La storia dell’attivista e attrice Joséphine Baker a 50 anni dalla morte
A mezzo secolo dalla scomparsa, un ricordo di Joséphine Baker, artista, attivista peri diritti civili e membro della Resistenza francese.
Hemingway la descrisse come “la donna più bella che un essere umano possa avere mai visto”; Joséphine Baker (Saint Louis, 1906 – Parigi, 1975) usò la sua arte per lottare contro il razzismo, e contribuì anche alla resistenza contro il nazismo. A mezzo secolo dalla scomparsa, un ricordo di una donna straordinaria, che fu molto di più di una ballerina, attrice e cantante.
Chi era Joséphine Baker
Joséphine Baker (Freda Josephine McDonald) nacque negli Stati Uniti a St. Louis, nel quartiere di Chestnut Valley, uno dei più poveri della città; in più si trovava nello Stato del Missouri, a sud della linea Mason-Dixon, non il luogo ideale per discendenti degli ex schiavi africani, vittime del radicato razzismo della popolazione bianca; nel 1917 assisté spaventata a una “spedizione” contro il quartiere nero in cui 39 afroamericani furono linciati. Per sostenere la famiglia, che versava in condizioni di semipovertà, ad appena otto anni iniziò a lavorare dopo la scuola come domestica presso ricche famiglie bianche, e quattro anni più tardi lasciò definitivamente gli studi. Dopo umili impieghi saltuari, un matrimonio precoce fallito e varie altre peripezie, ad appena sedici anni, Joséphine aveva un’esperienza di donna matura, si unì a un gruppo di artisti di strada chiamato Jones Family Band con cui si esibì come ballerina di varietà allo Standard Theatre di Philadelphia per esibirsi; in quel corpo ancora adolescente, la bellezza e la formosità erano due caratteristiche già evidenti che non passavano inosservate, insieme a una decisa sensualità. Decise quindi di trasferirsi a New York, dove lavorò come sarta a Broadway, ma fu presto notata da una compagnia di vaudeville, con cui dal 1922 al 1924 fu ballerina di fila nella commedia musicale Shuffle Along e poi, nel 1924, nella rivista nera The Chocolate Dandies. La Grande Depressione era ancora lontana, il sogno americano sfolgorava e i teatri di varietà facevano affari d’oro; inoltre, sulla costa occidentale Joséphine trovo l’ambiente ideale, perché lì le tensioni razziali erano attenuate, e a New York stava nascendo un contesto culturale cosmopolita, che ebbe nel poeta e drammaturgo tedesco Karl Gustav Vollmoeller una delle prime figure di riferimento; intellettuale e avventuriero insieme, credeva nella cultura come strumento di dialogo – in un’epoca in cui l’Europa si abbandonava ai nazionalismi e ai totalitarismi -, e favorì la mobilità degli artisti fra le due sponde dell’Atlantico. Ammirata Joséphine al Plantation Club, le procurò diversi ingaggi a Berlino (ancora socialdemocratica) e Parigi, dove i neri erano cittadini del mondo.
Joséphine Baker: la conquista di Parigi
Dal 4 maggio al 27 luglio 1924, la capitale francese ospitò le Olimpiadi, e per Joséphine, che vi si trovava per un temporaneo ingaggio procuratole da Vollmoeller, fu l’occasione per incrociare un’altra leggenda nera: quel José Leandro Andrade, centrocampista offensivo del Nacional e della nazionale uruguayana, dotato di tecnica straordinaria, che contribuì notevolmente alla vittoria dell’albiceleste. Ma Andrade, genio in campo e sregolato nella vita, passava le notti nei locali parigini, e appunto incontrò la Baker con la quale visse una fugace liaison. E quell’incontro, sul “campo neutro” di Parigi, fra due discendenti di ex schiavi africani, che avevano raggiunta la ricchezza e la notorietà, fu una sorta di schiaffo morale al razzismo e al puritanesimo.
Dopo quell’esperienza, Baker tornò a Parigi nell’ottobre del 1925 per uno spettacolo al Théâtre des Champs-Elysées con La Revue Nègre, dove si esibì in danze esotiche nelle quali indossava soltanto una succinta gonna di piume. Dopo, Baker si trasferì alle Folies-Bergère e ne divenne una delle star più famose, e nello spettacolo Un Vent de Folie il suo gonnellino di sedici banane prima allibì e poi conquistò il pubblico; fu una nuova iniezione di energia e sensualità nella già dinamica vita notturna parigina, animata dalla presenza degli intellettuali statunitensi della Lost Generation, anche se l’intellettuale nera Paulette Nardal la accusò di rafforzare i cliché razziali essenzializzando la donna nera. Ma l’impresario italiano Giuseppe Abatino, con cui ebbe una lunga relazione dal 1926 al 1936, nel 1928 le organizzò una tournée mondiale che toccò vari Paesi, fra cui fra Austria, Ungheria, Jugoslavia, Romania, Argentina, Cile, Uruguay e Brasile; l’astro di Joséphine era sempre più in ascesa.

