Milano ha un museo straordinario. Il nuovo allestimento del Museo del Novecento raccontato dal direttore 

Il direttore Gianfranco Maraniello racconta le novità dello storico museo che, affacciato su Piazza del Duomo, adesso finalmente, ripensato come “soglia”, pone le opere in relazione osmotica con la città e la sua storia

Il percorso espositivo della collezione permanente del Museo del Novecento è stato completamente rinnovato grazie a un attento e meticoloso lavoro curatoriale.
La narrazione, pur mantenendo un carattere tematico, segue ora un ordinamento cronologico, costellato da approfondimenti monografici. Il progetto, coadiuvato dalla continuità di materiali e colori che rende più fluida l’esperienza di visita, si arricchisce, tra l’altro, di una serie di opere precedentemente conservate nei depositi.

Il direttore Gianfranco Maraniello ripristina l’idea del museo come soglia

Un allestimento che, assecondando l’architettura e i volumi originari, restituisce l’idea di museo come soglia, creando un dialogo tra interno ed esterno dell’edificio, tra luce naturale e artificiale. Alla domanda da dove nasca l’idea di “aprire” il museo alla città Gianfranco Maraniello risponde: “avendo l’opportunità di confrontarmi direttamente con il mio amico Italo Rota,l a prima cosa che ho fatto, quasi tre anni fa, è stata cercare di capire le ragioni all’origine di alcune scelte. Così, ho sviluppato l’idea delle aperture che riprende alcuni concetti originari del suo progetto. Trovarsi in Piazza Duomo permette di avere un rapporto osmotico con la città. Inquadrando il percorso nella Storia dell’Arte del Novecento avvertiamo non soltanto una stretta connessione storica tra eventi e opere, ma anche una propensione a estendere lo sguardo alle possibilità dell’arte. Progressivamente l’arte esce dal perimetro della cornice, salta giù dal basamento dedicato alla statuaria per diventare installazione e continua a guadagnare spazio. Quindi, anche il perimetro del museo diventa una sorta di limite transitorio che conduce lo sguardo del visitatore oltre se stesso”. Il rinnovamento proseguirà in autunno, con un intervento sull’ingresso e sulla rampa di accesso alle sale, già rivolto verso l’imminente cantiere per la seconda torre dell’Arengario.

Le opere del Museo del Novecento in relazione con quelle in Piazza del Duomo

Mettere la Pomona di Marino Marini (Pistoia, 1901 – Viareggio, 1980) in relazione sì al suo quadro, cioè ad una dimensione bi-dimensionale”, spiega ancora Gianfranco Maraniello, “ma anche, avendo le grandi vetrate su Piazza Duomo a disposizione, significa relazionare la maternità cristiana della Madonnina del Duomo con questa maternità pagana, antica e arcaica, creando una continuità tra mondi. Con una semplice simmetria lo spazio dell’Arengario sottolinea come il cavallo e il cavaliere di Marini, con la stessa logica, trovino riferimento non solo in un quadro affine dello stesso artista, ma anche nel monumento equestre di Vittorio Emanuele di Ercole Rosa in Piazza Duomo. Un solo sguardo abbraccia la cattedrale e il re, una sintesi della storia più importante della città”.

Il nuovo allestimento del. Museo del Novecento, Milano 2025. Photo Marco Bertoli
Il nuovo allestimento del. Museo del Novecento, Milano 2025. Photo Marco Bertoli

Le opere di Rauschenberg in dialogo con le opere del Museo del Novecento

Il percorso inizia nell’elegante Galleria del Futurismo, la prima ad essere stata interessata dal riallestimento, dove attualmente è in mostra una delle otto opere di Robert Rauschenberg (USA, 1925 – 2008). Questi assemblaggi evocano un’interessante riflessione sul ciclo di produzione e consumo; sulla capacità dell’arte di reinventare il senso delle cose. “Qui l’ottimismo del futurismo si scontra letteralmente con la crisi del petrolio e delle lamiere, offrendo uno sguardo che riflette il Secolo Breve nella sua interezza, dall’avanguardia come speranza di trasformare il mondo alla realtà di fine secolo”, commenta Maraniello.
Qualcosa di simile accade al piano superiore dove, spiega il direttore: “abbiamo messo quest’epica di Napoleone, conquistatore a cavallo, al cospetto delle tragedie del fascismo e della guerra. Quindi, la celebrazione dell’eroe conquistatore si trova vicino ai morti di Bligny e alle figure disperate di Carrà”.

