Werner Herzog, il buon soldato del cinema. Conoscere il Leone d’Oro alla Carriera a Venezia

Per l’82esima Mostra del Cinema di Venezia il premio alla Carriera va all’ultimo visionario romantico tedesco. Tra i ricordi di “Aguirre” e “Fitzcarraldo”, le avventure nello spazio sognato e i sogni trasformati in immagini, Herzog continua a lavorare come se fosse sempre l’inizio

Werner Herzog riceve oggi il Leone d’Oro alla carriera all’82esima Mostra del Cinema di Venezia. È Francis Ford Coppola a consegnargli il premio, dopo la laudatio. Un incontro di giganti, due autori che hanno sfidato la natura, la storia e l’industria per fare del cinema un’avventura vitale e pericolosa. Herzog, classe 1942, ricorda spesso che fino a undici anni non aveva mai visto un film. È nato in una valle bavarese isolata, dove imparare a camminare significava anche imparare a perdersi. “Sono onorato di ricevere questo premio ma non sono ancora finito. Continuo a lavorare come sempre. Qui presento Ghost Elephants, ma sto girando un film in Irlanda, presto realizzerò un film d’animazione dal mio romanzo The Twilight World, e sarò una voce nel prossimo film di Bong Joon-ho”, ha detto. Si tratta di iperlavoro per una persona che, come lui, conta 81 primavere ed è apparso ne I Simpson, cosa che certifica la fama, realizzando anche l’installazione Hearsay of the Soul per la Biennale del Whitney Museum e fondando la Rogue Film School come alternativa alle classiche scuole di cinema.

Werner Herzog. La poesia come resistenza

“Voglio andare nello spazio e da lì spedire poesie alla Terra” ha dichiarato in un’intervista recente. È un’immagine che definisce bene la sua opera: un cinema che non è mai pura testimonianza, ma sforzo di elevazione, come se l’obiettivo fosse sempre al di sopra della linea dell’orizzonte. Herzog, che  mitologicamente ha trascinato un piroscafo sulla montagna amazzonica in Fitzcarraldo (1982), continua a incarnare l’idea del regista come esploratore fisico e mentale. “Sono stato un buon soldato del cinema” annota, e in quell’aggettivo c’è tutto il suo umanesimo visionario: non il guerriero che conquista, ma il viandante che resiste. Il direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia Alberto Barbera lo ha definito “erede del romanticismo tedesco”, capace di trasformare ogni opera in un “paesaggio dell’anima”. L’etichetta calza, ma non esaurisce l’enigma Herzog. I suoi film, da Aguirre furore di Dio (1972), che ha ispirato Coppola per Apocalypse Now del 1979, a Grizzly Man (2005), da Nosferatu (1979) a Cave of Forgotten Dreams (2010), sono storie di follia e di fede, di uomini che inseguono miraggi e di animali che guardano l’uomo con gli occhi del Dio-macchina-da-presa. Nel modo di fare cinema dell’autore di Paese del silenzio e dell’oscurità (del 1971 e uno dei suoi film preferiti) non c’è distinzione netta tra documentario e finzione: entrambe sono menzogne che si fanno verità, perché come sostiene Herzog “i fatti non sono sempre la verità”.

La catastrofe come musa per Werner Herzog

“Un coinvolgimento totale, fino al limite del rischio fisico” ha scritto Barbera nella motivazione del premio. Non è un’esagerazione, Herzog ha filmato vulcani attivi, ghiacciai, deserti, pozzi petroliferi in fiamme, corpi al limite, grotte preistoriche e abissi, affrontando la catastrofe come musa e la possibilità continua della rovina intesa nel senso più radicale. Ma è proprio lì, sul ciglio dell’abisso, che nasce la bellezza. Non c’è compiacimento estetico nei suoi film, c’è l’ostinazione a mostrare il mondo come forza indomabile, contro cui l’uomo misura la propria illusione. I suoi protagonisti, come il conquistador Aguirre, il visionario Fitzcarraldo e i suoi cercatori di sogni e di ombre, sono figure che si spingono oltre il consentito. E lì trovano la loro dannazione. Herzog li osserva con un misto di pietà e di severità, come se sapesse che in quella caduta si nasconde una rivelazione. In questo senso il suo cinema non è mai consolatorio, mostra la bellezza come ciò che ci sfugge e la natura come ciò che ci giudica. C’è sempre un senso di inadeguatezza umana nei suoi protagonisti, figure che tentano l’impossibile e finiscono divorate dalla grandezza del loro sogno. Eppure, accanto al tragico, resta la poesia. Herzog è autore di libri e di versi, e i suoi documentari spesso si aprono con frasi che sembrano sentenze filosofiche. Nel film 3D sul paleolitico Cave of Forgotten Dreams, affermava che quelle pitture rupestri erano già cinema, un modo di rendere il movimento, di trattenere il tempo. È questo sguardo arcaico e avveniristico insieme che rende il suo cinema unico: come se non appartenesse a un’epoca, ma a tutte.

Herzog, un Leone che guarda avanti

La carriera di Herzog viene celebrata a Venezia, ma lui non smetterà di muoversi. Dopo il Leone a Coppola nel 1992, la Mostra torna a premiare un autore che ha fatto del rischio il suo lessico, portandoci lì dove nessun uomo era arrivato prima, forse. Il suo collega Coppola sarà anche lui al Lido con Megalopolis e con il documentario che ne racconta la gestazione, il film Megadoc firmato da Mike Figgis. Due destini che si intrecciano: quello del regista americano che ha riscritto l’epica del Novecento, e quello del tedesco che ha trasformato il cinema in un gesto nobile: quello di un uomo venuto dalla natura e pronto a tornarci a ogni costo pur di trovarsi vis-à-vis con quel atavico e mistico volto violento e selvaggio. “Il mondo è straordinario ma bisogna saperlo vedere”, ha detto Herzog. Forse è questo il vero senso di questo Leone. Non un tributo alla nostalgia, ma l’indicazione di una via. Guardare, ancora. Camminare, sempre. E se sarà possibile, un giorno, spedire poesie dallo spazio; Herzog sarebbe certamente il primo a farlo se la missione giapponese a cui aveva fatto richiesta lo avesse accettato. Ma per fortuna sua, e nostra, c’è il cinema, che per lui è ancora e sempre l’arte del partire.

Nicola Davide Angerame

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Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame è filosofo, giornalista, curatore d'arte, critico della contemporaneità e organizzatore culturale. Dopo la Laurea in Filosofia Teoretica all'Università di Torino, sotto la guida di Gianni Vattimo con una tesi sul pensiero di Jean-Luc Nancy, inizia la collaborazione…

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