A Milano una mostra racconta il Novecento attraverso le opere grafiche di tre grandi Maestri
Attraverso un percorso costellato di opere su carta, incisioni e stampe la mostra “I Tre Grandi di Spagna: tre visioni, un’eredità”, alla Fabbrica del Vapore, racconta la nascita e l’evoluzione di Pablo Picasso, Joan Miró e Salvador Dalí, tra i massimi protagonisti del primo Novecento
Si tratta di un’esposizione di studio, approfondimento e riflessione e non di veloce consumazione, concepita, nello spazio milanese, per offrire ai visitatori, attraverso opere su carta, incisioni e stampe, preziose testimonianze della pratica artistica di tre indiscussi protagonisti del Novecento. Tre personalità uniche per un’eredità comune che ha segnato in modo indelebile l’arte moderna e contemporanea.
“Non vorrei essere campanilista”, commenta Joan Abelló, curatore della mostra I tre grandi di Spagna con Vittoria Mainoldi e Carlota Muiños,“ma in questa mostra me lo permetto. Hélène Parmelin (1915-1998), una delle sue prime agiografe – scrittrice e compagna del pittore Édouard Pignon (1905-1993), tutti e tre allora comunisti dissidenti – attribuì al Maestro, senza che lui lo smentisse, la celebre affermazione: Il faut tuer l’art moderne. Picasso vi aggiungeva: ‘Significa anche che bisogna uccidersi se si vuole continuare a essere in grado di fare qualcosa”.

Il percorso espositivo dei “I Tre Grandi di Spagna” alla Fabbrica del Vapore di Milano
Il percorso espositivo alla Fabbrica del Vapore di Milano, diviso in cinque sezioni, ripercorre le tappe fondamentali della storia di Picasso, Miró e Dalí, dalla loro formazione nel fermento culturale della Catalogna – terra d’origine per Miró e Dalí e di iniziazione artistica per Picasso – all’influenza decisiva del Modernismo e del Noucentisme. Come scriveva Salvador Dalí: “Restano ancora pochi paesaggi. Essi convergono tutti qui. La Catalogna è il centro del mondo”.
“Dalla fine degli Anni ’90 del XIX secolo la Catalogna aveva avviato un profondo rinnovamento stilistico e culturale che andava di pari passo con le istanze politiche di indipendentismo della regione”, spiega Vittoria Mainoldi. “Il Modernismo che aveva trovato la sua massima espressione, nel campo dell’architettura con la figura di Gaudì, aveva mutato in modo profondo il DNA della scena artistica catalana, ed è questo che Picasso assorbe, assieme alle potenzialità offerte da una società in ascesa economica. Ma quando pochi anni più tardi, dopo essersi trasferito a Parigi, visita Barcellona, trova un ambiente mutato, dove si sta sviluppando una corrente nuova, che avrà grande influenza su Mirò e Dalì: il Noucentisme. In un clima socioeconomico diverso, artisti e intellettuali catalani aspiravano ad un revival classicista, o meglio ad un classicismo veramente nuovo, che non poteva prescindere dal mito della mediterraneità, e il cui destino era strettamente intrecciato con le politiche di autonomia governativa catalana. Il Noucentisme, di cui uno dei principali esponenti fu Joaquim Sunyer, pone al centro del dibattito artistico la questione della vernacolarità, e la tensione tra vernacolarità e modernità è centrale anche nello sviluppo delle poetiche personali di Mirò e Dalì”.
In mostra a Milano la parabola artistica di Picasso, Mirò e Dalì
Dalla comune rottura con i canoni accademici, al trasferimento nella Parigi delle avanguardie, passando per incontri cruciali e momenti di svolta, la mostra racconta come ciascuno abbia elaborato un linguaggio radicalmente personale, contribuendo a plasmare il panorama dell’arte del Secolo scorso. Il filo conduttore è sicuramente il Surrealismo, corrente e mezzo privilegiato di espressione dell’inconscio e dell’identità individuale. Ampio spazio viene anche dato al consolidamento delle poetiche personali nel Secondo dopoguerra e al successo internazionale. Infine, vi è uno sguardo all’eclettismo tecnico che li accomuna: pittura, scultura, grafica, poesia, cinema, arti applicate e interventi in ambito architettonico e pubblico si fondono nel corpus di ciascuno di questi tre artisti che sfidano le classificazioni e moltiplicano i linguaggi dell’arte.
Da Guernica a Baccanale, ecco cosa rivelano alcune delle opere più significative dei tre artisti
Attraverso opere provenienti da istituzioni internazionali e collezioni private, la mostra intreccia, tra contrasti e affinità, il dialogo tra le menti visionarie dei tre artisti accomunati non solo dal luogo di nascita. Il percorso ne indaga le parabole artistiche, simbolo della storia del Primo Novecento, fatta di guerre e dittature, che in Spagna si sono protratte fino alla metà degli Anni’70.
