In Austria si svolge l’ultima Festa dei sei giorni scritta da Hermann Nitsch. Intervista alla moglie Rita
40 anni insieme, una vita piena, senza rimpianti, una promessa d’amore e arte prima di morire. Rita Nitsch realizza l’ultima grande performance dell’artista e racconta ad Artribune il suo mondo insieme ad Hermann Nitsch in questa intervista

Occhi azzurri, viso aperto, una risata coinvolgente, pensieri solidi e parole schiette. Rita Nitsch è stata al fianco del famoso e controverso Hermann Nitsch per quasi 40 anni, dal loro primo incontro avvenuto nel 1985, fino alla morte dell’artista a Mistelbach nel 2022. Negli ultimi giorni, quando l’artista era in ospedale e già semi incosciente, lei gli ha fatto una promessa: avrebbe organizzato la Festa dei sei giorni anche dopo la sua morte. L’ultima. La prima si era svolta nel 1998 su 1700 pagine di partitura scritte da Nitsch, una festa pubblica che ha coinvolto centinaia di persone, attori, collaboratori, musicisti e spettatori attivi, in un grande evento corale, punta di diamante del pensiero di Nitsch e del suo Teatro delle Orge e dei Misteri, e non senza scontri o polemiche. Dal 7 al 9 giugno 2025 il Castello di Prinzendorf ospiterà la seconda e conclusiva Festa dei sei giorni, scritta dall’artista prima di morire e mai realizzata.
La Festa dei sei giorni di Nitsch
I primi due giorni di questa partitura sono già stati eseguiti nel luglio 2022, a pochi mesi dalla morte di Nitsch avvenuta in aprile. Nel 2023, nella Domenica di Pentecoste, è stato organizzato il terzo giorno, dedicato al dio Dioniso, simbolo del vino, della gioia, della fertilità e dell’estasi. Gli ultimi tre giorni saranno invece nel 2025 e saranno l’ultimo capitolo di questo progetto. Prinzendorf, centro della ricerca performativa di Nitsch dal 1971, ospiterà altre azioni, ma non ci sarà più una festa pubblica di tale portata. L’artista ha lasciato una partitura di quasi 1.000 pagine con istruzioni meticolose per consentire le esecuzioni postume nel suo spirito. Il progetto, portato avanti dalla moglie, sarà realizzato in collaborazione con l’artista italo-britannico Andrea Cusumano, che dirigerà un’orchestra composta da oltre 100 musicisti e sarà diretto da Leonhard Kopp, figlio adottivo dell’artista insieme all’assistente di lunga data Frank Gassner. Circa 60 artisti sono coinvolti come attori. In attesa dell’evento ci siamo fatti raccontare da Rita Nitsch chi era l’artista, la sua arte e la loro vita insieme.

Intervista a Rita Nitsch
Come hai conosciuto Nitsch?
È stato nel 1985. Mi avevano detto che Prinzendorf funzionava come una sorta di museo privato e che su appuntamento era possibile visitarlo. Mi avevano anche riferito che Nitsch non c’era quasi mai, che era spesso in viaggio o a Vienna, tranne che nei week end, ma nemmeno sempre.
E invece no…
Infatti. Era qui al Castello. A un certo punto mi ha chiesto – Hermann non aveva la patente – se potevo accompagnarlo a fare un giro nei dintorni, perché “il suo cane non aveva mai visto il paesaggio circostante”.
Bella scusa. E così è cominciato tutto. Anche se prima del vostro incontro tu conoscevi già il suo lavoro di artista…
A quei tempi ero studentessa di psicologia ed ero interessata alle intersezioni tra il suo lavoro e le ricerche di Freud e Jung. Nel 1984 inoltre avevo letto di una “Festa dei sei giorni” che aveva organizzato qui, avevo anche visto delle immagini alla televisione. Ero incuriosita, anche se avevo un po’ paura di lui.
E poi invece siete rimasti insieme 40 anni. A proposito della tua formazione da psicologa, nel momento in cui sei diventata la compagna di Nitsch, hai sposato un po’ anche la sua opera e sei stata pienamente coinvolta in tutto questo. I tuoi studi ti hanno aiutato in qualche modo?