Joséphine Baker: la musica e il cinema
Baker impiegò il suo “esotismo nero” e la sua indubbia sensualità anche nella musica e nel cinema; fu infatti un’eccellente cantante, con punte di qualità di tutto rispetto, come testimoniano le registrazioni di J’ai deux amours (1930), Ram-Pam-Pam (1932), Haiti (1934), Pardon si je t’importune (1932), Sur deux notes (1938); una voce sensuale e calda come il sole dei Tropici, nella quale emergevano di quando in quando punte di malinconia. Fu anche la protagonista di gradevoli commedie drammatico-sentimental-musicali, legate al mondo del teatro di varietà, e nel 1927 era stata la prima donna di colore a recitare in una grande produzione europea con La Sirène des tropiques di Henri Étiévant e Mario Nalpas.
Nonostante la fama artistica raggiunta a Parigi, quando tornò negli Stati Uniti nel 1936 per una tournée come star delle Ziegfield Follies, si scontrò ancora con il razzismo e la mentalità puritana del suo Paese d’origine, che rifiutava l’idea di una donna nera sofisticata e potente; persino il New York Times stigmatizzò la sua meravigliosa pelle nera. Ma purtroppo, anche sull’altra sponda dell’Atlantico, l’ombra dei totalitarismi stava creando un clima di sempre più profonda intolleranza, che colpì anche la Baker, in tournée in Europa nel 1938, perché in Germania il governo nazista le impedì di esibirsi a Berlino e ne decretò l’espulsione, anche sulla scia di un opuscolo del ministro della propaganda Joseph Goebbels che la bollava come esempio della “degenerazione” dell’arte.
Joséphine Baker e la resistenza
Cittadina francese dal 1937, dopo il terzo matrimonio, nel corso della Seconda guerra mondiale, Baker volle ricambiare l’accoglienza ricevuta dalla Francia ed accolse la richiesta del colonnello Jacques Abtey di entrare nel controspionaggio della Francia Libera; nella sua veste di celebrità, partecipava a feste e cerimonie diplomatiche, comprese quelle all’ambasciata italiana, che la portarono nell’orbita di alti burocrati dell’Asse, e poteva così raccogliere informazioni sui movimenti delle truppe tedesche, informazioni che riportava su piccoli fogli di carta che poi celava sotto la biancheria intima, sapendo che non avrebbe mai dovuto affrontare una perquisizione corporale. Inoltre, ospitava i combattenti della resistenza nel suo castello, loChâteau des Milandes(che acquisterà dopo la guerra), e forniva loro documenti falsi. In seguito a una perquisizione nella sua residenza, capì che era più saggio lasciare la Francia, e si trasferì a Londra, portando con sé oltre 50 documenti classificati e informazioni segrete sui movimenti delle truppe tedesche, nascondendo i messaggi codificati sui suoi spartiti musicali con inchiostro simpatico. Tutte queste informazioni contribuirono a respingere la Wehrmacht verso la Germania, e nel 1946 le fu assegnata la medaglia della Resistenza francese, mentre nel 1961 Charles De Gaulle le conferì la Legion d’Onore.
Joséphine Baker: la lotta per i diritti civili
Nel dopoguerra si batté contro il segregazionismo negli Stati Uniti, rifiutando di esibirsi per pubblico di soli bianchi, boicottando teatri e diventando una delle prime artiste ad esibirsi per un pubblico misto; sostenne l’azione di un giovane Martin Luther King, anche partecipando alla sua marcia su Washington del 28 agosto 1963, dopo la quale pronunciò un discorso chiedendo il riconoscimento dei diritti dei neri. Ma la manutenzione dello Château des Milandes le assorbiva ingenti somme, e il tempo che dedicava volontariamente alla difesa dei diritti civili le sottraeva quello necessario alle esibizioni artistiche, per cui rischiò la bancarotta; nel 1969 Grace Kelly le offrì assistenza finanziaria, la possibilità di esibirsi per la Croce Rossa nel Principato di Monaco e una residenza al mare a Roquebrune, sulla Costa Azzurra. Baker riprese a esibirsi sui palchi di tutta Europa e trovò il tempo epr un quinto matrimonio. Scomparve a Parigi il 12 aprile 1975, per emorragia cerebrale, tre giorni dopo quella che fu la sua ultima esibizione (la quattordicesima replica della retrospettiva Joséphine à Bobino) alla quale avevano assistito anche Mick Jagger, Sophia Loren e Liza Minnelli. Fu sepolta a Monaco, con la sua uniforme dell’aeronautica militare francese e le decorazioni al merito ottenute.
Oltre all’eredità artistica e civile, di lei rimane qualcos’altro: memore della sua infanzia difficile e dolorosa, e del razzismo subito a Saint Louis e altrove, ma anche grata per il successo e la ricchezza che la sorte le aveva poi riservati, insieme al quarto marito, il compositore, direttore d’orchestra e violinista francese Joseph Jean Étienne Bouillon, nel 1947 Baker adottò ben 12 bambini di nazionalità, culture e religioni diverse, la sua “Tribù Arcobaleno”, per provare che la convivenza fosse una cosa possibile, e per regalare loro un’infanzia migliore della sua. Più in alto della memoria delle sue esibizioni in teatro, e persino del contributo alla resistenza francese, è questa la sua eredità più importante, una lezione di civiltà e di uguaglianza, che si affianca alla lotta per i diritti civili. Anche solo per questo, la sua vita è stata ben spesa.
Niccolò Lucarelli
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