Quello che il Macro di Roma avrebbe potuto essere e non è

La visita alla mostra inaugurale del nuovo Macro by Luca Lo Pinto è l’occasione per riflettere sul progetto architettonico di Odile Decq a dieci anni dalla sua inaugurazione. La tesi di Pericle Guaglianone? L’archistar doveva avere più coraggio.

Da anni ho sensazioni contrastanti a proposito del Macro di Odile Decq. Del genere “mi piace, però…”. Il progetto è formidabile, l’architetto pure, però alla fin fine c’è qualcosa che non va, che non funziona. Oltretutto credo di intercettare un sentiment diffuso affermando ciò.
Ne scrivo ora, a dieci anni dall’inaugurazione, perché la risposta l’ho trovata solo ora. È successo tutt’a un tratto, visitando la mostra inaugurale del nuovo corso by Lo Pinto, che era appunto un invito a vedere il museo come un tutt’uno. D’improvviso ho riconosciuto quello che per me è l’errore di Odile Decq. L’anello che – sempre secondo me – nel suo progetto non tiene. Tac, eccolo là.

ODILE DECQ, ARCHISTAR PUNK

Premessa. Non ce l’ho con Odile Decq. Tutt’altro. La trovo così brava, punk e avanti da meritare solo applausi. Confesso pure che quando mi ritrovo a tu per tu con quel mini-auditorium total red (e che red!), indifferentemente davanti, sopra o dentro, ogni volta puntualmente sbavo. È un cuore, penso, ma così contemporaneo! Piacerebbe a Carlo Mollino, a Carmelo Bene, a Pasolini. Lo includerei tra le meraviglie di Roma nelle top ten (top twenty trattandosi di Roma) che si divertono a stilare gli autori di guide turistiche in apertura di volume. Figuriamoci quindi se ho qualcosa contro Odile Decq!
Però, ed eccoci al punto, l’archistar doveva avere più coraggio. Mi spiego. Il Macro è un magnifico oggetto nero, rosso e acciaio che riesce a essere al contempo underground e camp. Ha un foyer che non è solo un foyer, ma una piazza “altra”, un sogno ultra-contemporaneo. Ecco. Con queste premesse Decq poteva osare di più. E proporci una sala espositiva meno convenzionale. Tanto più in considerazione delle dimensioni abnormi di quella sala – che è grande quanto una cattedrale!

Veduta della mostra Museo per l’Immaginazione Preventiva — EDITORIALE, MACRO, 2020. VIPRA, See how VIPRA is using music to hijack pop culture, 2020. Courtesy MACRO — Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Photo Roberto Apa

Veduta della mostra Museo per l’Immaginazione Preventiva — EDITORIALE, MACRO, 2020.
VIPRA, See how VIPRA is using music to hijack pop culture, 2020. Courtesy MACRO — Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Photo Roberto Apa

IL MACRO COME BLACK CUBE

Invece quella sala delude. E delude perché, nonostante tutto quel bianco espositivo che la caratterizza, in essa la dimensione white cube non si ingenera mai; perché è talmente ripida e vasta, estesa e verticale, da diventare, proprio perché bianca, un’area tutto sommato dozzinale in cui domina l’effetto cartongesso. Ecco. E vengo al dunque. Secondo me quella sala andava interpretata senza concessioni al cliché, in modo spinto, facendone un colossale vano post-industrial caratterizzato da pareti scure e grezze. Qualcosa tipo l’HangarBicocca. Si sarebbe ottenuto un effetto paradossalmente più neutro, e conseguentemente un’area più funzionale sul piano allestitivo – tanto più che oggi il dogma dello spazio espositivo necessariamente bianco è ormai superato. Che kunsthalle avremmo avuto!
Insomma, Paint it black, dovevi essere rock fino in fondo Odile! Il Macro sarebbe stato una bomba, diventando il “museo nero di Roma”, un’attrazione mondiale anche in termini di brandizzazione. Così diverso dal Maxxi, il Macro sarebbe stato un prisma terso e scuro, per niente barocco, ispirato a un paradigma differente e in definitiva tutto tuo, il black cube.

IL MACRO, CAPOLAVORO DI ODILE DECQ

Nessun dubbio che avrebbe calamitato i migliori artisti del mondo in virtù della sua unicità.
Chissà, forse c’è ancora tempo per un ritocco. In caso di un tuo ravvedimento ovviamente. Pensaci. Roma avrebbe un altro capolavoro, il capolavoro di Odile Decq, secondo me funzionalissimo anche sotto il profilo pratico, espositivo.
Post scriptum: il nuovo direttore del Macro proviene dall’esperienza di un progetto editoriale denominato Nero. La coincidenza, benché pertinente, non è voluta – è pura sincronicità.

Pericle Guaglianone

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Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone è nato a Roma negli anni ’70. Da bambino riusciva a riconoscere tutte le automobili dalla forma dei fanali accesi la notte. Gli piacevano tanto anche gli atlanti, li studiava ore e ore. Le bandiere erano un’altra sua…

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