Nel museo milanese gli scatti di Ugo Mulas danno voce alle opere

Nelle sale del museo i celebri scatti di Ugo Mulas entrano in collezione e documentano il fermento creativo di quegli anni, rivelando al visitatore il modus operandi degli artisti; dall’esecuzione dei tagli di Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, 1968),alle combustioni di Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995).
Tra gli approfondimenti monografici si ritrova un omaggio a Gastone Novelli (Vienna, 1925 – Milano, 1968) che “nel ’68 andò a vivere a Milano, partecipò ai moti del ’68 e alla Biennale dello stesso anno. La foto di Mulas documenta la sala di Novelli, con i quadri girati e la scritta dietro uno dei dipinti: Biennale fascista. Di cui uno, a seguito di recenti analisi, si è scoperto essere già nella disponibilità del museo”.
La fotografia, che diventa a sua volta autoriale, è una delle chiavi dell’immaginario del Novecento”, osserva Maraniello. “Il giusto accompagnamento a un’arte sempre più smaterializzata, fatta di gesti, happening, comportamenti e installazioni temporanee. Vedere il gesto dell’artista è essenziale per restituire una dimensione che non appartiene a nessun altro secolo dell’arte. Con un testimone così rilevante a livello internazionale, abbiamo voluto porre un’attenzione particolare a quello che è successo nella storia dell’arte a Milano”.

L’arte in rapporto con la storia di Milano

Prima di giungere alla galleria Gesti e processi – completamente ristrutturata e riallestita, dedicata al periodo dagli Anni Sessanta ai Novanta – è adesso possibile “esplorare dall’alto la storica Sala delle Cariatidi, grazie a un vetro ottagonale”, spiega Marianello.
Lo spazio degli Archivi ha inaugurato con la mostra Artshow (1986-2011), la guida per orientarsi nel mondo dell’arte, un approfondimento sul panorama artistico e culturale milanese attraverso le copertine e le pubblicazioni collaterali della storica guida sulle mostre e gli eventi di arte contemporanea, creata e diretta da Giulio Ciavoliello. “Un’esperienza dal mio punto di vista importantissima per gli addetti del mondo dell’arte degli anni ’90 e 2000. Tutti abbiamo avuto i numeri di Artshow in tasca, che indicavano, con una scelta critica e selettiva, i luoghi degli opening. Oggi ha un valore archivistico incredibile, per nomi, mappe e presenze. All’epoca ha creato e aggregato comunità artistiche. Tutti ci recavamo alle inaugurazioni delle gallerie nascenti quali DeCarlo e Casoli; ci si incontrava e ci si confrontava. Oggi sostituito, per certi versi, dal digitale, in cui però c’è un eccesso di informazioni e una mancanza di approfondimento critico”.
Nuove sale e una nuova interpretazione degli spazi che ospitano le opere, poiché le 13 grandi finestre e gli affacci di questa galleria, corrispondente al secondo piano di Palazzo Reale, sono state aperte, consentendo una vista panoramica sul Duomo di Milano.
Una sala è adesso dedicata al Nuovo Realismo, che “è avvenuto proprio in piazza Duomo”.

Democrazia della luce

In merito alle novità apportate,Gianfranco Maraniello commenta: “questo allestimento – grazie al percorso della luce naturale da est a ovest, mai diretta sulle opere chiaramente – ci ha consentito di eliminare oltre 150 faretti; un grande risparmio energetico che abbiamo tradotto anche in una sorta di democrazia della luce. Le condizioni ambientali, infatti, mutano durante il giorno per tutte le opere che, quindi, si lasciano vedere senza quella teatralità che solitamente, rispecchiando lo sguardo del curatore, potrebbe enfatizzare dei lavori piuttosto che altri. Le opere convivono così nel loro flusso storico. Eccezion fatta” ha precisato “per I funerali dell’anarchico Pinelli, illuminata anche la sera. Come già accadeva nella Sala Fontana, anche il nuovo allestimento favorisce una dimensione di raccoglimento, riducendo lo sguardo prospettico. Si entra e si partecipa liturgicamente all’opera, a una distanza ravvicinata, non contemplativa come avviene per altri lavori, ad esempio per Schifano. Avvicinata alle finestre, la sera, al calar del sole, quest’opera, testimonianza civile, può essere vista anche dall’esterno, confermando l’idea del museo come soglia attraverso cui si guarda la città e viceversa”.

Giulia Bianco

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Giulia Bianco

Giulia Bianco

Ha frequentato a Milano il Master Economia e Management per l'Arte e la Cultura della 24Ore Business School. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Catania con tesi dal titolo “I contratti nel mondo dell’arte”, è specializzata in diritto…

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