Alighiero Boetti – Mappe

Informazioni Evento

Luogo
PALAZZO VECCHIO
Piazza Della Signoria , Firenze, Italia
Date
Dal al
Vernissage
04/11/2015

ore 19.30 su invito

Patrocini

Progetto scientifico e mostra a cura di /
Scientific project and exhibition curated by
Sergio Risaliti
Promosso da / Promoted by
Comune di Firenze
In collaborazione con / In collaboration with
Fondazione Alighiero e Boetti
Archivio Alighiero Boetti
Tornabuoni Arte
Main sponsor
Leo France
MAG JLT
Organizzazione mostra /
Exhibition organisation
Direzione Musei Civici ed Eventi
Allestimenti / Staging supervision
Enic
Eventi Allestimenti
Movimentazione opere / Art handling
Arteria
Assicurazione opere / Art work insurance
MAG JLT
Ufficio stampa / Press office
Ufficio Comunicazione Comune di Firenze
Catalogo / Catalogue
Forma Edizioni
Un ringraziamento particolare a / Our special
thanks to
Dario Nardella, Nicoletta Mantovani, Caterina
Boetti, Agata Boetti, Matteo Boetti, Giordano
Boetti, Roberto Casamonti, Michele Casamonti,
Judith Ammann, Barbara Gladstone, Gianfranco
Benedetti, Franca e Lorenzo Pinzauti, Alberto
Magni, Antonio Addari, Mara Martini, Laura
Andreini
Marco Agnoletti, Massimo Barrettone, Georgia
Bistolfi, Manuele Braghero, Maria Giulia Caliri,
Antonella Chiti, Eduardo Cicelyn, Giorgio
Colombo, Rita Corsini, Simona Cresci, Elisa Di
Lupo, Serge Domingie, Mario Andrea Ettorre,
Gabriella Farsi, Carlo Francini, Carla Francioni,
Francesca Franco, Stefano Gabrielli, Valentina
Grandini, Isabella Lastrucci, Barbara Mucci,
Valentina Muscedra, Sonia Nebbiai, Rosella
Nesi, Francesca Piccolboni, Serena Pini, Patrizia
Pisani, Cristina Poggi, Mauro Sampaolesi,
Francesca Santoro, Paolo Mussat Sartor,
Carmela Valdevies, Miriam Zamparella

Artisti
Alighiero Boetti
Curatori
Sergio Risaliti
Generi
arte contemporanea, personale
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In occasione del Summit Mondiale dei Sindaci, che si svolgerà in Palazzo Vecchio ai primi di novembre, saranno esposte due grandi Mappe (280×580
cm circa) in Salone dei Cinquecento.

Comunicato stampa

La stagione del contemporaneo non si è conclusa a Firenze.
Dopo la grande mostre di Antony Gormley al Forte di Belvedere e l’esposizione
di Jeff Koons in Palazzo Vecchio e Piazza Signoria, la città si prepara a celebrare
l’opera di Alighiero Boetti, tra i maggiori artisti del XX secolo.
In occasione del Summit Mondiale dei Sindaci, che si svolgerà in Palazzo
Vecchio ai primi di novembre, saranno, infatti, esposte due grandi Mappe (280x580
cm circa) in Salone dei Cinquecento. L’evento voluto dal sindaco Dario Nardella
assume un valore simbolico di assoluto rilievo in quella cornice internazionale,
quando i temi affrontati dai rappresentanti delle città del mondo saranno il dialogo
tra i popoli, la centralità dell’arte e della cultura nella costruzione della pace, la
difesa delle antiche civiltà e delle tradizioni nella globalizzazione, “l’unità nella
diversità” – come recita il titolo del Summit.
È la prima volta, almeno in Italia, che due Mappe di queste dimensioni vengono
ad essere confrontate nello stesso luogo. Le due opere di Boetti sono state
ricamate su cotone da donne afghane negli anni ottanta-novanta e riproducono
il passaggio epocale della trasformazione dei confini sovietici con la Perestrojka,
quando dalle ceneri dell’Unione Sovietica sorse la Russia nell’agosto del 1991.
