Uno dei classici di Stravinskij riletto da una giovane compagnia italiana. A Torino e Reggio

La musica è di Igor Stravinskij le coreografie sono di eminenti autori, ma la compagnia è giovane ed italiana: lo spettacolo è di sicuro successo e calato nell’attualità. Ed è subito stato prenotato anche all’estero…

Chiunque oggi si avvicini a una musica come il Sacre du printemps di Igor Stravinskij per farne una danza, è un po’ come un bimbetto che infila le dita in una spina della corrente. Quella musica dai ritmi ostinati e irregolari, dalla tremenda tensione strumentale, una volta abbinata, nel 1913, alla coreografia non meno anti-tradizionale e già contemporanea, di Vaslav Nijinskij, divenne, a Parigi, il maggior scandalo teatrale nella prima metà del XX secolo. Pochi anni dopo consacrò in vita purtroppo solo il suo compositore. Al vituperato coreografo Nijinskij, anche grande ballerino, anzi dieu de la danse dei Ballets Russes di Sergej Djagilev, toccò in sorte, dal 1919, una demenza ereditaria paralizzante: non se ne liberò sino al 1950, l’anno della scomparsa.
Svolta epocale nella storia della musica per aver proclamato il valore del ritmo e la sua “corporea” fisicità, il Sacre proliferò: si tramutò in una pepita d’oro da trasfigurare  per i maggiori coreografi della seconda metà del ’900, da Maurice Béjart a Pina Bausch, da Martha Graham a Glen Tetley, e ben oltre il secolo breve, sconfinando anche in culture e terre lontane dagli originali  Quadri della Russia pagana, come per il cinese-americano Shen Wei (optò per un Sacre solo pianistico e a quattro mani), ma forse non sempre dalla “memoria popolare inconscia” tanto cara a Stravinskij.

Lo spettacolo Sacre du printemps
Lo spettacolo Sacre du printemps

Lo spettacolo dei Dewey Dell

Teodora Castellucci, figlia e sorella d’arte (Romeo, il famoso regista, il padre, Chiara Guidi, ricercatrice vocalist, la madre) ha messo il dito nella spina. Incautamente? Già al debutto, nell’aprile scorso, alla Triennale Teatro di Milano, ci fu chi insinuò la preminenza di un titolo davvero noto tra i non molti nell’ambito non ballettistico, e dunque una certa malcelata furbizia da parte della coreografa. Opinione maliziosa ma non infondata; il Sacre dei Dewey Dell, la compagnia co-fondata da Teodora nel 2006, ha subito proseguito la sua corsa in estate e la continuerà in autunno e per tutto il 2024 con date già fissate in Italia (Torinodanza, 20-21 ottobre; Festival Aperto a Reggio Emilia, 3 novembre) e all’estero. Viceversa per chi conosce il repertorio dei Dewey Dell, questo Sacre nonha secondi fini bensì una necessità originale. Anzitutto sembra il sequel di Sleep Technique. Una risposta alla caverna di Chauvet- Pont d’Ardèche, (2017). Qui una grotta con una fonda cavità accoglieva un dialogo con la preistoria, con quell’homo sapiens sapiens autore delle meraviglie incise nella spelonca francese. Anche nel nuovo Sacre la scena, pensata da Vito Matera, è del pari un antro sabbioso con una buia e bassa infossatura dalla quale escono, ma solo in parte, lombrichi, scarabei dalle corazze chiare e disegnate: insetti non identificabili ma neri come la pece, oppure avvolti in manti amplissimi con ricche gorgiere e alti becchi dorati, o pistilli, in forma fallica.

Le Sacre du printemps: cosa significa

Teodora, con la sorella Agata (danzatrice e assistente-coreografa), il fratello Demetrio (ottimo musicista, indispensabile per calibrare silenzi e piccoli frastuoni che s’insinuano in questo Sacre) e la cugina Carmen, preziosa costumista, volge lo sguardo al mondo degli animali, come tante volte ha fatto in precedenti spettacoli. L’attrazione è tutta per l’entomologia, la microbiologia, sottobraccio a Emanuele Coccia, il filosofo italiano del momento, e al suo Metamorfosi, siamo un’unica sola vita (Einaudi, Torino, 2022) per scoprire come per molte creature a noi consustanziali, vita e morte siano riciclabili, in un’indispensabile, violenta e continua trasformazione. Nel mondo degli insetti, dei semi e delle muffe la morte è una presenza espansa: ed è un invito alla vita. “La rigenerazione ciclica delle stagioni e della fecondità della terra non è un percorso lineare, ma lo sconquasso di tutti gli elementi. La primavera è il periodo di massimo turbamento”, sintetizzano i Dewey Dell, “e il terrore dell’esistenza si fonde alla gioia vertiginosa dell’esserci”.
Nessuna Vergine sarà immolata per la rinascita in questa stagione di mezzo, come nel balletto originale. In una danza consona allo spessore tellurico della musica, vissuta e interpretata anche da Alberto Mix Galluzzi, NastyDen e Francesca Siracusa, si passa da una gestualità elettrica a una soffice. Catturano lo sguardo le acrobazie improvvise, la contact improvisation e quei gruppi così ben incastrati da sembrare mosche appese a un nastro che le incolla, o sculture, ma poi libere creature isteriche, aleggianti come insetti solitari.

Lo spettacolo Sacre du printemps
Lo spettacolo Sacre du printemps

Da Emanuele Coccia a Dewey Dell

Lì nella caverna del Sacre/Dewey Dellsi vive di antinomie sino a che nella seconda parte della partitura – ben note le due sezioni, L’adorazione della terra e Il sacrificio -, compare un gruppo di apicoltori, riconoscibili dalle gabbie protettive sulla testa e in esplorazione nella grotta. Trovato il becco dorato del fantasmagorico insetto in gorgiera e dal vaporoso manto rosso, uno di loro verrà da questo risucchiato nel buco nero della spelonca o viceversa ed entrambi spariranno. Fine di un Sacre imprevedibile e che ha ragione di esistere, non solo perché muffe, batteri, insetti contribuiscono a indebolire la forza dell’uomo-dominatore della natura e invece suo carnefice. Il nostro tempo pandemico segna la crisi irreversibile dell’antropocentrismo; la pièce dei Dewey Dell sottolinea la fine della superiorità della specie umana, distaccata dal resto del vivente sul pianeta. Lo fa con una raffinatezza lodevole, spesso in una vertigine di colore, capace persino di tenere testa alla sopraffazione del suono, uno dei rischi capitali del cult-ballet chiamato Sacre du printemps.

Marinella Guatterini

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Marinella Guatterini

Marinella Guatterini

Avrei voluto diventare un critico di arte visiva. Invece negli Anni Ottanta mi sono ritrovata a iniziare un lungo percorso di scrittura critica nell’ambito coreutico. La mia formazione composita si è rivelata utile per mettere meglio a fuoco la complessità…

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