Cultura con capo e coda. L’editoriale di Irene Sanesi

La cultura, per potersi evolvere in direzioni virtuose, necessita anche del giusto supporto economico. Quali sono le strategie affinché tutto ciò accada?

Che la cultura produce economia lo si capisce dai titoli di coda.
Che abbiamo bisogno di qualcuno a capo (imprenditori e manager) delle imprese culturali lo si capisce e basta. Anche se i nomi sono spesso troppo piccoli quando scorrono veloci sui grandi schermi del cinema o su quelli piccoli di tablet e smartphone, abbiamo chiaro che dietro la realizzazione di un film e affini vi è un mondo. Un mondo di competenze, una popolazione di tecnicalità, un numero enorme di addetti ai lavori. La cultura conta dunque, la cultura è un mercato nel quale non ci si improvvisa. Non è un divertissement. Né uno spazio economico (dal punto di vista lavorativo) nel quale si possa pensare di andare avanti con il supporto del solo volontariato (prezioso, ma talune volte fuorviante sotto il profilo strategico) o del solo contributo pubblico sotto il profilo dei proventi. Nelle more dei decreti attuativi del Codice che riforma il terzo settore diventano stringenti alcune riflessioni di senso che riguardano precipuamente la legittimazione di un settore quale quello culturale, anche se, va detto, leggendo il testo della norma si comprende che non è stata pensata per la cultura, piuttosto per altri mondi (sociale e sanitario in primis), pur riconoscendo le attività culturali tra quelle di interesse generale.
Sicuramente l’impianto legislativo fa proprio un principio e cioè il superamento, nel perimetro del terzo settore, dell’utilità sociale per abbracciare il concetto di interesse generale costituzionalmente diretto.

UN CAMBIO DI PARADIGMA

C’è bisogno adesso, stante la legittimazione normativa, di un’inversione del procedimento cognitivo che conduca a far riflettere gli operatori culturali sul loro ruolo economico e coltivi una classe di imprenditori culturali in grado di generare innovazione sociale, valore per le comunità, moltiplicatori di crescita. Il vero cambio di paradigma avverrà quando anche le imprese culturali (magari con l’habitus fiscale di imprese sociali) diverranno appetibili per nuovi soci (di capitale), fondi di investimento, spin off aziendali, fusioni e acquisizioni (M&A, come dicono oltre Manica e oltre oceano).
Vero è che la diffusa e pervasiva presenza in Italia di PMI, la maggior parte possedute e gestite da famiglie, ha provocato una naturale resistenza ai passaggi di mano e a operazioni di sviluppo strategico. Questo contesto ha assunto nel sistema culturale una maggiore intensità soprattutto per la dipendenza di molte attività del terzo settore dai fondi pubblici. Oggi siamo di fronte a un bivio: voler permanere insistentemente e pervicacemente dentro l’apparente comfort zone dello status quo o piuttosto ripensarsi in chiave economica, di investimento, di ricerca e innovazione, di partnership, di internazionalizzazione ecc.
Per riuscirci è fondamentale che emergano figure capaci di esprimere nuove leadership (ispirate e formate al dispositivo di competenze trama) attraversando quel confine sempre più chiaro tra una gestione efficiente e una gestione strategica. Leader che traggano, una volta per tutte, il dado del cambiamento a partire dai titoli di coda.

Irene Sanesi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #49

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Irene Sanesi

Irene Sanesi

Dottore commercialista e revisore legale. Socio fondatore e partner di BBS-pro Ballerini Sanesi professionisti associati e di BBS-Lombard con sedi a Prato e Milano. Opera in particolare nell’ambito dell’economia gestione e fiscalità del Terzo Settore con particolare riferimento alla cultura,…

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