Particolare attenzione è data all’origine di Guernica, commovente manifesto contro la guerra di Pablo Picasso del 1937. Bozzetti preparatori, fotografie di Dora Maar – fotografa, poetessa e artista allora amante di Picasso – ne attestano la lavorazione, insieme ad opere coeve dell’artista, come Sueño y Mentira de Franco, rivelatrici dell’opprimente clima culturale dell’epoca, purtroppo non così lontano da quello contemporaneo, segnato da violenza e distruzione.
Altrettanto significativa è Bacchanale, scenografia teatrale realizzata da Salvador Dalí nel 1939 per l’omonimo balletto. Capolavoro di surrealismo, l’opera – esposta per la prima volta in Italia (come molte altre lungo il percorso) – ne rappresenta anche l’inizio della collaborazione con I Balletti Russi di Monte Carlo, che, prima di lui, si erano avvalsi tra gli altri, di Picasso e Mirò. In mostra anche la proiezione del balletto in scena lo scorso dicembre al Círculo de Bellas Artes di Madrid.
Le opere grafiche di Picasso, mirò e Dalì alla Fabbrica del Vapore di Milano
Delle oltre duecento opere presenti, molte appartengono a serie grafiche su carta (litografie, acqueforti, acquetinte, puntesecche, linoleografie). Tra queste la celebre Suite Vollard, raccolta di 100 incisioni realizzate da Picasso tra il 1930 e il 1937 per Ambroise Vollard che esplora temi come il mito del Minotauro, l’atelier dell’artista e il rapporto tra eros e creazione. La serie Femme, di Joan Mirò, realizzata nel 1965 per l’editore e gallerista francese Aimé Maegh, in cui l’artista trasforma la figura femminile, soggetto ricorrente nella sua opera, in un simbolo universale.
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L’importanza dei mercanti per lo sviluppo dell’arte nel Primo Novecento
“I mercanti d’arte costituiscono un capitolo fondamentale nella storia dell’arte moderna ma pochissimi di loro hanno raggiunto l’importanza di Ambroise Vollard”, racconta Carlota Muiños, “che decise di sostenere quegli artisti che, ignorati dall’Accademia e dalla maggior parte dei critici ufficiali, cercavano nuove strade per l’arte. La galleria aprì a Parigi nel 1893 ed espose opere dei principali artisti dell’epoca come Manet, Degas, Cézanne, Gauguin, Matisse e Picasso. Una delle intuizioni più brillanti di Vollard fu quella di commissionare litografie ed incisioni a pittori, anche a quelli che non avevano mai pensato prima di lavorare con la grafica. Nel 1930, Picasso ricevette l’incarico di realizzare una serie di incisioni che sarebbe diventata nota come Suite Vollard, in cambio di dipinti di Pierre-Auguste Renoir e Paul Cézanne che desiderava per la sua collezione. Considerata la serie di incisioni più importante dell’arte moderna, paragonabile per qualità e ampiezza solo alle incisioni realizzate in precedenza da Goya o Rembrandt, salvo poche eccezioni, la diffusione della Suite Vollard è avvenuta singolarmente, stampa per stampa, per cui sono pochissime le collezioni complete, anche museali, solo nove in tutto il mondo, mentre le lastre originali sono conservate al Museo Picasso di Parigi”.
Tre grandi maestri dell’arte del Novecento, la parola al curatore
“Picasso è uno sperimentatore nato: nelle sue tecniche, nei suoi stili, nelle sue serie”, spiega Joan Abelló. “È quasi la norma che un artista di successo ristagni nel proprio linguaggio, divenuto riconoscibile e prezioso per il mercato; lui no. Miró, pur servendosi del sogno e dell’automatismo surrealista, cela dietro l’apparente libertà un rigore di artigiano disciplinato. Dalí, con il suo metodo paranoico-critico, si impone come teorico ed edonista dell’immaginazione. La mostra possiede un senso glocale: artisti universali, ma con radici profondamente locali”.

“Questa mostra parla di alcuni dei più grandi mastri dell’arte del Novecento”, commenta Vittoria Mainoldi, “pietre fondanti di quello che consideriamo oggi modernità, parla di tre caratteri distinti, di tre personalità bene delineate. Ma questa mostra parla anche di uno spazio e di un tempo. Non credo cha sia pretestuoso ragionare sul rapporto che legava Picasso, Mirò e Dalì, sia a livello personale che a livello di debiti e crediti culturali reciproci. A ben vedere anche Dalì ha compiuto questa operazione quando ne La mia vita segreta, la sua fantasiosa autobiografia, dichiara che nel 1926 incontra Picasso a Parigi e, nello stesso paragrafo, cita immediatamente e senza apparente nesso causale anche Mirò, che, a suo dire, gli avrebbe telefonato per annunciargli una sua visita. L’autobiografia di Dalì mescola realtà e finzione e non possiamo nemmeno essere certi che l’incontro con Picasso sia realmente avvenuto, o che sia avvenuto nei luoghi, tempi e modi in cui ne parla il pittore di Figueres. Abbiamo invece certezza della visita di Mirò, avvenuta però un anno più tardi, nel 1927. Quello che però qui conta, è che per Dalì le sue opere entrano in rapporto con quelle di Picasso e Mirò e lo fanno in un momento particolare della sua storia personale”.
Giulia Bianco
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