Prodigi, mosaici e arte contemporanea. La mostra di Leonardo Pivi e Francesco Cavaliere a Ravenna

Ci sono la leggenda di un bambino prodigio e la tradizione antica del mosaico a far da collante alle opere di Leonardo Pivi e Francesco Cavaliere al MAR di Ravenna. Una mostra che rientra fra gli eventi della Biennale di Mosaico Contemporaneo

Sono diventati simbiotici dal 2018 e provengono da generazioni diverse: Leonardo Pivi (Cesena, 1965), già noto per le sue installazioni e per le sue incursioni musive nel mondo del pop, e Francesco Cavaliere (Piombino, 1980), giovane alfiere che agisce ai confini tra visivo e sonoro, si sono incontrati ricercando le assenze e i buchi che l’archeologia ci offre. In questo ritrovarsi negli spazi vuoti, in ciò che si può immaginare e non in ciò che ci è consegnato, è possibile intravedere la chiave di lettura della mostra al MAR Museo d’Arte della città di Ravenna, fulcro della VII Biennale del Mosaico, evento che vuole mettere la città bizantina al centro di un network internazionale che ha costruito la propria identità attorno al linguaggio del mosaico.
Il mosaico è una pratica che ha subito molte rimozioni e che ancora è ostacolata da antichi pregiudizi, da preconcetti anche di stampo idealistico e ideologico che mettono in discussione diversi aspetti connaturati a questa tecnica. Innanzitutto il suo essere stata oggetto delle pratiche di lusso del Mediterraneo greco-romano (e fin qui tutto bene) per poi diventare tecnica sostanzialmente orientale, che quasi scompare o diventa residuale nella civiltà europea occidentale. Definita di solito come bizantina, aggettivo che ha in sé anche un’accezione dispregiativa (“questione bizantina” equivale a dire inutile e sterile), l’arte dell’Europa orientale è spesso relegata all’ambito della decorazione e dell’orpello, lontano dal desiderio di linearità e astrattezza che invece il pensiero logico-razionale prevalente ci spinge a prediligere.

Francesco Cavaliere – Leonardo Pivi, Prodigy Kid 2022, ceramica 340 × 50 cm. Photo © Chiara Pavolucci

Francesco Cavaliere – Leonardo Pivi, Prodigy Kid 2022, ceramica 340 × 50 cm. Photo © Chiara Pavolucci

LA MOSTRA DI PIVI E CAVALIERE A RAVENNA

Così i due artisti, sotto l’attenta cura di Daniele Torcellini, che da anni come curatore tenta di sgombrare il campo da queste molteplici semplificazioni estetiche e culturali, innescano un dialogo fra le loro opere solo in apparenza dissonante. Quale relazione intercorre tra gli objets trouvés di Cavaliere e le creazioni fortemente fisiche e regressive di Pivi nelle due stanze a loro dedicate come personali parallele? Che cosa intercorre tra Mystica del 2003 di Pivi, realizzato grazie a una tecnica antichissima che fonde una icona pop con una che emerge da un passato sabbioso, e il Time Machine for 7 object di Cavaliere del 2012? Sicuramente più che una tecnica, un’attitudine.
A essere affiancate sono le attitudini di due artisti che appaiano lontanissimi per soggetti e tecniche, le cui opere, tuttavia, sembrano formare un’immagine organica, unitaria.
Il prodigio evocato nel titolo – Prodigy Kid ‒ è un tema leggendario che ha attraversato i secoli e che ha caratterizzato le cronache cittadine, nelle quali compare spesso la figura del bambino prodigio nel senso di monstruosum, il cosiddetto “mostro di Ravenna”, la cui vicenda si è tramandata in parte oralmente e in parte è citata dalle fonti storiche. Pivi e Cavaliere si muovono secondo una attitudine comune, quella di riempire, con opere fantasiose, i vuoti rappresentati da una leggenda popolare, tenendo vivo l’elemento perturbante che la accompagna. Non sappiamo se la pagina del Codice Atlantico di Leonardo esposta in mostra sia effettivamente ispirata al mostro ravennate, tuttavia gli assomiglia moltissimo.

Francesco Cavaliere – Leonardo Pivi, Fuochi d’acanto, 2019, resina, terracotta, 44 × 43 × 24 cm. Photo © Giulio Boem

Francesco Cavaliere – Leonardo Pivi, Fuochi d’acanto, 2019, resina, terracotta, 44 × 43 × 24 cm. Photo © Giulio Boem

LE OPERE DI PIVI E CAVALIERE AL MAR

Questo gioco di taciuto e riscoperto è tipico della materia leggendaria, in cui i simboli e le tradizioni continuamente emergono per poi sparire di nuovo, in cui i mostri compaiono con caratteristiche che sembrano già note, ma che cambiano a ogni apparizione, ricordandoci che ogni mostro appartiene al tempo che lo produce.
Nel labirinto delle sale compaiono poi opere che provengono dal passato e che si innestano in questa esposizione come oggetti in linea con quelli contemporanei, come la pittura parietale del I secolo che rappresenta Bes, proveniente dal MANN di Napoli, o il libro a stampa del Seicento della Monstrorum Historia di Ulisse Aldrovandi. Questo dialogo però non ha i caratteri della ricerca filologica o della ricomposizione logico-razionale: le tessere dei lavori, le installazioni e la materia di cui si compone la rassegna invitano allo scioglimento delle riserve logiche e al viaggio nell’irrazionale.

Elettra Stamboulis

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Elettra Stamboulis

Elettra Stamboulis

Scrittrice e curatrice indipendente. Laureata in Lettere all'Università di Roma “La Sapienza”, ha perfezionato i propri studi sulla museografia all'Istituto Albe Steiner di Ravenna. Ha conseguito un Master di secondo livello all'Università di Roma Tre. Collabora con numerose testate (Linus,…

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