione, sicuramente alimentato dal mio interesse per l’agency antropologica. Quegli oggetti, di cui ignoriamo sia la provenienza che la storia, possiedono una forza intrinseca. E non riuscivo ad accettare l’idea di chiuderli in un cassetto solo perché l’unica persona che ne conosceva davvero la loro storia — mio padre — non c’è più. Questo progetto nasce dall’idea di studiare e ridare vita agli oggetti partendo dalla loro forza, in modo completamente speculativo. L’invito è rivolto ad autrici e autori provenienti da discipline diverse, affinché si lascino incantare da questi oggetti e ne immaginino, liberamente, una nuova storia.
Gli oggetti che fanno parte di questa ricerca erano stati sottratti agli archivi del Getty e del Canton Ticino dedicati al curatore. Perché avete deciso di rimetterli a disposizione del pubblico?
Nel libro, i saggi e le fotografie in bianco e nero rendono questi oggetti ancora più misteriosi e auratici. Nella mostra, invece, speriamo di suscitare nel pubblico lo stesso incanto e la stessa spinta speculativa: un invito a lasciarsi attrarre da questi oggetti, che — dopo chissà quanti viaggi — si ritrovano ora riuniti in un luogo come il Monte Verità, capace di infondergli ulteriori strati di magia.
Santa Nastro
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