Guardare alla mitologia per affrontare il futuro. La grande lezione dell’artista cinese Bian Kai
Imparando dalle lezioni della tradizione cinese, l'artista rilegge con precisione certosina e un taglio postmoderno una secolare storia di pensiero. Offrendo, se non risposte, un conforto nello spaesamento contemporaneo

È una traduzione impossibile quella che l’artista visivo Bian Kai (nato nel 1981 a Liaoning, in Cina) vuole fare delle parabole del mito classico cinese in un linguaggio accessibile alla contemporaneità. Una traduzione che si fa tuttavia necessaria, per due ragioni: la prima è che persino il pubblico cinese non è più in contatto con i messaggi, le immagini, le lezioni della mitologia cinese e delle religioni buddhista e taoista, e quindi non basta mostrare per far capire, né per ricordare. La seconda è che lo smarrimento contemporaneo è talmente pervasivo che vale la pena tentare un’altra strada. Una per la quale, forse, siamo già passati. È questa la lezione, una delle molte in realtà, che traspaiono dalla lezione decennale dell’artista, che va in mostra da INKstudio a Pechino in una retrospettiva di spessore che affida più domande di quanto non fornisca risposte, dando almeno il conforto della prospettiva esistenziale umana.

La pittura tradizionale e postmoderna di Bian Kai
Nella sua minuziosa pratica pittorica, Bian Kai attinge quindi alle ricche tradizioni narrative mitologiche, filosofiche e religiose cinesi, per portarne il messaggio (e, si spera, la guida) nei nostri tempi. E lo fa attraverso a continui e precisissimi riferimenti a testi classici, come il Classico delle montagne e dei mari dell’era degli Stati Combattenti, la Primavera dei fiori di pesco delle sei dinastie e il Canone buddista della dinastia Tang, una biografia del maestro Tripitaka del Grande monastero di Ci’en: lo smarrimento spirituale, la sopraffazione degli stimoli e d’altra parte la necessità di comunione, di direzione e di pace si riflettono nelle sue grandi tele – esplosioni di dettagli che, con gli anni, si fanno sempre più cromaticamente coinvolgenti – come costanti della condizione umana. Una prospettiva che, dato il tempo passato dalle prime lezioni e dai tempi in cui ci troviamo oggi, non può che essere postmoderna, e personalistica.

Le lezioni del passato secondo Bian Kai
Utilizzando i diversi linguaggi narrativi visivi storici dei dipinti murali dei templi buddisti e taoisti, nei thangka (stendardi religiosi) buddisti tibetani e nella pittura della corte imperiale cinese, Bian Kai ricostituisce con precisione il contenuto mitologico e religioso delle sue fonti, senza mai rivisitare ma nemmeno ritrarre direttamente la storia o l’immagine canonica. Piuttosto, in quella che lui stesso definisce pittura come “performance”, trasforma il racconto canonico per evocare una “verità” per il suo pubblico, che è al tempo stesso trascendente e personale. Un lavoro colossale (e decennale) che da INKStudio va in mostra con un ricco apparato di note e materiali audiovideo.

La mostra alla galleria INKStudio come laboratorio di ricerca
La grande mostra Bian Kai: Conjuring Realities (aperta fino al 17 agosto) è infatti pensata per fungere da laboratorio di ricerca aperto in cui lo stesso artista collaborerà con il curatore Deng Feng del National Art Museum of China e le ricercatrici Nancy Chu (Stanford University) e Chuxin Zhang (Institute of Fine Arts della New York University) per scavare e documentare i molteplici strati di contenuti storici, filosofici, religiosi, letterari e mitologici presenti nelle sue straordinarie realtà evocate.
Dopo le personali di Kang Chunhui e Lao Tongli, questo è il terzo di una serie di progetti curatoriali della galleria pechinese incentrati sul linguaggio pittorico della pittura narrativa policroma transnazionale, che si diffuse dall’India all’Asia centrale, al Sud-est asiatico, alla Cina, alla Corea e al Giappone con la diffusione del Buddismo e che tornò in Asia centrale, Persia e Medio Oriente sotto forma di miniatura persiana, moghul e ottomana. Un’arte visiva che ha assunto una forma contemporanea attraverso il movimento giapponese Nihonga Superflat (guidato da artisti come Takashi Murakami), la rinascita postcoloniale e postmoderna della miniatura persiana e sud asiatica (con artisti come Shahzia Sikander e Imran Qureshi), e attraverso i dipinti contemporanei ispirati ai thangka di artisti tibetani, come Tenzing Rigdol e Gonkar Gyatso.
Giulia Giaume
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