Biennale Teatro. Il capolavoro del Leone d’oro alla carriera

I direttori della 49. Biennale Teatro di Venezia l'hanno definito un artista che “sprona il pubblico a strappare il fondale di carta della propria vita e scoprire cosa nasconde realmente”. Lui è Krzysztof Warlikowski, che si è guadagnato il Leone d’oro alla Carriera.

Con We are leaving Krzysztof Warlikowski torna su uno dei suoi autori preferiti, Hanoch Levin, in particolare sul testo Suitcase Packers. Un lavoro potente in cui il regista polacco svela la sua straordinaria capacità di portare a galla le verità più graffianti e impenetrabili, impiegando floride intuizioni registiche.

L’UMANITÀ DISUMANIZZATA DI WARLIKOWSKI

Sopra un impianto drammaturgico corale che accoglie un cast formidabile, quello storico del Nowy Teatr, trascina la mediocrità delle vite di 19 personaggi in uno spazio scenico non ben definito e di grande impatto visivo, creato dalla scenografa Małgorzata Szczęśniak. A tratti sembra una sala d’aspetto – a sottolineare lo stato d’impasse di coloro che la attraversano –, a tratti uno street club.

Krzysztof Warlikowski. Photo Maurycy Stankiewicz

Krzysztof Warlikowski. Photo Maurycy Stankiewicz

L’Israele di Levin, mantenuta da Warlikowski, si carica di riferimenti al contesto politico, oscurantista e sovranista che pesa sulla sua Polonia. Sopra questi non-luoghi scorrono le vite mediocri e annoiate dei personaggi, sulla cima di picchi nevrotici che non esplodono mai ma restano incise in un vuoto presente. Lontani da qualsiasi slancio di umanità, i “fantocci” creati da Warlikowski assomigliano più a un cumulo di istinti carnali, spinti alla ricerca di una speranza futura di riscatto, riposta in una partenza tanto attesa che non si compirà mai. Non viaggiatori dunque, ma solo “preparatori di valigie”, come suggerisce il titolo di Levin. Nemmeno l’amore trova spazio nelle loro vite, piuttosto il desiderio di sentirsi sessualmente appetibili e soprattutto di non sentirsi soli. Da freddi spettatori osservano i drammi dei loro simili: “Nessuno di loro conosce niente del proprio passato e di quello degli altri, non c’è alcuna storia nelle loro vite”, confessa il regista. Come non scorgere nella prigionia così puntualmente disegnata da Warlikowski il ritratto fedele della nostra società?

Krzysztof Warlikowski, We are leaving. Photo Andrea Avezzù

Krzysztof Warlikowski, We are leaving. Photo Andrea Avezzù

WARLIKOWSKI E L’ABITUDINE ALLA MORTE

Ad arrestare il ciclo di queste vite si inserisce una ripetizione di otto funerali – da qui il sottotitolo Comedy with eight funerals – in conseguenza di otto assurdi decessi: c’è chi viene colto da un malore nel bel mezzo di una zuppa e chi per un’operazione al cervello. Originale e incisiva la scelta di collocare il rito di ogni funerale in una quinta adiacente al fondale, delimitata da un sistema di porte trasparenti che divide a metà lo spazio scenico. Un espediente per rimarcare la dimensione di distacco dell’umanità dall’esperienza della morte, la cui dialettica viene affrontata con toni ironici e grotteschi.
Sapiente l’uso del video che funge da spia al pubblico su tutto ciò che accade al di là di una quinta nascosta. Il funerale è la possibilità ultima e unica per la reale conoscenza del defunto. Attraverso la morte si manifesta il passato e con esso la Storia, la protagonista indiscussa della poetica di Warlikowski, quella Storia in grado di determinarci, di dare un senso alle nostre vite, colei che, al pari della morte, può avvicinarci alla libertà: “L’accumulazione dei funerali è un esercizio che ho introdotto per provare ad abituarci all’avvento della morte”, dice il regista, “un modo per rompere l’immagine limitata della nostra libertà. L’umanità non vuole vedere la morte, i cimiteri sono collocati fuori delle città, dovremmo ristabilire un rapporto con essa invece di riporre fiducia nei fondamenti della religione”.

Krzysztof Warlikowski, We are leaving. Photo Andrea Avezzù

Krzysztof Warlikowski, We are leaving. Photo Andrea Avezzù

LIBERTÀ E DEMOCRAZIA SECONDO KRZYSZTOF WARLIKOWSKI

L’umanità come un immenso popolo di formiche: non esiste paragone più azzeccato per Warlikowski. Un insieme di minuscoli esseri metodicamente organizzati per la sopravvivenza e la produttività, che si credono invincibili entro la finitudine del loro sguardo; ma basta un niente, un virus ad esempio, a spazzarli via per sempre. E allora diventa indispensabile riallacciare quel rapporto con la morte, nella società di oggi rimossa e considerata come qualcosa che non ci riguarda, un rapporto universale e collettivo che può aiutarci e rompere le barriere invisibili e limitate della nostra libertà.
In We are leaving non ci sono eroi né happy ending. Il regista vuole aprirci gli occhi sul ruolo distruttivo che la sottomissione subdola alle democrazie tiranniche esercita sul processo di emancipazione del singolo perché quel desiderato viaggio possa finalmente compiersi. We are leaving è lo svelamento della lucida verità sulle nostre miserabili esistenze che ci spinge a interrogarci come, giunti ormai nella post catastrofe, sia possibile tornare indietro.

– Valentina Cirilli

www.labiennale.org/it/teatro/2021

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Valentina Cirilli

Valentina Cirilli

Valentina Cirilli (Ancona, 1989) vive a Milano, è giornalista pubblicista per testate online, studiosa attiva nell’ambito delle arti performative con particolare attenzione alla loro relazione con gli spazi urbani. Dal 2016 cura progetti e bandi di diffusione dello spettacolo dal…

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