Pane al pane e oro all’oro. Mimmo Paladino a Napoli

Made in Cloister, Napoli ‒ fino al 15 settembre 2018. Ricercatore artistico e quasi esoterico di entità che, come nelle sue parole, “sono solo materia di fabbricazione di qualcosa che non c’era prima, e che in un vero e proprio processo alchemico diviene altro”, Mimmo Paladino va in mostra a Napoli. Con una riflessione attorno all’idea di nutrimento in tutte le sue forme.

Mimmo Paladino (Paduli, 1948), in un mondo in cui immediatezza e riconducibilità si riducono alle funzioni utilitarie di logo e brand, riporta la tensione universale della comunicazione visiva alla sua profondità originaria di archetipo, simbolo.
Per lui, “l’artista tende sempre a radicalizzare il segno, a uscire da una sua cifra di riconoscibilità ‒ ma senza mai abbandonarla ‒ per arrivare a una essenzialità maggiore”.
Ecco perché è poco parlare solo di Transavanguardia per la sua arte che, non a caso, dall’astrazione organica di Henry Moore ha generato un ventennio fa – al Roundhouse di Londra, in collaborazione espositiva con Brian Eno ‒ quei Dormienti che riposano nel Treno. Installazione presentata sempre con Eno a Roma nel 2008, ma che oggi rivive, arricchita di elementi site specific, a Made in Cloister.

Mimmo Paladino. Pane e oro. Exhibition view at Made in Cloister, Napoli 2018

Mimmo Paladino. Pane e oro. Exhibition view at Made in Cloister, Napoli 2018

L’INSTALLAZIONE

Rifugiati, embrioni germinativi di vita, testimoni del tempo, memoria di calchi pompeiani –anche in suggestione con l’abbinamento tra uno di essi e lo stesso Paladino nella vicina e ancora in corso Pompei @Madre – i Dormienti sono ora pellegrini e ospiti, donanti e riceventi condivisione, dono e ristoro. In prologo anche al progetto di mensa sociale che in autunno partirà nel chiostro, in linea con la mission di rivalutazione urbana della Fondazione.
Ma lo diventano grazie al dialogo con la celebre Pane e oro del 1995, posizionata a contraltare degli affreschi cinquecenteschi e in sfondo visivo e tematico del rinnovato corpus installativo. Che, in attraversamento diagonale degli spazi, sconfessa un perdurante pittoricismo nel rinvenimento di un punto di osservazione privilegiato angolare. Dal quale si aprono scenograficamente le due ali dei nuovi elementi: dei tavoli istoriati con segni tipici dell’autore, tra bruciature della materia e blu di Prussia accecanti, da un lato; dall’altro, due focus visivi con pani e ciotole, alternanti il vuoto dei piatti e della nicchia, e il pieno dei pani e del masso, in mirabile, quanto sottile, bilanciamento, fruibile interamente solo in prospettiva.
Il ritmo musicale di vuoti e pieni si travasa dal 2D della tela al 3D dell’installazione, assorbendo l’ulteriore cadenza delle arcate ospitanti e inserendosi fluidamente ‒ non a caso essendo già quello dell’autore “un lavoro molto architettonico” per il curatore Flavio Arensi – nel costruito. Trasformato dall’artista in utero di quel dialogo tra sacro e quotidiano che ogni archetipico scambio di nutrimento accende, traendo oro dalla polvere.

Diana Gianquitto

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Diana Gianquitto

Diana Gianquitto

Sono un critico, curatore e docente d’arte contemporanea, ma prima di tutto sono un “addetto ai lavori” desideroso di trasmettere, a chi dentro questi “lavori” non è, la mia grande passione e gioia per tutto ciò che è creatività contemporanea.…

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