“Imboscata”. In Toscana la mostra che si sviluppa tutta in un bosco

Nella frazione di Corniola, nel comune di Empoli, un gruppo di artisti contemporanei disegna un itinerario all’interno del bosco, rinsaldando il legame tra essere umano e natura

Già dal titolo della mostra si percepisce il contesto nel quale avrà luogo l’esposizione. I curatori di Imboscata hanno immaginato un nuovo concetto di spazio, diverso dalla solita galleria d’arte, riappropriandosi di un luogo già di per se familiare a ogni cittadino: il bosco. In questo caso si tratta del bosco di Corniola, amato per la sua alternanza tra natura selvaggia e arata. Un luogo che abbiamo dimenticato. L’intento di Imboscata è tornare alle origini, a una consapevolezza e serenità perdute.
Così recita il manifesto di Imboscata: “Non è certo una novità andare per boschi, nemmeno per gli artisti. La Storia dell’Arte è piena di esempi e coincidenze di questo tipo. Da chi scappava dagli studi per andare en plein air, a chi andava nei deserti messicani o nello Utah, per protesta e per ritrovare la perduta libertà di operare, fuori dalle logiche di mercato e dentro nuove logiche, che oggi chiameremmo anche eco-logiche… Con questo nostro esperimento vogliamo tentare, in modo uguale ma diverso da altri prima di noi, di metterci davanti alla nostra esistenza e interrogarci. Su quali ideologie non vogliamo più abbracciare e su quali ideali desideriamo fondare la nostra convivenza. Quale Antropocene vogliamo alimentare e in quale Natura vogliamo credere. Dentro quali voragini future non vogliamo cadere, per non avere altro destino che quello di estinguersi. L’imboscata è una trappola per gli sprovveduti ma una meravigliosa opportunità, per i consapevoli”.

Enrico Vezzi, Immedesimarsi, 2022

Enrico Vezzi, Immedesimarsi, 2022

GLI ARTISTI NEL BOSCO DI CORNIOLA

La natura ha il potere di riportare a uno stato primordiale nel quale riacquistiamo un’identità perduta. La mostra si sviluppa lungo un percorso fatto di esplorazioni in una natura selvaggia, dove l’intervento umano è essenziale. Il visitatore può inventare il proprio itinerario: perdersi, oppure seguire il percorso indicato. Durante il tragitto ogni cosa è viva – le foglie, i rami, gli animali. In questo contesto gli artisti hanno saputo esprimere le loro potenzialità con installazioni non invasive ma complementari. Ogni opera si racconta da sola evocando ragionamenti e riflessioni.
L’esposizione ha inizio con l’installazione di Eva Sauer, la quale con le sue opere in ceramica smaltata guida lo spettatore verso un ritorno alle origini. La seconda opera ad accoglierci è il lavoro di Barbara Fluvi. Capelli sintetici, usati per corredare due tronchi di alberi, assumono lucentezze diverse e mai uguali e sembrano richiamare a un abbraccio naturale tra due tronchi. Caterina Sbrana ci mostra il prototipo di tre laghi estinti (o quasi): il lago Agasizz, il lago Copaide il lago di Aral. Le incanalature di questi prototipi raccolgono l’acqua piovana che funge da abbeveratoio per gli animali che abitano il bosco, nel tentativo di stabilire un equilibrio con il non umano. Shilha Cintelli è autrice di un’opera formata da tre specchi, con i quali sembra volerci risvegliare dal torpore per ristabilire un collegamento con il nostro io interiore e l’ambiente circostante. Francesco Fossati impreziosisce gli elementi che costituiscono un ecosistema, in questo caso i funghi che si trovano sui tronchi degli alberi caduti, rivestendoli con uno strato sottile di metallo dorato e modificandone l’aspetto esterno, ma mantenendo inalterata la loro essenza. David Casini utilizza uno specchio d’acqua naturale per realizzare la sua opera. Attraverso piccole piattaforme galleggianti e sottili strutture metalliche che sorreggono calchi di elementi naturali, crea un paesaggio surreale e fiabesco. Rachel Morellet, usando tronchi di castagno nelle cui rientranze ha inserito foglie d’oro sigillate a caldo, ci fa assumere consapevolezza della nostra forza interiore, dalla quale possiamo attingere continuamente.

Olga Pavlenko, Cielo, 2022

Olga Pavlenko, Cielo, 2022

DALLA GUERRA ALLA NATURA

Con il suo “cielo stellato” Olga Pavlenko, di origini Ucraine, ci fa percepire le tragedie vissute dalle persone che si trovano a fronteggiare una guerra. Un cielo sereno, guardato con occhi della paura, si trasforma in una minaccia. Il cielo stellato, motivo tradizionale nella pratica del ricamo ucraino, è composto, nell’opera di Pavlenko, di tessuti usati di colore bianco, azzurro e blu che ripristinano il significato protettivo del cielo. Fermarsi, sostare, sperimentare sono le parole d’ordine dell’intervento di Caterina Pecchioli, un’installazione di sedie rosse disseminate in diversi luoghi del bosco per incentivare l’interazione sociale. Justin Randolph Thompson mette al centro della sua installazione un tamburo suonato dal vento, raffigurante il partigiano afro-fiorentino Alessandro Sinigaglia, il quale sembra diventare un tutt’uno con la natura circostante. L‘opera comprende anche una serie di medaglie in terracotta dedicate alla Resistenza e disseminate lungo il percorso: con il passare del tempo saranno assorbite dalla terra, diventandone parte. Enrico Vezzi rende un omaggio poetico ai Mirror self-recognition di Gallup e un omaggio scientifico ai Mirror Displacement di Smithson. Juan Pablo Macias riesce a creare un momento di assoluto isolamento personale. Tramite l’utilizzo di cuffie collegate a un lettore Mp3 che trasmettono suoni di soffi umani diversi, evoca la similitudine tra il respiro umano e quello del vento. L’opera di Lucie Mesuret conclude il percorso. Un’installazione sonora da ascoltare sdraiati sul prato per riconnetterci con la natura, con noi stessi e con gli altri.

Giada Fanelli

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Giada Fanelli

Giada Fanelli

Giada Fanelli è nata a Lucca ma ha sempre vissuto a Empoli. Si è diplomata al Liceo Artistico ”Leon Battista Alberti” di Firenze e in seguito ha conseguito la laurea in interior design al Design Campus di Firenze. Ha seguito…

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