Molto poco. Qui c’era bisogno di fare cose soprattutto pratiche. Quando mi sono trasferita qui nel 1986 Hermann non aveva per esempio pagato le bollette. Addirittura, sono venuti i pignoratori che volevano portarsi via i mobili, ma non hanno trovato nulla. Non che lui non avesse denaro, ma proprio non ci pensava, nemmeno apriva le lettere che gli arrivavano. C’era un gran casino, mi sono dovuta occupare di organizzare tutto, la vita, le performance, le mostre.
Anche le mostre?
Hermann aveva tantissime idee e progetti, ma non era un grande realizzatore. A parte me, che ero impegnata a tempo pieno, abbiamo sempre avuto molto aiuto. La sua arte richiedeva parecchio lavoro: d’altra parte non stiamo parlando di un artista che dipinge e attacca un quadro al muro…C’è un grande sforzo installativo, tanti materiali, passando da quelli dell’arte in senso stretto a quelli della vita.
Come è stato per te vivere con un artista come Nitsch?
Difficile. All’inizio pensiamo tutti che possiamo cambiare o “aggiustare” la persona che abbiamo al fianco. Dopo tanto tempo, si scopre invece che non c’è molto da fare (ride).
E cosa avresti aggiustato?
Pensavo che avrei potuto renderlo più amabile. Ma vivere con un artista non è facile, perché la prima cosa per lui è l’arte. Tu non sei mai al primo posto nella sua vita. È così. Sono egoisti, pensano solo a sé stessi…
…poi era anche un uomo.
Tutt’e due insieme, una bella combinazione (ride).

Però deve essere stato anche molto emozionante. Non è stata una vita convenzionale
Sì, ho conosciuto tantissimi artisti: Immendorf, Baselitz. Tapies, Kounellis. Abbiamo trascorso delle giornate, delle serate bellissime. Per me era arricchente e non era mai noioso con lui.
Hai anche viaggiato molto.
Tantissimo, anche molto di più di quanto avrei voluto. A Hermann piaceva moltissimo, diceva: “mi sento a casa dappertutto”. Io amavo la solitudine della casa, con i miei animali e il mio giardino. Lui invece preferiva stare in movimento: diceva “a casa non sono mai, al ristorante sono sempre a casa”.
Quali sono stati i momenti salienti della vostra vita insieme?
La prima Festa dei sei giorni ha avuto un significato grandissimo nella mia vita.
Spieghiamo bene cosa è la Festa dei sei giorni
Nitsch ha cominciato come pittore, copiava Rembrandt, Cezanne, Tintoretto. Successivamente ha iniziato a dipingere alla sua maniera, usando il colore come materiale, soprattutto il rosso. Ma ha sempre desiderato fuoriuscire nello spazio tridimensionale, facendo di più, emancipandosi dalla cornice. È nato così, negli Anni ’80, il Teatro delle Orge e dei Misteri, anche se Nitsch voleva lavorare in questo modo già dal 1957.
Quindi c’è voluto molto per sviluppare questa idea.
Considera che aveva solo 19 anni, probabilmente era confuso e troppo giovane. Poi ha cominciato negli Anni Sessanta a lavorare con la performance e per molto tempo non ha dipinto più. È tornato al quadro successivamente. La musica, inoltre, per lui era molto importante, all’inizio era solo noise, fatta di rumori, grida, per intensificare ciò che accadeva nell’azione.
Musica composta da lui.
Sì. Successivamente è diventato molto più sofisticato, ha scritto delle partiture, più di dieci sinfonie, con orchestre grandi, cori, o ancora solo rumori, gong, campane, fischietti. Voleva fare la festa più grande dell’umanità: voleva far vedere tutto, la gioia la morte, la nascita (questo però non è mai successo perché è difficile programmare un parto in sei giorni), ma anche la meditazione, il silenzio, tutto incluso nella festa.
Quali sono i temi più importanti nell’opera di Nitsch.
