Si tiene in disparte, Tanja Hamester, artista tedesca, di formazione medievalista, che ad agosto 2021 arriva a Bari, in Puglia e si dà alla scoperta della città. La scopre incontrando artisti, girandola in bicicletta, riflettendo sulla complessa relazione tra il suo Paese di origine e quello in cui è approdata. Questo suo vagare si trasforma in un lavoro collettivo, in una sorta di catalogo delle memorie in mostra da VOGA, spazio inaugurato in piena pandemia da Nicola Guastamacchia, Flavia Tritto, Bianca Buccioli. Ci sono oggetti regalatele dagli artisti con cui ha stretto dei rapporti d’amicizia, Angela Capotorto, Pamela Diamante, Natalija Dimitrijević, Silvestro Lacertosa e Mariarosa Pappalettera. Ci sono i parastinchi di latex che evocano Castel del Monte, c’è il calco del suo caschetto da ciclista, subito dismesso per non apparire “troppo straniera”.

LA MOSTRA DI TANJA HAMESTER A BARI
Ci sono colate e colate di pasta di pane, che la Hamester, con il supporto dei suoi ospiti, ha colorato, lavorato, rivoltato, lasciando tracce e impronte. L’impronta, che riconnette l’artista al saggio di Didi-Hubermann, La somiglianza per contatto. Archeologia, anacronismo e modernità dell’impronta, ma anche ad artiste come Eva Hesse, è il leitmotiv di tutta questa mostra fatta di Gesture objects, sul trovare e lasciare le tracce. Ma l’artista, che ha condotto per tutta la durata della preparazione del progetto un lavoro performativo, non si vede mai. Gli oggetti ricalcati sul suo corpo restano vuoti, sulla pasta di pane e i fogli di lattice appesi al soffitto vediamo solo traccia del suo passaggio. Ma lei non c’è, in una rivendicazione fantasmagorica del corpo femminile, traducendo il senso dell’assenza e svuotando i calchi apparentemente un po’ fetish dalla carne, desessualizzandoli.

I WORKSHOP DI HAMESTER A BARI
Ma c’è invece nella azione partecipativa che ha visto la Hamester alla guida di due workshop che hanno coinvolto quaranta cittadini baresi. Insieme, in una sorta di rito sociale fra tradizione e memoria, come intorno a un focolare, hanno lavorato, in un gesto classico attribuito alla sfera muliebre, la pasta di pane. E in quel contatto tra materia e umanità si sono raccontati delle storie. Racconti intimi, di riscatto, racconti di donne. Sono tutti racchiusi, senza nomi, nell’edizione limitata che accompagna il progetto. Ma di tutto il progetto restano i ricordi di chi lo ha vissuto e, naturalmente, le tracce.
‒ Santa Nastro
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