Pietro Sedda e le porcellane per Rosenthal. A Roma

La collezione “Cilla Marea”, presentata negli spazi di Contemporary Cluster, a Roma, unisce il talento del tatuatore e artista Pietro Sedda alla tradizione ceramica di Rosenthal. E il risultato ve lo raccontiamo qui.

I cinesi dicono che “lo smalto è la pelle delle ceramiche” perché aderisce perfettamente alla superficie dell’argilla proteggendola: una traccia di possibile legame fra un “tatuatore” e un servizio di porcellane. Ma l’incontro fra Pietro Sedda (Cagliari, 1969) e Rosenthal è meno spiegabile, ha le caratteristiche astrali di un evento che segna un passaggio storico, artistico e culturale nel mondo delle arti decorative, straordinario per la storia dei due protagonisti.
Evento che si chiama Cilla Marea, e sembra più il nome di una stella appena scoperta ma è il titolo, efficacemente incomprensibile, della collezione di porcellane disegnate da Sedda per Rosenthal e della mostra ora a Roma.
La guardiamo senza che ci venga spiegato nulla, mentre aspettiamo che arrivi Pietro Sedda al Contemporary Cluster dove è allestita la mostra: giriamo intorno al tavolo dove i fiori, magistralmente allestiti da Dylan Tripp, e le porcellane creano uno still life evocativo come un dipinto di Henri Fantin-Latour. Una natura morta distopica: un effetto che da lontano sembra antico ma, avvicinandoci, la messa a fuoco delle porcellane ci porta in un contesto totalmente lontano dall’allegoria, rivelato dai segni anomali di Sedda su forme tradizionali e conosciute, in tutto il loro mistero.
È lì la porta di accesso allo straordinario, nel bianco e nero di Sedda che è oramai riconoscibile come una cifra stilistica precisa, nei volti confusi dalla memoria che si mischiano sulla porcellana come sulla pelle, come documenti dell’esistenza del pensiero.

Pietro Sedda, collezione Cilla Marea. Contemporary Cluster, Roma 2019

Pietro Sedda, collezione Cilla Marea. Contemporary Cluster, Roma 2019

TATUAGGI E PORCELLANA

Sono pochi i personaggi capaci di rappresentare il movimento continuo della memoria, intesa come segno che si deforma perché non può essere a fuoco. Pietro Sedda lavora sulle porcellane come un altro grande artista sul tessuto, Yinka Shonibare, che usa le texture africane su rappresentazioni note come L’altalena di Fragonnard.
Questa attitudine artigianale, nelle mani dell’artista, porta all’unica documentazione credibile di reinvenzione, alla riedizione di una storia che denota contemporaneità più di qualsiasi altra opera concettuale.
Tazze e piattini, piatti dalla foggia classica ma soprattutto due anfore/urne diventano il frutto dell’unione di due storie apparentemente lontane, dove i caratteri dei DNA creativi si fondono visivamente: come il blu floreale che diventa volto del marinaio sul piatto piano.
La predisposizione alla fusione creativa caratterizza sia Sedda che Rosenthal. Lo Studio Saint Mariner, a Milano dal 2010, non è solo il luogo di lavoro di uno dei tatuatori più famosi del mondo: è un laboratorio creativo che collabora con progetti come il rilancio della sedia 3130, nota come Grand Prix; ideata da Arne Jacobsen nel 1957 e ripensata dal designer Diego Grandi che chiede a Sedda di tatuarne nove esemplari.
La manifattura tedesca fondata da Philipp Rosenthal a Selb, in Baviera, nel 1879, ha sempre collaborato con gli esponenti delle più significative correnti artistiche dall’Art Nouveau fino alla creazione negli Anni Sessanta di Studio-Line, che segna il contributo di personaggi come Walter Gropius. Una visione trasversale che si completa nelle famose collezioni realizzate dal 1993 con Gianni Versace, da cui nascono oggetti iconici, simboli di legami tra creatori di manufatti artistici e artigianali.

Pietro Sedda, collezione Cilla Marea. Contemporary Cluster, Roma 2019

Pietro Sedda, collezione Cilla Marea. Contemporary Cluster, Roma 2019

ARTE E ARTIGIANATO

Cercando di riportare un ordine formale dove, per fortuna, non ce n’è, chiediamo a Pietro Sedda se si sente un artista o un artigiano e il suo racconto chiarisce quanto sia fondamentale solo una cosa, nella pratica del fare: l’autenticità dell’autore.
L’operazione con Rosenthal è per lui l’ennesimo confronto con la materia perché, che sia pelle umana o legno o porcellana, la pratica di Sedda, che si definisce serenamente artigiano, è il “progetto pensato”, come ha imparato nei suoi studi prima all’Istituto d’Arte di Oristano e poi all’Accademia di Belle Arti di Brera.
Parla di disciplina e fa effetto sentirlo, perché il suo è il fascino di un mago, di qualcuno che sembra più legato all’irrazionale che al razionale: una disciplina e un lavoro manuale concepiti sotto l’ispirazione di una visione che va continuamente alimentata. Complice del suo metodo è anche la laurea in Scenografia, che lo porta a ricostruire situazioni, più che cose, a cercare segni dove gli altri non vedono per creare la rappresentazione dell’emozione.
I mercati visti da viaggiatore perenne, le spezie che stanno nelle cose da dove escono odori e colori, l’amore per l’Est asiatico, l’immagine dell’orso tenuto al guinzaglio del suo primo viaggio a Istanbul.
Quella memoria ottomana ritrovata, come traccia ancestrale, su cui elaborare figure maschili che sono marinai senza tempo, simboli umani di un viaggio perenne dove i baffi sono di mille anni fa e lo sguardo è quello di un ragazzo di oggi, di un mondo dove non ha più senso parlare di generi. Il suo mare è frutto dell’immaginazione, è il mare di un sardo che viveva nell’entroterra di un’isola circondata dall’acqua, è un mare che non si vede ma si sa che c’è. Il mare dei marinai a terra, al porto, è la fonte del suo immaginario che traduce in segni forti e malinconici, come lettere trasformate in disegni, ricordi di trame di film visti da bambino e del Querelle di Brest, l’ultimo film di Rainer Werner Fassbinder.
Viaggiatore, sognatore, accumulatore che ama disegnare le sue storie sulla materia che ha già una sua vita: la porcellana di Rosenthal, come la pelle umana, con linee da assecondare e da seguire per tirare fuori un’altra identità. Un grande visionario capace di trasformare l’immateriale, come fa con le piante. Quando gli chiediamo che cosa gli piace fare, ci risponde che è bravissimo a far crescere piante, ma che poi le regala.

‒ Clara Tosi Pamphili

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Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili si laurea in Architettura a Roma nel 1987 con Giorgio Muratore con una tesi in Storia delle Arti Industriali. Storica della moda e del costume, ha curato mostre italiane e internazionali, cataloghi e pubblicazioni. Ideatrice e curatrice…

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