Autoritratto d’artista. Jim Dine a Roma
Accademia Nazionale di San Luca ‒ Palazzo Carpegna, Roma ‒ fino al 3 febbraio 2018. “Ogni cosa che faccio è un autoritratto”, dichiara l'artista durante una conversazione con Michael Rooks del 2017. Ed è proprio un autoritratto ad anticipare la mostra di Jim Dine prima di entrare nelle sale di Palazzo Carpegna.
Una mostra a porte aperte quella di Jim Dine (Cincinnati, 1935). Ancora per pochi giorni la sua “testa parlante” reclama le sue origini trascritte a grandi lettere sulle solide mura dell’Accademia di San Luca. Il poema leggibile tra le pareti, pubblicato nel 2015 dalla Cuniform Press e riportato sul catalogo dell’esposizione in versione bilingue, mostra i chiari deliri dell’artista. Note biografiche o auto-referenziali testimoniano “le sue lotte interiori per trovare se stesso, un Sé che continua a celarsi dietro a diverse maschere e scenari“, dal testo di Lóránd Hegyi, critico d’arte ungherese che già nel 2016 lo aveva inquadrato all’interno dell’oscura mostra Intrigantes Incertitudes al Musée d’art moderne et contemporain di Saint-Étienne, di cui è direttore.
LE OPERE
Si capisce da subito, prima di venirne coinvolti, che i pochi passi che separano il visitatore dalla scena regolano il varco a una scala proporzionale superiore: con The Flowering Sheets (Poet Singing) l’artista mette al centro il suo grande autoritratto, visibile dall’esterno, che si colloca frontalmente, circondato e quasi sopraffatto da violente energie psichiche rappresentate da cinque grandi Muse.
Gli unici riferimenti che riportano alla reale proporzione sono i quattro ingressi laterali della stanza attraverso i quali si accede a due spazi affini comunicanti che ospitano l’intero ciclo pittorico inedito Black Paintings, creando scorci e prospettive diverse nonostante lo spazio limitato.
Sono tutte opere concepite in passato, il ciclo pittorico nel 2015 mentre l’installazione della sala centrale è del 2008, presentata per la prima volta al Getty Museum di Los Angeles e al Museo d’Arte Antica di Basilea nel 2016, ogni volta però con nuove caratteristiche date dal diverso modo di scrivere le medesime parole, come analizza Vincent Kat nel suo testo in catalogo, che traduce passo passo il racconto di Dine in Flowering Sheets.
L’IMPORTANZA DELL’IMMAGINE
Questa esposizione inaugura l’elezione di Dine nella classe degli accademici stranieri e sedimenta ancora una volta il misunderstanding che lo ha portato a essere definito un pop artist, mostrando un rapporto con le immagini più complesso. “Mi interessano le immagini personali, fare quadri sul mio studio, sulla mia esperienza di pittore, sullo stesso dipingere, la scala dei colori, la tavolozza, gli stessi elementi del paesaggio reale – ma usati diversamente”, dichiara già nel ‘63 in un’intervista di G.R. Swenson pubblicata su Art News. L’intento è chiaro: comprendere se stesso per mezzo della sua opera.
‒ Donatella Giordano
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