Nella Svizzera francese due musei sfidano gli stereotipi della periferia culturale tra arte contemporanea e partecipazione 

A pochi minuti di treno l’uno dall’altro, il Musée des Beaux-Arts de Le Locle (MBAL) e il Musée des Beaux-Arts La Chaux-de-Fonds si distinguono in un panorama svizzero ricco di prestigiose istituzioni museali. Ecco perché

Tra le montagne del Giura, nella cittadina svizzera di Le Locle, il MBAL – Musée des Beaux-Arts de Le Locle smonta ogni stereotipo sulla periferia culturale. L’istituzione, fondata nel 1862 e ospitata in un edificio in stile Art Nouveau rinnovato una decina di anni fa, non solo custodisce una collezione storica di rilievo che prende avvio nel XVII Secolo tra artisti svizzeri e internazionali (frutto di oltre 150 anni di donazioni, acquisizioni e depositi), ma propone una programmazione che intreccia arte contemporanea e partecipazione sociale collettiva. Il merito va alla direttrice Federica Chiocchetti (e alla curatrice associata Anna C. Bleuler) che, in carica dal 2022, ha intrapreso il suo mandato con un obiettivo: fare del museo uno spazio di dialogo vivo tra passato e presente, locale e globale e, soprattutto sensibile alle tematiche di genere. 

Cosa conserva un museo, come e perché lo fa al MBAL 

La mostra al centro della programmazione (visitabile fino al 14 settembre 2025) è Attention, Collection, che racconta la gestione, la conservazione e la valorizzazione di una collezione museale. Così, attraverso un percorso articolato in parole chiave – come “Helvetica”, “Évasion” o l’ambiguo “Nature morte/vivante” – il museo riflette sul proprio patrimonio con uno sguardo squisitamente ironico ed estremamente colto. In mostra le opere di artisti svizzeri come Félix Vallotton, Paul-Théophile Robert, Charles L’Eplattenier e Marguerite Sandoz-Jeanneret e altri contemporanei come Jeanne-Odette Evard, Mai-Thu Perret e Sandrine Pelletier sono esposte accanto ai celebri Salvador Dalí, Pablo Picasso, Lin Pan Yu, Suzanne Valadon, Francisco de Goya, Gustave Courbet ed Henri Matisse. Il percorso, di fatto una “meta-mostra” come la descrive Chiocchetti, si arricchisce della presenza di tre artisti contemporanei – quali il duo Plonk et Replonk-Bébert, la cineasta Ufuoma Essi e l’artista Virginie Delannoy – invitati a realizzare un incontro inedito con le opere della collezione, tra critica e poesia. in chiave critica e poetica. Ecco cosa conserva un museo, come e perché lo fa. 

Le altre mostre al MBAL 

Tra le sale del MBAL, poi, è presentata (sempre fino al 14 settembre) la prima mostra istituzionale svizzera dell’artista Augusta Lardy Micheli, formatasi tra Londra e Ginevra. In Metaxu (les rives où vivent mes songes), Micheli trasforma il paesaggio del Lago di Neuchâtel, tra colline, sponde, cieli e foreste, in una visione onirica. Le sue tele propongono una pittura “viva”, in cui il gesto pittorico diventa un atto di resistenza poetica contro il senso di spaesamento del presente. Con Par le biais, invece, il fotografo francese Jonathan Llense offre un ritratto inedito di Le Locle, tra archivi personali, giochi visivi e busti della collezione museale. La sua installazione, che prende la forma di una costellazione di fontane immaginarie, gioca con l’assurdo e l’ironia in omaggio a Duchamp. Curata da Sergio Valenzuela-Escobedo, l’esposizione mette in discussione il concetto stesso di rappresentazione e memoria urbana. Una sezione del museo è infine dedicata al progetto Bien vivre ensemble, realizzato in collaborazione con gli studenti del Cercle scolaire du Locle. Un’iniziativa che trasforma le aule scolastiche in laboratori di cittadinanza partecipata e che porta i più giovani ad abitare lo spazio museale come veri e propri artisti. 

La programmazione del Musée des Beaux-Arts di La Chaux-de-Fonds

Anche le origini del non lontano Musée des Beaux-Arts di La Chaux-de-Fonds risalgono alla metà dell’Ottocento, quando un gruppo di cittadini fondò la Società degli Amici delle Arti, con l’obiettivo di promuovere la cultura visiva nella regione e metterla al servizio dell’industria. Dopo decenni di peregrinazioni, nel 1926 il museo trovò finalmente casa in un edificio progettato dagli architetti Charles L’Eplattenier e René Chapallaz e ispirato dall’Art Nouveau e dallo stile Heimatstil. Successivamente, negli Anni Novanta, è stata realizzata un’estensione sotterranea, mentre restauri più recenti hanno restituito all’edificio i colori originari. La collezione permanente, nata dalle prime acquisizioni ottocentesche, si è arricchita con lasciti importanti, come quelli di René e Madeleine Junod o di Olivier Mosset.

Proiettato verso l’arte contemporanea, il museo presenta (fino al 24 agosto) le personali delle artiste Agnès Thurnauer e Doris Stauffer, in un ideale passaggio di testimone femminile tra generazioni e linguaggi. Thurnauer, per esempio, esplora il potere della parola dipinta, trasformando le lettere in oggetti visivi, sottraendole al loro senso comune per restituirle alla poesia. Diverso è il percorso di Doris Stauffer, pioniera dell’arte femminista svizzera: attiva tra gli Anni Sessanta e Ottanta, ha portato l’arte nella vita quotidiana, confondendone i confini fino alla politica e alla pedagogia. I suoi “corsi di stregoneria” e le sue performance fatte di panpepato interrogano le strutture del potere e le dinamiche della partecipazione, aprendo spazi di libertà creativa.

Caterina Angelucci

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Caterina Angelucci

Caterina Angelucci

Caterina Angelucci (Urbino, 1995). Laureata in Lettere Moderne con specializzazione magistrale in Archeologia e Storia dell’arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dal 2018 al 2023 si è occupata per ArtsLife di contenuti e approfondimenti per la sezione…

Scopri di più