La mostra curata scientificamente da Sergio Risaliti è organizzata dal Comune
di Firenze – Direzione Musei Civici ed Eventi in collaborazione con la Fondazione
Alighiero e Boetti, l’Archivio Boetti, la galleria Tornabuoni Arte di Firenze e Parigi.
Si tratta ancora una volta del confronto tra l’arte del passato e quella attuale. Basti
dire che le Mappe di Boetti dialogheranno in Palazzo Vecchio con la serie di Arazzi
medicei disegnati da Bronzino e Pontormo, ora esposti nel Salone dei Duecento,
e con le mappe cinquecentesche del Danti e del Bonsignori conservate nella Sala
delle Carte Geografiche o del Mappamondo. Le due opere di Boetti saranno visibili
fino al 22 novembre.
Per quattro giorni Firenze sarà la casa del dialogo interculturale in un mondo
dove i confini delle nazioni cambiano e si riorganizzano velocemente, dove locale
e globale si confrontano, si integrano, si scontrano. Ai primi di novembre, in
Palazzo Vecchio verranno ospitati sindaci e delegazioni provenienti da tutte le
parti del pianeta: Europa, Africa, Medio-Oriente, America del Nord e del Sud, Asia.
Vogliamo contribuire al dialogo tra i popoli nella speranza di una pace perpetua,
per la fraternità e la giustizia sociale. Firenze vuole giocare un ruolo di primo
piano occupandosi del futuro del pianeta, dei doveri e diritti dei cittadini, del
degrado ambientale e morale, della cura del patrimonio artistico, delle tradizioni
e dei saperi, mettendo al centro dei processi produttivi il carisma della persona,
perché siano sempre rispettate e valorizzate la sensibilità e l’immaginazione, la
creatività e la spiritualità dei singoli cittadini, veri protagonisti dell’evoluzione e del
cambiamento.
Il summit di novembre – Unityindiversity – riparte da quello storico incontro
che Giorgio La Pira organizzò in Palazzo Vecchio sessant’anni orsono. Firenze
non ha mai cessato di credere nella sua vocazione umanistica, impegnandosi
nell’abbattimento delle barriere ideologiche, favorendo lo scambio interculturale,
il dialogo tra le diverse etnie e classi sociali, la convivenza pacifica, la libera
circolazione delle idee e il confronto aperto tra rappresentanti del mondo religioso,
politico, economico per una “concordia nella varietà”. L’arte e la letteratura, la
filosofia e la scienza, le tradizioni popolari, la produzione artigianale hanno fatto
di Firenze la città del dialogo, dell’incontro, della fluida circolazione del pensiero e
dell’immaginazione. Perché Cultura e Arte sono il cemento identitario dei popoli,
e tuttavia rappresentano anche gli strumenti più idonei per incontrare l’altro,
per godere i benefici dello scambio simbolico, per favorire l’integrazione e la
coesione sociale nel rispetto delle differenze e delle singole peculiarità, contro
l’omologazione indifferenziata dei linguaggi e delle razze, dei desideri e delle
passioni. La produzione artistica, nelle sue molteplici espressioni, è la prova
della fondamentale ricchezza e vitalità di ogni persona nella moltitudine. È sorta
allora l’esigenza di rappresentare il senso del summit fiorentino con un’opera
d’arte significativa e comprensibile. Non abbiamo guardato indietro, nel nostro
passato, ma abbiamo cercato nel presente: con la certezza di trovare l’immagine
esemplare nella contemporaneità. E volevamo proporre agli ospiti stranieri il
linguaggio di un artista italiano, la cui creatività è compresa e ammirata da tempo
nel mondo intero. Ecco che la scelta si è orientata su una delle opere più note
di Alighiero Boetti, un’immagine rappresentativa delle dinamiche geopolitiche,
dell’unità nella differenza tra i popoli e le culture, della fluidità dei confini, della
ricchezza del saper fare manuale, della collaborazione creativa. Personalmente ho
sempre ammirato le opere di questo grande artista, l’organizzazione concettuale
del lavoro, la fantasia figurativa e simbolica, l’interesse per le discipline
scientifiche, per la scienza sacra, per la politica, la capacità di coinvolgere gli altri
nell’esecuzione materiale. Boetti avrebbe potuto comunicare cose assai importanti
in occasione del summit, e soprattutto avrebbe dato un esempio su come acquisire
capacità manuali e spirituali attraverso il dialogo e il confronto con l’Oriente e il
Medio-Oriente.