Tutto ciò che trovi ad esempio nel teatro greco: la catarsi, il contatto diretto con i materiali, il destino. Era molto influenzato da Wagner. Fuori dal contenuto c’è la forma, diceva. La forma era molto importante nel suo teatro.
Che relazione intratteneva con la religione cattolica?
Era affascinato, dalla Chiesa, dai riti, dalla liturgia, ma non era credente in senso stretto. Era tra i pochi naturalisti del suo tempo. Coglieva la spiritualità quando si trovava in natura: lì si sentiva abbracciato dal cosmo.
Pensi che il fatto di cominciare a lavorare subito dopo la Seconda Guerra Mondiale abbia avuto effetti sulle sue ricerche?
Nitsch è nato nel 1938. Aveva sei anni quando la guerra è finita. Suo padre ci è morto. La madre ha deciso di non lasciare Vienna, mentre la città era sotto i bombardamenti, per paura che le saccheggiassero l’appartamento. Nitsch mi ha sempre detto che non ha mai capito perché la mamma, con un bambino piccolo, si fosse presa questa responsabilità. Ricordava gli allarmi, il rifugio in cantina, le preghiere, e un uomo che diceva “Se senti il rumore forse le bombe non cadranno. Ciò che è veramente pericoloso è il silenzio”. Immagina su un bambino che effetto possa avere la paura del silenzio.

Davvero…
Ricordava le immagini del disastro. Uscendo dalla cantina c’era fuoco, fumo, appartamenti distrutti, un pianoforte a metà, una credenza. È cresciuto sulle macerie della vita borghese. Questo gli ha fatto vedere cosa siamo noi umani e voleva mostrarlo nel suo teatro. Possiamo essere splendidi ma anche crudeli e violenti. Ma ancora di più lo ha influenzato la vita dopo la guerra, tutte le menzogne, le occupazioni, le versioni discordanti su ciò che era successo. Nel suo teatro Nitsch ha cercato di raccontare la realtà e di svegliare le coscienze. Un teatro senza parole, proprio perché nelle parole c’erano state tante bugie.
Rispetto al Gruppo degli Azionisti Viennesi Nitsch aveva un’identità molto forte e strutturata. Ma immagino che ci fossero degli scambi con loro. Che rapporto avevate?
Del loro incontro conservo i racconti. Quando si sono visti per la prima volta hanno parlato delle loro idee e si sono sentiti subito legati. Nitsch, che non aveva una famiglia, aveva un rapporto quasi di fratellanza con Günter Brus, anche se poi ognuno ha fatto poi la sua strada. Ad ogni modo il termine “Azionisti” se lo sono ritrovati addosso. Era una etichetta inizialmente negativa, poi però è diventata una definizione storica.
Chi sono stati i suoi compagni di strada poi?
Sicuramente la prima moglie, Beate. E poi Koudelka, Peppe Morra, che l’ha molto aiutato, e Agnes e Karlheinz Essl.
Il lavoro di Nitsch è stato attraversato da tante polemiche. Come viveva l’avversione che una parte di pubblico aveva nei suoi confronti?
L’opera di Nitsch mette in luce cose che amiamo nascondere. Cosa c’è dentro di noi, se mangiamo carne non vogliamo sapere che l’animale ha sofferto ed è stato ucciso, toccare cose sgradevoli, sentire odori non amabili. Nitsch ha fatto questo e capisco che le persone possano scegliere di mantenere una distanza. Ma è sempre stato così, c’erano persone che amavano tanto il suo lavoro e chi lo detestava.
Ma l’artista è dentro il suo mondo e il suo mondo è un mondo giusto. Lo rattristava questo essere “detestato”?
Sua madre soffriva molto di questo, anche se ovviamente teneva a lui. I giornali hanno scritto addirittura che era un assassino. Aveva usato un agnello in una performance e ne aveva infine gettato i resti nel Danubio, ma qualcuno ha pensato che avesse tra le mani un cadavere e la stampa lo ha scritto. I vicini di casa sono andati alla madre e le hanno detto, “lo devi fermare”, si scatenò un putiferio. Nitsch invece diceva: “semplice ma grandioso”. Si sentiva un po’ come un prete, gli piaceva parlare di arte e di filosofia. Negli ultimi 25 anni se ne è occupato parecchio, ha scritto anche tre libri. Era molto interessato, studiava sempre, fino alla fine.
