Verso l’infinito e oltre: 30 anni di Toy Story

Come il primo lungometraggio della Pixar ha rivoluzionato l’animazione e segnato l’immaginario collettivo di più di una generazione? La storia

Nel novembre 1995, nei cinema americani appariva un piccolo miracolo digitale: una storia di giocattoli, amicizia e identità, costruita interamente in computer grafica. Toy Story – Il mondo dei giocattoli – primo capitolo di una saga ancora in essere e basato su un’idea originale di Lasseter, Pete Docter, Andrew Stanton e Joe Ranft, scritto dallo stesso Stanton con Joss Whedon, Joel Coen e Alec Sokolow – non fu solo il primo lungometraggio animato in CGI, ma la pietra miliare di una rivoluzione visiva, emotiva e culturale. A trent’anni di distanza, è impossibile considerarlo soltanto un film d’animazione: è un momento fondativo, il punto esatto in cui il cinema ha cominciato a parlare anche un’altra lingua.

Toy Story: i grandi temi dell’infanzia attraverso i giocattoli

Dietro le texture plastiche e le luci iperrealistiche, Toy Story – Il mondo dei giocattoli metteva in scena qualcosa di più profondo: il trauma del passaggio, l’ansia dell’obsolescenza, la paura di essere sostituiti. Lo sceriffo Woody e Buzz Lightyear non erano solo due archetipi (il cowboy del passato e l’astronauta del futuro), ma due poli narrativi in tensione, incarnazioni di una transizione culturale. La Pixar raccontava l’infanzia, ma parlava agli adulti – e in fondo lo ha sempre fatto. Nel mondo dei giocattoli, la gerarchia è fragile quanto l’affetto di un bambino. Il conflitto non è tra bene e male, ma tra chi eravamo e chi stiamo diventando. Ed è proprio in questa sottigliezza psicologica che il film ha aperto una via nuova: non più l’animazione come evasione, ma come specchio.

Toy Story © 1995 - Walt Disney Studios. All rights reserved
Toy Story © 1995 – Walt Disney Studios. All rights reserved

Toy Story, un film pionieristico della tecnica d’animazione

Dal punto di vista tecnico, il film è un laboratorio pionieristico: ogni frame è frutto di ricerca e rischio. Nessuno prima di allora aveva osato costruire un mondo narrativo interamente tridimensionale, fatto di algoritmi e simulazioni di luce. Ma la tecnica, da sola, non sarebbe bastata. A fare la differenza è stata la scrittura: asciutta, intelligente, capace di coniugare ritmo e riflessione. In un’epoca in cui l’animazione era sinonimo di musical e principesse, Toy Story – Il mondo dei giocattoli proponeva una commedia filosofica su ciò che ci rende unici – e su cosa succede quando nessuno ci guarda più.

Toy Story © 1995 - Walt Disney Studios. All rights reserved
Toy Story © 1995 – Walt Disney Studios. All rights reserved

Con Toy Story l’animazione ha un nuovo assetto, e aspetto

Il suo lascito è ovunque. Nella grammatica dell’animazione contemporanea, che oggi non può prescindere dalla CGI. Nella serialità cinematografica, che da lì in poi imparerà a crescere con il pubblico (come farà la stessa saga di Toy Story, con esiti via via più malinconici e maturi). E nel nostro sguardo: ogni volta che osserviamo un oggetto e gli attribuiamo una storia, stiamo ancora tornando in quella stanza di Andy, dove tutto – anche un giocattolo – può avere un’anima. Forse è questo, in fondo, l’effetto più radicale di Toy Story – Il mondo dei giocattoli: aver reso l’invisibile visibile. Aver dato voce a chi, nella narrazione classica, non l’aveva mai avuta. Perché crescere non significa dimenticare, ma trovare nuovi modi di ricordare. E ogni tanto, sì, tornare a giocare. 

Verso il prossimo capitolo della saga di Toy Story

Ma la saga di Toy Story non finisce qui. È infatti atteso il numero 5 – nei cinema dal 19 giugno 2026 – e dal palco del Festival di Annecy, lo scorso giugno, il regista tre volte Premio Oscar e direttore creativo della Pixar, Pete Docter, ha dichiarato che il nuovo film è “il giocattolo che incontra la tecnologia“. E delineando la trama ha raccontato come i giocattoli dei film originali si troveranno ad affrontare una nuova sfida: l’arrivo del giocattolo preferito di Bonnie Anderson, la loro giovane proprietaria di otto anni, un tablet hi-tech chiamato Lillypad. Woody, Buzz e il resto del gruppo dovranno così confrontarsi con una nuova generazione di bambini sempre più attratti dagli schermi digitali, piuttosto che dai giocattoli tradizionali.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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