Tutte le volte che il cinema di Luca Guadagnino si è ispirato all’arte 

Intrecciando arte, moda e architettura, Luca Guadagnino trasforma ogni scena in una tela. Attraversiamo i riferimenti artistici del regista italiano, a partire dal suo ultimo film: Queer 

Il cinema di Luca Guadagnino è da sempre attraversato da un’estetica che sfiora l’arte, evocando pittura, architettura e moda con uno sguardo d’autore che si nutre di riferimenti colti e trasversali. Nei suoi film lo spazio non è mai semplice sfondo; la luce non solo atmosfera, ma sentimento. Guadagnino mette in scena non tanto il reale, quanto una realtà trasfigurata dall’arte. Un cinema da contemplare, come si contempla un dipinto. 

Luca Guadagnino, Queer (2024). © MUBI
Luca Guadagnino, Queer (2024). © MUBI

Queer (2024) – Il silenzio delle immagini 

In Queer la solitudine si trasforma in un fatto visivo. Il Messico degli anni Cinquanta in cui si muove il protagonista non è realistico, ma costruito come un quadro iperrealista, saturo di colore, geometrie nette, luci che evocano l’universo pittorico di Edward Hopper. Un richiamo mai dichiarato, ma evidente nello sguardo di chi guarda: nei volti immobili, negli interni rarefatti, nelle attese senza sbocco. Ogni tavola apparecchiata, ogni muro screpolato, ogni sigaretta accesa, ha la densità di una composizione pittorica. La fotografia di Sayombhu Mukdeeprom trasforma ogni scena in un quadro in movimento, usando luci e colori per raccontare malinconia e disillusione. La colonna sonora, anacronistica e moderna, sospende il tempo e aggiunge un altro livello di lettura: quello della distanza emotiva. 

Luca Guadagnino, The Staggering Girl (2019)
Luca Guadagnino, The Staggering Girl (2019)

The Staggering Girl (2019) – Abiti che raccontano storie 

Con The Staggering Girl, Luca Guadagnino fonde fashion film, installazione e sogno visivo. Nato dalla collaborazione con Pierpaolo Piccioli, ex direttore creativo di Valentino, il cortometraggio è un esercizio di stile simbolista: abiti come sculture, scene come quadri che ricordano i paesaggi evocativi di Arnold Böcklin e le figure femminili dall’eleganza senza tempo di John Singer Sargent. La fotografia, sempre di Sayombhu Mukdeeprom, trasforma ogni immagine in pittura vivente, dove la moda si fa narrazione e il cinema si riduce a forma, gesto, memoria. Più flusso di coscienza che racconto, il film segue Francesca (Julianne Moore), scrittrice italo-americana che torna a Roma per assistere la madre, pittrice di opere astratte. Il viaggio è soprattutto interiore: le tele astratte dipinte dalla madre, inserite dentro l’opera stessa, riflettono e amplificano i temi del film. The Staggering Girl si rivela infatti come una sorta di opera d’arte totale: un film che racchiude altre forme artistiche al suo interno, in un gioco di riflessi e stratificazioni. Un’opera che contiene altre opere, in cui ogni elemento concorre ad un’unica, complessa visione poetica. 

Luca Guadagnino, Suspiria (2018). The dance academy
Luca Guadagnino, Suspiria (2018). The dance academy

Suspiria (2018) – Bauhaus e incubi modernisti 

La versione di Suspiria firmata da Guadagnino è un esercizio di architettura filmica. Dimenticate i colori saturi e le decorazioni gotiche di Dario Argento: qui domina il rigore modernista di Loos, Hoffmann e Le Corbusier. L’Accademia di danza, ambientata nel Grand Hotel Campo dei Fiori di Varese, è un edificio sospeso nel tempo, plasmato come una scultura abitabile. Le scenografie di Inbal Weinberg riscrivono l’orrore come esperienza visiva e sensoriale, con richiami al Bauhaus e all’Art Deco. Anche la scelta dei materiali e delle luci (come i lampadari Lobmeyr) costruisce un universo visivo stratificato, dove architettura e inconscio convivono. È una visione più razionale dell’orrore, in cui il femminile si esprime anche attraverso l’arredo – dai tappeti firmati Manufacture Cogolin – all’equilibrio geometrico degli spazi. 

Luca Guadagnino, A Bigger Splash (2015)
Luca Guadagnino, A Bigger Splash (2015)

A Bigger Splash (2015) – Hockney e Guadagnino: la tela e la piscina 

Con un titolo preso in prestito da David Hockney, A Bigger Splash, libero remake de La piscine di Jacques Deray, con Alain Delon e Romy Schneider, rappresenta un’ode visiva alle superfici: quella dell’acqua, quella dei corpi, quella della pittura. Trasportando l’immaginario californiano in una Sicilia arsa e silenziosa, Guadagnino traduce la tela in celluloide. La piscina non è solo ambientazione ma stato mentale, specchio delle tensioni tra i personaggi. L’omaggio all’arte pop si insinua nelle composizioni visive, nelle palette, nelle trasparenze. Come sulla tela, tutto è visibile ma nulla è detto esplicitamente: il desiderio rimane sulla superficie dell’acqua. 
 
Gaia Rotili 
 
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