Rigoletto. John Turturro alla corte di Verdi

Nel 1831 Victor Hugo, destinato a diventare il padre del Romanticismo francese, scrive un dramma che avrà una sola recita alla Comédie-Française a causa della censura dell’epoca. Le Roi s’amuse narra dei divertimenti di re Francesco I, un padre della patria francese, guerrafondaio e mecenate ambizioso che assoldò Leonardo e portò la Gioconda in Francia (e istituì il francese […]

Nel 1831 Victor Hugo, destinato a diventare il padre del Romanticismo francese, scrive un dramma che avrà una sola recita alla Comédie-Française a causa della censura dell’epoca.
Le Roi s’amuse narra dei divertimenti di re Francesco I, un padre della patria francese, guerrafondaio e mecenate ambizioso che assoldò Leonardo e portò la Gioconda in Francia (e istituì il francese come lingua ufficiale invece del latino). Ma Francesco I è anche un dissoluto, come lo è tutta la nobiltà di allora secondo un trentenne Hugo (considerato già autore d’avanguardia dai coevi) che aveva già scritto il suo Hernani, il dramma della celebre “querelle” tra antichi e moderni. Giuseppe Verdi, che già aveva tratto da lui il suo Ernani, trova in Le Roi s’amuse un soggetto potentissimo adatto al suo spirito romantico e al suo desiderio di sfidare, finiti ormai gli “anni della galera” e raggiunto il successo, le regole in voga nel teatro d’opera più influente in Europa, quello italiano.

Giuseppe Verdi, Rigoletto. Regia di John Turturro. Teatro Regio, Torino 2019. Photo Edoardo Piva © Teatro Regio Torino

Giuseppe Verdi, Rigoletto. Regia di John Turturro. Teatro Regio, Torino 2019. Photo Edoardo Piva © Teatro Regio Torino

UN VERDI DARK PER TURTURRO

La storia che Verdi mette a punto con il suo librettista Francesco Maria Piave è semplice: un nobile prepotente (duca di Mantova) vive da libertino attorniato da cortigiani corrotti, i quali rapiscono la figlia (Gilda) del suo buffone (Rigoletto); il duca la violenta e il buffone, per vendicarne l’onore, assolda un sicario (Sparafucile) che però ucciderà sua figlia, immolatasi al posto del duca.
Si tratta, come fa notare il direttore Renato Palumbo, di un thriller ante litteramIn effetti è una storia moderna, dannata, ricca di suspense e di colpi di scena; è una tragedia pulp, scabrosa, erotica e violenta che trova nella difformità di Rigoletto il suo climax e la sua chiave di lettura. Il duca, volendolo definire con vocaboli attuali, è una predatore sessuale e un sex addicted, mentre la figura angelica di Gilda è così modernamente fatua (e incomprensibilmente ribelle) da rendere il sacrificio un atto non eroico ma quasi insensato, pur nella sua aura romantica.
Ed è in questo tipo di lettura che sembra muovere i suoi primi passi da regista d’opera un personaggio che nel cinema ha tratteggiato alcune delle figure più freak e divertenti recitando per i fratelli Coen o per Spike Lee. John Turturro porta in questo Rigoletto un approccio cinematografico, limando la prosopopea e cercando la naturalezza, pur offrendo una versione dark ambientata in una sorta di distopico Ancien Régime (reso bene dai costumi di Marco Piemontese), che evoca a tratti film di culto come Blade Runner Mad Max.
Riducendo i gesti enfatici in gesti “veri”, lontano dalla convenzione dell’opera che, ad esempio, non chiede mai agli amanti di baciarsi davvero, mentre chiede agli agonizzanti di cantare sul punto di morte. La forza trascinante del teatro d’opera consiste in questa convenzione per la quale tutto quello che nel mondo reale reputiamo incredibile o impossibile, sulla scena teatrale accade come se fosse la cosa più naturale, o sovrannaturale, del mondo e comunque accettabile perché catartica dei nostri sentimenti più violenti, dei nostri interrogativi morali più radicati e dell’incertezza esistenziale prodotta in noi dal senso del fato e del destino. L’opera ottocentesca forgia nuove maschere e tratteggia nuove narrazioni “mitiche” al fine di riattivare la potenza catartica del mito e della tragedia antica.
Ora Turturro, che ha voluto usare un “approccio umile”, incide su questo allestimento proprio grazie alla sua formazione cinematografica: con discrezione impone all’opera tratti di verosimiglianza, d’azione e d’ambiente, che rafforzano il senso del tragico. L’opera inizia con un omaggio a Bernardo Bertolucci, così amato dall’attore e regista di Coffe&Cigarettes. Rigoletto vaga nella nebbia padana con una lanterna in mano, gobbo e claudicante. La scena può riportare fino al cinico Diogene di Sinope, che andava in cerca di un “uomo onesto” nella Grecia del IV secolo a.C.. La stessa nebbia finta non diraderà per tutto lo spettacolo, occupando tutte le scene (disegnate da Francesco Frigeri) e anche gli interni del palazzo del duca. Non limitandosi agli esterni su cui tanto poggia l’azione drammatica (altra innovazione verdiana), la nebbia diventa una metafora onnipresente ma anche uno strumento scenico capace di riverberare le luci acidule e marcescenti (ideate da Alessandro Carletti), che in tal modo si cristallizzano in scena, divengono una presenza fisica e soffocano lo spazio, quello della vita/sogno shakespeariana che così offre alla pièce i toni dell’incubo, della visione notturna e umbratile, spaventosa e fantastica.

