A Pistoia due dimenticati dell’arte del Novecento da riscoprire assolutamente

Parliamo di Fernando Melani e Gianfranco Chiavacci, entrambi pistoiesi, legati da oltre vent’anni di sodalizio artistico. Due personalità diverse per origini familiari ma vicine nel segno del Postmodernismo italiano

Nel cartellone tardo primaverile-estivo delle esposizioni d’arte in Toscana, programma che sembra poggiarsi sul comodo repertorio del contemporaneo “classico”, concede curiosità la mostra dedicata agli artisti Gianfranco Chiavacci e Fernando Melani, proprio nel cuore della città che vide entrambi crescere umanamente e artisticamente, in un dialogo postumo e silenzioso che riesce, nonostante la loro assenza, ad evocare quell’intesa reciproca e propedeutica alle rispettive ricerche.

Fernando Melani e Gianfranco Chiavacci in mostra a Pistoia

In scena a Pistoia, nelle sale al secondo piano del Museo del Novecento e del Contemporaneo di Palazzo Fabroni, la mostra Chiavacci e Melani. Arte tra binarietà e particelle, a cura di Bruno Corà, ha la fortuna di non cadere nel celebrativo, nella mostra-omaggio, pur prodigando una generosa offerta espositiva, selezionata dall’attento Corà dalla ancora più vasta produzione del duo artistico (quasi tutti pezzi unici), particolare da non sottovalutare considerando il tardivo approccio alla vita artistica del Melani (intorno ai 38 anni) ed il percorso lontano dai riflettori del Chiavacci.

Fernando Melani e Gianfranco Chiavacci: due personalità a confronto

Le personalità distinte di Fernando Melani (San Piero di Agliana, Pistoia, 1907) e Gianfranco Chiavacci (Cireglio, Pistoia, 1936) sono caratterizzate da scelte di vita differenti:  il primo, finiti gli studi ordinari tra Prato e Pistoia, lavora come guardia notturna a Novara, tra il 1933 e il 1945, periodo in cui torna a Pistoia per aiutare il padre nella fornace di proprietà, momento breve (la crisi finanziaria della ditta era già in atto) ma significativo per le intuizioni materiche in campo artistico, come dimostrerà nell’immediata e radicale scelta, proprio del 1945, di dedicarsi totalmente all’arte. 
Anche Chiavacci recupera da memorie familiari, precisamente dalla sartoria gestita dai genitori, quel background logico ed estetico fondamentale per l’assetto della sua ricerca battezzata dallo stesso Binarietà. Dopo il diploma, nel 1956, viene subito assunto presso la Cassa di Risparmio di Pistoia e contemporaneamente si avvicina al dibattito culturale scaturito dagli ambienti socialisti, in particolare la discussione artistica sulla necessità di abbracciare o meno l’informale (discorso che meriterebbe molto spazio, ma basti notare come i fenomeni artistici non riguardavano solo i Grandi Centri, le metropoli, le Biennali, bensì anche i territori di provincia, dove la circospezione del caso permetteva comunque slanci di buona originalità).

Fernando Melani e Gianfranco Chiavacci: l’incontro

Verso il 1964 i percorsi di Chiavacci e Melani si incrociano “ufficialmente”, e proseguiranno fino alla morte di Fernando, nel 1985. Nonostante la distanza generazionale (quasi trent’anni) e l’estrazione sociale distinta (piccolo-borghese da una parte e proletaria dall’altra) ad accomunare i due artisti c’era il medesimo interesse per l’arte e la scienza, binomio che non voleva fermarsi al solo contenuto narrativo, anzi, premeva per trascrivere una lex mundi in cui la produzione artistica coprisse gli aspetti formali ed esemplificanti.
L’arte come filosofia, in sintesi, dove l’universalità è perseguita con due approcci alternativi: la logica matematico-binaria del Chiavacci, alla perlustrazione materica-quantistica del Melani.

Il valore della mostra di Fernando Melani e Gianfranco Chiavacci a Palazzo Fabroni a Pistoia

Sulla mostra in Palazzo Fabroni va tenuto conto del valore culturale della proposta, chiaramente contestualizzata al territorio, pur tuttavia mirabile per l’audacia di una scelta anti-mainstream, esponendo, nello stesso periodo in cui in città si ospita un monumento vivente come Daniel Buren, una bipersonale così autentica da accendere certamente la curiosità verso autori non così noti al grande pubblico.
Il confronto formale, va detto, scivola ogni tanto nel retorico e incalza il bisogno di una guida più accurata del sintetico volantino offerto all’ingresso; in alternativa, scegliendo un totale abbandono alla fruizione visiva, senza necessità di entrare nel merito, il rischio è di percepire il dialogo tra due artisti come un monologo, all’unisono, senza intuirne le sfumature. Detto questo, il complesso è appagante, momenti eloquenti non mancano e si possono notare persino fresche intuizioni che restituiscono un’atmosfera da “capsula del tempo”. Tra queste, gli intrecci e i reticoli sono la parte più interessante, perché trovano un effettivo connubio tra la spensieratezza materica dell’uno (Melani) e le griglie logiche dell’altro (Chiavacci). Una mostra a “chilometro zero”, ma di buon riguardo utile ad intuire il fermento e declinazione dell’epoca Postmoderna, molto più vicina agli scenari artistici attuali di quanto non si riesca (o voglia) immaginare.

Luca Sposato

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