Abbiamo deciso quindi di esporre nel Salone dei Cinquecento, sede del summit,
due “mappe” monumentali ricamate da donne afghane negli anni Ottanta del XX
secolo su disegno di Boetti. Vi si legge il mondo intero, si riconoscono le diverse
nazioni, i colori delle singole bandiere, i continenti e gli oceani. E come tutte le
carte geografiche, anche le Mappe di Boetti alludono alla varietà e ricchezza
culturale del mondo, al suono delle lingue, a quello dei canti, ai volti e agli sguardi,
ai paesaggi e alle stagioni, agli usi e costumi, alle contrastanti realtà politiche.
In una mappa un punto è sempre come L’Aleph descritto dal grande scrittore
argentino Jorge Luis Borges: un cannocchiale sul mondo, sulle infinite forme di
vita che pullulano nei suoi confini. E di cannocchiali e mappe Firenze ne conserva
vari esemplari, a partire dai quei primi “conocchiali” usati da Galileo Galilei per
studiare e ridisegnare la geografia lunare. Le Mappe di Boetti nel Salone dei
Cinquecento dialogheranno, altresì, con le carte geografiche nell’omonima sala
in Palazzo Vecchio dove al centro troneggia un grande mappamondo. Come
altri ambienti di Palazzo della Signoria, anche la Sala delle Carte Geografiche
o della Guardaroba rappresenta la vocazione fiorentina a dialogare con i popoli
della terra, a conoscerne il patrimonio artistico, a informarsi sulle millenarie
tradizioni. Il fatto che le mappe ricamate di Boetti siano state realizzate in luoghi
tormentati da conflitti bellici e soprattutto che siano state portate a compimento
da donne abili nell’eseguire arazzi e ricami aggiunge ulteriore valore alla presenza
di queste opere in Palazzo Vecchio, dove in questo periodo si svolge anche una
importante mostra dedicata agli Arazzi medicei, disegnati dai massimi artefici del
Rinascimento, come Pontormo e Bronzino. Firenze è una città unica al mondo
quando riesce a far circolare l’energia dell’arte in modo trasversale, mettendo
in scena la contemporaneità delle arti e delle tradizioni. In Palazzo Vecchio i
sindaci e le delegazioni potranno scoprire due millenni di arte e di storia, un
patrimonio straordinario che comprende le vestigia romane, i capolavori medievali
e rinascimentali, memorie ottocentesche e novecentesche, l’arte del nostro tempo,
Jeff Koons e Alighiero Boetti. Vogliamo offrire l’esempio della bellezza come
sprone all’apertura mentale, al dialogo interculturale, allo scambio simbolico. Per
la collaborazione e la cooperazione tra Stati e città, tra istituzioni e persone.
Ringrazio la Fondazione Alighiero e Boetti, l’Archivio Alighiero Boetti, la galleria
Tornabuoni Arte di Firenze e Parigi, gli sponsor e quanti hanno reso possibile
questo progetto, condiviso fin dall’inizio con Sergio Risaliti che assieme alla
Direzione Musei Civici ed Eventi ne ha seguito l’organizzazione.
Dario Nardella
Sindaco di Firenze
“Storia e civiltà si trascrivono e si fissano, per così dire, quasi pietrificandosi, nelle
mura, nei templi, nei palazzi, nelle case, nelle officine, nelle scuole, negli ospedali
di cui la città consta. Le città restano, specie le fondamentali, arroccate sopra i
valori eterni, portando con sé, lungo il corso tutto dei secoli e delle generazioni, gli
eventi storici di cui esse sono state attrici e testimoni. Restano come libri vivi della
storia umana e della civiltà umana: destinati alla formazione spirituale e materiale
delle generazioni venture”, con queste parole Giorgio La Pira salutava le autorità
convenute in occasione del convegno sulla pace organizzato a Firenze nel 1955.