Giuseppe Verdi, Rigoletto. Regia di John Turturro. Teatro Regio, Torino 2019. Photo Edoardo Piva © Teatro Regio Torino

Giuseppe Verdi, Rigoletto. Regia di John Turturro. Teatro Regio, Torino 2019. Photo Edoardo Piva © Teatro Regio Torino

LA QUESTIONE ROMANTICA

L’incubo è quello di Rigoletto, maschera di un’umanità “difforme” nell’anima, esempio di miseria e di vendetta, di insensibilità e di tirannia (verso la figlia). Presta servizio come buffone di corte, ruffiano e istigatore dei misfatti del duca, fino ad attirare su di sé la maledizione del vecchio nobile Monterone (Verdi avrebbe voluto intitolare l’opera La maledizione). Rigoletto sente il presagio agitarlo: la fortuna di aver appena ritrovato la figlia, frutto del suo unico amore, si traduce in sventura, dolore, ira, minaccia, disperazione e supplica in Cortigiani, razza dannata, l’aria che tocca una delle punte più alte dell’opera intrecciando sentimenti così contrastanti eppure così autentici, resi ancora più “veri” dalla potente finzione della musica verdiana che muta repentina portando lo spettatore a spasso tra le sue più ataviche emozioni (la violenza kubrickiana).
Che si sia padri oppure no, si avverte nettamente la forza disperante dell’impotenza che rende Rigoletto una maschera della miseria umana, di pari intensità a quello Zanni che nel Mistero Buffo di Dario Fo esemplificava la fame. Tutto ciò, e altro ancora, definisce la questione romantica di un’opera che travalica i propri confini per assumere il ruolo del mito, del racconto fondativo. Con Amleto e Otello, Rigoletto diventa uno dei volti dell’umanità. Quello romantico, ma anche enigmatico e profondo, del reietto che cerca riscatto, del popolano che chiede vendetta del potente usurpatore. Non è un’anima bella ma un’anima che chiede giustizia, piegata al gioco dei potenti e da loro corrotto. Romantico è quando il potere del sentimento travalica la ragione e quest’opera ne è il manifesto, sotteso da un’estetica del brutto, che anche musicalmente allontana Verdi dal belcantismo di Bellini e Donizzetti, e lo avvicina a Wagner. Rigoletto è il maledetto, metafora viva delle forze poderose che si scontrano nell’animo umano. A Torino canta con la voce possente e convincente di una star come il baritono Carlos Álvarez, che strappa applausi meritati, così come ne ottiene la Gilda della soprano spagnola Ruth Iniesta (proviene dal mondo del musical e mette a profitto la recitazione), mentre il duca di Mantova del pur giovane e premiato tenore Stefan Pop non sembra superare appieno la prova dell’aria La donna è mobile, quasi un leitmotiv e anch’essa parte di un mito condiviso (suggellato dalla citazione nel cult movie Amici miei) che, con la non nuova tendenza a coinvolgere artisti e registi estranei al mondo dell’opera, sembra dischiudere un’era ricca di future soluzioni interpretative e di riattivazioni molto utili per pubblici nuovi e non tradizionalisti.

Nicola Davide Angerame

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Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame è filosofo, giornalista, curatore d'arte, critico della contemporaneità e organizzatore culturale. Dopo la Laurea in Filosofia Teoretica all'Università di Torino, sotto la guida di Gianni Vattimo con una tesi sul pensiero di Jean-Luc Nancy, inizia la collaborazione…

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