Il mago del Cremlino: il film di Olivier Assayas è un’allegoria del potere che divora se stesso
Una pellicola eminentemente politica e anti-putiniana quella in concorso a Venezia con Jude Law tra i protagonisti

È straniante vedere un film sui pesi massimi della Russia neo-zarista interpretati da attori famosi di Hollywood che parlano un perfetto inglese. È come mangiare una pizza con l’ananas; entrambe le cose le fanno gli americani, di solito. Questa volta è invece Olivier Assayas che affronta un nodo del nostro tempo con una “ricostruzione” che epidermicamente non funziona, ma che, avendo per base il bestseller internazionale del docente di politologia Giuliano da Empoli, riesce a narrare la logica e la pratica del sistema putiniano usando le “confessioni” di una delle voci più autorevoli, quel mago della comunicazione e della strategia politica che risponde al nome Vadim Baranov, alter ego letterario di Vladislav Surkov, interpretato da Paul Dano.
La trama de “Il mago del Cremlino”
Il mago del Cremlino è un film eminentemente politico e anti-putiniano, ed è in concorso a Venezia82. Racconta la genealogia di un “imperatore del male”, un uomo che è stato l’esatto contrario dei segretari e presidenti del passato sovietico e che ha usato le armi di distrazione di massa alternandole efficacemente con la forza più brutale e gli assassini politici. Il tutto giustificato da una ragion di stato che Putin (interpretato da un Jude Law molto convincente) esprime in un film che non rivela molto, ma sa riassumere questi decenni di rapporti tra la Confederazione Russa e quella nostra Europa che ha “sognato”, in alcuni momenti del suo passato politico, di poterla includere nella propria Unione.
Il film è costruito per capitoli: le bombe degli ultimi mesi di Eltsin, il passaggio di consegne del potere al direttore dell’ex KGB e burocrate senza carisma, la trasformazione o meglio la realizzazione di Putin da uomo dei servizi a nuovo zar, la guerra cecena, l’affondamento del Kursk, la rivoluzione arancione in Ucraina e l’invasione dei social media delle democrazie occidentali. Assayas segue i racconti di Baranov e la sua figura in ascesa fino all’infausto esito, narra la forma che assume il potere russo, quando gli amici più antichi di Putin vengono da lui resi oligarchi onnipotenti. Tra loro anche il tragicamente famoso Evgenij Prigožin, conosciuto come il “cuoco di Putin”.
Il potere, tema centrale del film “Il mago del Cremlino”
Pur essendo un film costruito sui fatti, ed interpolato con brevi inquadrature tratte dei mass media del momento, Assayas scava nella struttura teatrale che ogni regime autoritario costruisce per sopravvivere a se stesso. Da sempre regista delle dislocazioni e delle zone di transito, l’ex critico dei Cahiers du Cinema, trova qui una materia che sembra fatta apposta per il suo sguardo: l’illusione del potere come performance permanente, come recita collettiva che ingloba governanti e governati. La Russia di Putin è filmata come un palcoscenico oscuro, in cui la logica del reality show diventa grammatica della politica e il kitsch il suo linguaggio più suadente. Ogni mezzo è usato per sopravvivere, per chi come lui soffre di una paranoia tipica di chi ha fatto controspionaggio e di chi ha visto implodere il proprio mondo, quell’impero sovietico che sta ora cercando di difendere, se non addirittura di restaurare.
“Il mago del Cremlino” e l’analisi della propaganda
Con Putin, e il suo spin-doctor ed ex regista teatrale Baronov, la propaganda tradizionale sovietica lascia spazio a un dispositivo multifocale e multimediale che trasforma la realtà in un flusso narrativo continuo, in cui la post-verità pare l’unica verità di stato. Baronov incarna questa mutazione: sa di avere “creato” un sistema mostruoso ma non può smettere. Vive nella contraddizione di chi conosce il carattere illusorio della macchina, ma ne è al tempo stesso il servitore più fedele.
Il suo fascino è la sua dannazione: Assayas lo mostra come un artista mancato, un manipolatore di simboli che ha trovato nel potere politico la scena più grande, quella che consuma definitivamente il senso dell’arte. Qui sta la vera intuizione politica del film: il potere contemporaneo non si regge più sulla forza bruta né sulla disciplina ideologica, ma sull’intrattenimento.
Nicola Davide Angerame
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