Uno scultore svizzero recupera una tecnica dimenticata. Intervista a Christian Bolt

Nel suo ultimo progetto Bolt recupera e ridefinisce l’antica tecnica della terra secca, con cui vive un consapevole ritorno alle origini, e per approfondire la sua visione della scultura come attività di riflessione e trasformazione intimamente legata alla materia, lo abbiamo intervistato

Lo scultore svizzero Christian Bolt (Uster, 1972), dopo la folgorante scoperta di un’opera di Michelangelo custodita a Firenze, si è avvicinato alla complessa tecnica della terra secca; una riscoperta oggi particolarmente significativa per il suo approccio sostenibile e la sua forte connessione con il territorio e i materiali locali. In questa intervista racconta il nuovo progetto TERRA SECCA e illustra la sua opinione sullo stato di salute della scultura.

Intervista allo scultore svizzero Christian Bolt

Perché il ritorno alla tecnica della terra secca?
All’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze ho scoperto una scultura non accessibile al pubblico: un torso a grandezza naturale attribuito a Michelangelo. L’interazione tra forma e materiale mi ha affascinato a tal punto da sentirmi spinto a indagare più a fondo questa tecnica ormai perduta. La terra secca offre un effetto materico del tutto unico, impossibile da ottenere con materiali diversi dalle terre argillose. Nel coro delle mie ricerche su altri artisti che hanno adottato questa tecnica, sono rimasto profondamente colpito dallo spirito di innovazione e dalla sperimentazione dei materiali. Durante il Rinascimento, tuttavia, la tecnica della terra secca veniva impiegata principalmente per studi preparatori. Grandi opere come l’Appennino del Giambologna costituivano un’eccezione.

Qual è l’obiettivo del progetto?
Con TERRA SECCA, quindi, non intendo semplicemente recuperare una tecnica antica, ma ridefinirla e aprire nuove possibilità creative. Non ho la pretesa di riprodurre esattamente i procedimenti originali, ma prendo la tecnica storica della terra secca come punto di partenza. È inoltre prevedibile che la combinazione dei materiali locali del mio territorio generi risultati diversi, e che io debba accoglierne le proprietà e caratteristiche specifiche.

Come ha concepito il nuovo progetto, dal punto di vista concettuale? E cosa desidera trasmettere al pubblico?
Tutti parlano di sostenibilità, ma come si può percepire davvero il suo impatto sull’arte e sulla cultura? Dal punto di vista concettuale, questo progetto rappresenta per me un ritorno consapevole al mio territorio d’origine. Le risorse naturali del suolo mi aprono un mondo affascinante di possibilità formali. In pratica, combino diversi componenti del terreno su cui cammino per generare nuovi materiali. Una nuova materialità influisce inevitabilmente sul linguaggio plastico, perché in scultura tutto parte dalla materia.

In che modo questo suo progetto declina il tema della sostenibilità?
Questo progetto è anche un’iniziativa interdisciplinare tra arte e ricerca scientifica. Si tratta di esplorare e sviluppare nuove competenze. L’aspetto sostenibile della creazione artistica è destinato, in un secondo momento, a essere trasmesso a giovani studenti d’arte. Un elemento fondamentale di questo lavoro è anche l’intenzione di sensibilizzare la società al pianeta come spazio vitale e di sviluppo. La riflessione, tuttavia, non si limita al modo in cui trattiamo il nostro ambiente, ma si estende anche a come trattiamo noi stessi. La terra è una materia da cui può nascere e crescere moltissimo. L’essere umano e la sua esistenza possono essere considerati una metafora del terreno fertile. Intendo promuovere un humus culturale che favorisca uno sviluppo sano e sostenibile della società contemporanea. In questo senso, anche il tema dei valori – intesi come nutrienti – deve essere al centro del dibattito.

Come si inserisce la scultura nella sua carriera di artista?
Per me la scultura è un’attività di riflessione e trasformazione. Al centro vi sono la ricerca e l’espressione artistica. Lo studio dei materiali è inseparabile dalla dimensione filosofica e concettuale della scultura. Chi comprende meglio la materia è anche più in grado di trasformare i contenuti in modo preciso e mirato. In quest’ottica, TERRA SECCA si inserisce in un percorso di ricerca e sviluppo di materia, forma e contenuto che accompagna tutta la mia vita. Sento l’urgenza di indagare in profondità le potenzialità linguistiche e trasformative della scultura.

Come definirebbe la pratica scultorea?
Fondamentalmente la considero come una ricerca interiore. Hans Sedlmayr, nel suo libro La perdita del centro, denuncia il fatto che l’uomo moderno si orienti principalmente verso l’esterno. La scultura mi offre, come artista, l’opportunità di esplorare i contenuti in profondità. La sua grande forza risiede nel contatto diretto con la materia, che rappresenta la forma più intensa di immediatezza.

Christian Bolt Courtesy Atelier Bolt
Christian Bolt Courtesy Atelier Bolt

Come giudica lo “stato di salute” della scultura, nel panorama dell’arte contemporanea degli ultimi anni?
La scultura – che potremmo definire come il contatto diretto con la materia – ha perso gran parte della sua anima e autenticità, poiché il rapporto antagonista tra idea e azione è stato, in molti casi, compromesso. Il tentativo di compensare questo squilibrio con la tecnologia moderna si rivelerà, dal punto di vista culturale, un boomerang. La scultura è infatti un linguaggio tridimensionale che nasce da un’elaborazione mentale e concettuale, per poi manifestarsi nello sviluppo formale e nella competenza artigianale. Inoltre, è probabile che una parte consistente della scultura contemporanea, a causa della scelta di materiali inadeguati, sia destinata a deteriorarsi e a scomparire nei prossimi 50 anni. Dobbiamo accettarlo, con rammarico, come sintomo e segno del nostro tempo.Purtroppo, nel nome dello sviluppo tecnologico, abbiamo perso molte competenze legate alla comprensione dei materiali. Nel tentativo di raggiungere una “purezza” dell’arte o del pensiero, si è separata troppo la pratica artigianale dalla filosofia dell’arte. Ma quando la tensione tra tecnica e pensiero si riduce, anche la forza intellettuale si indebolisce, e al posto dello sviluppo si insinua la complicazione.

Dopo TERRA SECCA, ha altri progetti per il futuro?
Le ricerche interdisciplinari tra arte e scienza legate al progetto TERRA SECCA sono concepite per una durata minima di tre anni. Desidero quindi dedicare i prossimi anni interamente a questo tema. La mia visione è quella di realizzare una serie di opere significative con questa tecnica e presentarle a un pubblico internazionale. Sono inoltre convinto che il lavoro e il confronto con TERRA SECCA mi condurranno gradualmente verso nuovi progetti futuri.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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