Alle sue azioni, polemiche a parte, partecipavano poi centinaia di persone. Secondo te perché riusciva a trasmettere questo carisma? Cosa trovavano?
La gente desidera questa verità, non tutti vogliono una vita in vacanza dove tutto è superficiale.
Come è cambiata l’opera di Nitsch negli ultimi anni della sua vita?
Si è dedicato di più alla musica. Disegnava tanto e dipingeva quadri pieni di colore. E scriveva la nuova partitura per la Festa del sei giorni, che ha meno performance e più musica.
L’uso del colore così vitale e gioioso è una sorta di pacificazione con sé stesso?
Amava molto questa ultima fase della sua pittura. Era felice. Mi dispiace che sia morto, anche perché era pieno di cose da dire, di idee e faceva opere molto belle.
Cosa farà la Fondazione Nitsch nel prossimo futuro?
Non sono tanto dell’idea di lavorare solo sull’archivio, d’altra parte non interessava nemmeno molto a Nitsch. Naturalmente ce ne occuperemo cercando di dare spazio anche ai disegni, ai testi, alle poesie, film, dando voce alla visione totale che l’artista aveva. E cercando di fare mostre importanti nei musei, per far conoscere meglio il suo lavoro.
Hai paura di come possa essere percepito oggi il suo lavoro?
La sua opera è molto attuale. Oggi ci sono almeno trenta guerre in tutto il mondo, e non esiste una guerra senza crudeltà. Nitsch ha sempre creduto che le persone che partecipavano al suo teatro perdessero l’aggressività. Non era il focus del suo lavoro, ma ha sempre visto nella sua opera una sorta di terapia.

Una terapia per sé stesso o per il mondo?
Per coloro che partecipavano. Per lui non erano spettatori- ma questo era anche una utopia -: il pubblico interveniva anche alle prove – c’era chi prendeva parte più attivamente e chi meno, crescevano insieme, e alla fine uscivano tutti più “sani”.
E quanto margine di improvvisazione c’era?
Nitsch diceva che anche un’orgia ha bisogno di essere organizzata. Ad ogni modo nonostante la partitura scritta dall’artista gli attori e i musicisti hanno molta libertà, lui scrive l’intensità e la lunghezza, loro possono scegliere la tonalità. E assieme diventa un’altra cosa.
Con l’Italia intratteneva un rapporto speciale. Che ricordi aveva?
Il suo primo viaggio è stato Venezia. Mi raccontava di aver pianto per tre giorni, affascinato dall’arte di Tiziano, Tintoretto, Caravaggio. Mi raccontava anche che era così povero da dover mangiare le salsicce che gli aveva dato la mamma prima di partire. Quando ha visto le persone nelle vetrine dei ristoranti, sedute al tavolo, con il tovagliolo bianco ha detto “questo è il mio sogno. L’Italia, il buon vivere, l’arte”. E anche le persone. Nel vostro paese si sentiva a casa.












Nessuno penserebbe che un uomo che aveva un immaginario così oscuro fosse così godereccio. Tu e Nitsch siete stati insieme 40 anni. Pensi di aver fatto la vita che volevi fare? Hai qualche rimpianto?
Non ho rimpianti, perché la mia vita è stata piena. Ma non posso proprio dire di aver fatto la vita che volevo fare. E lui mi manca tanto.
Qual è l’eredità culturale di Nitsch?
Credo che il suo lavoro sia molto attuale. Lascia molto. Ha rivoluzionato il teatro, la musica e le arti visive. E ha influenzato tanti artisti in tutti questi settori. Era di fatto un influencer e il suo teatro contiene un grande messaggio, legato all’evoluzione dell’essere umano e artistica, in senso totale e universale.
Santa Nastro
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