Raccontare un popolo. Julien Bismuth a Roma

Nomas Foundation, Roma ‒ fino al 28 febbraio 2020. Julien Bismuth per la prima volta in Italia: un viaggio nella cultura di un piccolo popolo che, stanziato sulle rive del fiume Maici nella foresta amazzonica brasiliana, vicino a Rio de Janeiro, ha mantenuto le sue radici intatte, nonostante non rinneghi i contatti con gli stranieri.

Il sapore antropologico della scoperta di tradizioni e costumi, la silenziosa e sbalorditiva meraviglia che fa palpitare il cuore mentre ci avviciniamo, ospiti taciturni ma dalle mille domande, accucciati in un angolino della stanza buia davanti allo schermo. Il popolo Hiaitsiihi, termine che significa corpo (ibiisi) che vive in un cosmo stratificato, mantiene una quotidianità rarefatta, di usanze centellinate e preziose.
L’artista Julien Bismuth (Parigi, 1973) trascorre due soggiorni presso il popolo Hiaitsiihi grazie al supporto dell’antropologo Marco Antonio Gonçalves. Così l’arte si fa paladina ancora una volta della conoscenza, elimina le barriere, fa sì che il nostro sguardo non si intorpidisca, annidandosi in una realtà addomesticata che padroneggiamo, ma ampliandone gli orizzonti.
Le riprese non sono state modificate in post produzione e il tempo sembra scorrere con un ritmo di alternanza naturale che segue le trasformazioni diurne e notturne. Un video di circa mezz’ora: scorrono come sottotitoli i frammenti dell’intervista di Gonçalves, molte scene si svolgono nel buio intorno a un focolare, nell’inquadratura sono incluse persino delle mani, le stesse che, curiose, si sono impadronite per alcuni frangenti della telecamera continuando a riprendere la scena. Il secondo video ha un fascino magnetico, tenendo incollati alle immagini fulgide di vita.

Julien Bismuth, Hiaitsiihi, 2016-19, production still. Courtesy l'artista & Galerie Emanuel Layr, Vienna Roma

Julien Bismuth, Hiaitsiihi, 2016-19, production still. Courtesy l’artista & Galerie Emanuel Layr, Vienna Roma

LA STORIA DEI PIRAHÃ

I Pirahã, nome con cui viene definita questa comunità dagli autoctoni, si distribuiscono sulla spiaggia, organizzati in “monadi” uomo-donna, in un rapporto diretto che scioglie la complessità di ogni sovrastruttura, diradando l’interesse a ricostruire una rete parenterale. Ogni coppia possiede una stuoia intrecciata, dei pali di legno con un lenzuolo appeso e una foglia di palma coperta dalla sabbia, l’indispensabile per sopravvivere ed essere pronti a spostarsi. Una società seminomade, che tende a dormire in molteplici spiagge nell’arco della bella stagione. Questa scelta rientra nell’approccio minimale all’esistenza, i Pirahã vedono se stessi come “a malapena corpi”, non legati alla bramosia materialista: i pochi scambi commerciali con l’esterno constano del baratto di prodotti alimentari: noci e açaí per caffè, soda, zucchero e biscotti, questi beni vengono tuttavia consumati immediatamente in 6-7 ore, in un rituale volto a liberarsi del contatto con altri stili di vita. Il rito si rivela la pratica essenziale a questa comunità che, pur non avendo un’intricata mitologia, si poggia su credenze fondamentali. Innanzitutto l’esistenza di un ordine formato da cinque livelli cosmici: se nel nostro i Pirahã sono corpi perfetti ma mortali, nel mondo degli spiriti saranno presenti “abaixi”, corpi imperfetti ma immortali, una sorta di avatar degli “ibiixi”.

Marco Antonio Gonçalves, Untitled (Hiaitsiihi), 2016-19

Marco Antonio Gonçalves, Untitled (Hiaitsiihi), 2016-19

LA CENTRALITÀ DELLA COPPIA

Senza un’organizzazione politica e alcuna differenza a livello gerarchico-sociale e di prestigio economico, questo popolo pacifico si fonda sul binomio della coppia, la cui intimità è preziosa: i due partner usano allontanarsi da sguardi indiscreti, prendono una canoa per rifugiarsi nel calore dell’amplesso. Non credono inoltre nella correlazione tra rapporto sessuale e concepimento, che scaturisce da un momento in cui la donna prova paura a causa di un evento naturale: l’aver toccato inavvertitamente un pesce grigliato ancora bollente comporta ustione e spavento, “un atto predatorio” che diventerà, una volta che la donna si scoprirà incinta, l’innesco e la giustificazione della nuova nascita. Il figlio riceverà infatti un nome che ricorderà tale evento, una composizione di parole adeguata a scolpire nella memoria la scintilla vitale. L’atto sessuale farà sì che si crei il corpo nell’utero, il mestruo formerà la carne, lo sperma le ossa. I bambini maneggiano con disinvoltura coltelli con i quali realizzano utensili, ornamenti e giocattoli con pezzi di legno e materiali rinvenuti tra le dune.
Le caratteristiche che più rimangono impresse, oltre ai vestiti all’occidentale (semplice attributo estetico ma comunque significativo), sono la calma contagiosa, la capacità di ascolto reciproco e la forza della loro comunicazione verbale ed espressiva: le frasi sono intonate, cantate come brevi melodie; il sorriso e la pacatezza, la bonarietà sono tratti indicativi di una modalità diversa di leggere ciò che ci circonda e ciò che accade, plasmando gesti e comportamenti in risposta. In un mondo che continua la sua corsa frenetica, si trasforma rovinosamente fuori controllo, gli Hiaitsiihi rimangono gli stessi, di generazione in generazione, con le loro usanze e la loro routine segreta.

Giorgia Basili

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Giorgia Basili

Giorgia Basili

Giorgia Basili (Roma, 1992) è laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi sulla Satira della Pittura di Salvator Rosa, che si snoda su un triplice interesse: letterario, artistico e iconologico. Si è spe-cializzata in Storia dell'Arte alla Sapienza…

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