In questi giorni, e per la seconda volta, la città di Dante e di Michelangelo, di
Brunelleschi e del Poliziano, ospita sindaci e delegati delle città del mondo in
Salone dei Cinquecento, chiedendo a tutti i partecipanti uno sforzo comune in
nome del dialogo interculturale, della pace, della difesa del patrimonio artistico
e delle umane tradizioni, drammaticamente offese in questi tempi di intolleranza
e di diffuso terrore. Firenze ha deciso di mettere al centro del summit l’arte nella
sue forme più alte e diverse, la letteratura, la musica, il teatro, le espressioni
dell’intelligenza e del cuore che tengono uniti i popoli nella differenza. Come non
pensare a un ruolo decisivo dell’artista nella costruzione di un futuro migliore?
Come non affidarsi alle misteriose percezioni degli artisti, che sanno vedere oltre
i limiti dell’ordinario e gettare luce laddove dominano le tenebre? Non sono forse
loro, con la loro estrema sensibilità a captare, gestire e trasformare quanto di più
disordinato e caotico sopravvive dentro e fuori di noi? Non è forse una dissonante
armonia quella che ascoltiamo in certe sublimi composizioni musicali? Non
sono forse discordanti concordanze quelle di alcune composizioni pittoriche dove
una sconosciuta bellezza scaturisce dalle forme di una precedente tradizione?
L’arte ci promette la felicità dove forze diverse e mai dome si contrappongono.
Ma sempre e comunque in direzione della pace e del perfezionamento umano,
di quello delle società. Non possiamo prescindere dal confronto con gli artisti e
con gli uomini di cultura, con i poeti e i liberi pensatori per ripensare i nostri stili
di vita, per trovare nuove forme di dialogo e di cooperazione, per immaginare
un’armonia laddove i conflitti generano sofferenza, divisione, ingiustizia. Firenze
città che tutti amano offre ai popoli del mondo un dono di bellezza, di cultura e
di speranza. In Palazzo Vecchio, esattamente nel Salone dei Cinquecento, tra
affreschi meravigliosi e sculture di marmo preziose, tra cui il Genio della Vittoria
di Michelangelo Buonarroti, i sindaci e i delegati, le autorità e gli ospiti al seguito
potranno ammirare anche due opere di Alighiero Boetti, uno tra i maggiori artisti
del nostro tempo, prematuramente scomparso nel 1994. Si tratta di due Mappe,
preziosi ricami in cotone eseguiti a mano dalle donne afghane negli anni ottanta
del secolo scorso su disegno e progetto di Boetti. Ogni ricamatrice ha realizzato
una sezione del dipinto, ha costruito parte del mondo. Si tratta di un’opera
unica, ma di un lavoro collettivo. Simbolo di come la costruzione nel mondo
della convivenza pacifica, dell’unita nella diversità sia un impegno comune, cui
tutti dobbiamo e  possiamo contribuire esaltando le spinte creative individuali.
Abbiamo bisogno di immagini come questa di Boetti per capire in che modo
uscire dalla crisi, dalla disperazione, dalla paura. Abbiamo bisogno di credere
nell’impegno giornaliero, ripetuto, continuo per contrastare l’entropia. Nella
costruzione paziente e sensibile di una società migliore, in cui a ogni singolo
individuo e specialmente alle donne sia data l’opportunità di liberare l’energia
spirituale, le capacità manuali, di esprimersi con una propria lingua, di rinnovarsi
senza separarsi dalle proprie tradizioni e dai valori forti della propria civiltà.
Boetti non temeva il rapporto positivo e liberatorio di ordine e disordine; secondo
una visione olistica e alchemica sapeva che nel crogiuolo della vita, come nei
fenomeni naturali e cosmici, la perfezione non possa prescindere dall’antinomia
e dal contrasto. Boetti ha scelto la via della partecipazione e della coesione
contrapponendo la bellezza e la fantasia alla divisione e alla omologazione nella
società e nel lavoro. Un messaggio che non possiamo che condividere nei giorni
del summit qui a Firenze. 
Nicoletta Mantovani
Assessore alla cooperazione e relazioni internazionali del Comune di Firenze
Mappa, 1989
Ricamo su tessuto
265,4×574 cm
Collezione Giordano Boetti,
Courtesy Fondazione Alighiero
e Boetti
Mappa, 1989-94
Ricamo su tessuto
254×588 cm
Collezione privata,
Courtesy Tornabuoni Arte
Alighiero Boetti nasce a Torino il 16 dicembre 1940. Sin dall’adolescenza è incuriosito
dall’esotismo e dalle gesta dell’avo Giovan Battista Boetti (1743-1794), missionario
domenicano nell’antica città mesopotamica [oggi irakena] di Mossul, poi convertitosi
all’esoterismo persiano e al sufismo. Abbandonata la facoltà di Economia e Commercio, si
avvicina da autodidatta all’arte. Guarda alla recente tradizione informale e tachiste (1960-
62), all’espressionismo americano, allo spazialismo di Lucio Fontana (1961), ai disegni “alla
mescalina” di Henri Michaux (1962) e alla ricostruzione futurista dell’universo di Giacomo
Balla (1963). Nel 1963-64 soggiorna a Parigi, dove studia incisione; scopre l’astrattismo lirico
di Nicolas de Staël, il drammatico materismo di Jean Dubuffet, l’arte universale del Museo
immaginario di André Malraux. Legge le opere del sinologo Marcel Granet e s’interessa alle
ricerche di Gaston Bachelard sull’immaginario poetico.
Rientrato a Torino, realizza con materiali industriali opere tridimensionali basate sulla
tautologia o derivate da oggetti d’uso comune (Sedia e Scala; Zig-zag, Mancorrente, Catasta,
1966, Museo d’arte contemporanea Castello di Rivoli, Torino), che espone nella sua prima
mostra personale alla Galleria Christian Stein nel 1967. La ricerca sul valore dei materiali, al
di là di riferimenti simbolici o culturali, e lo stretto rapporto tra oggetto e immagine che le sue
opere implicano spingono il critico Germano Celant a inserire l’artista nel movimento dell’arte
povera. Da qui la partecipazione alle mostre: Arte povera-IM spazio alla galleria La Bertesca
di Genova (1967) e Arte Povera + Azioni Povere presso gli Antichi Arsenali della Repubblica
di Amalfi (1968). Avvertita l’esigenza di superare tale ricerca in favore dell’“idea” che sta
all’origine del procedimento creativo, s’interessa alle possibilità estetiche e comunicative
del mezzo postale e alla definizione di una propria nuova identità, che formula per la prima
volta nel doppio ritratto Gemelli (1968). Questa tendenza ad assottigliare il corpo dell’opera
trova riscontro nella partecipazione a mostre seminali quali: Live in your Head. When Attitudes
become Forms (1969), curata da Harald Szeemann a Berna, Londra e Krefeld [ricostruita con
spirito filologico dal curatore alla Fondazione Prada nel 2013 nell’ambito della LV Biennale di
Venezia], Processi di pensiero visualizzati e Vitalità del negativo (1970) curate, rispettivamente,
da Achille Bonito Oliva e Jean-Christophe Ammann al Palazzo delle Esposizioni di Roma e al
Kunstmuzeum di Lucerna, museo che ospita quattro anni dopo la prima personale di Boetti
organizzata da un’istituzione pubblica. Tornato alla bidimensionalità del foglio di carta con
Cimento dell’armonia e dell’invenzione (1969), avvia nel 1969 la serie dei Lavori postali, basata
sulla scansione del tempo e sulle leggi della permutazione matematica. Sulla scorta del
saggio di Norman Oliver Brown Love’s body [New York 1966, Milano 1969] l’artista inizia una
riflessione sulla biologia del corpo umano, che sviluppa tra il 1970 e il 1975 in performance
di “scrittura a due mani” e nella serie delle Biro. Il romanzo dei grandi fiumi di Albert
Hochheimer (edito in Italia nel 1956), ispira invece nel 1970-1974 un impegnativo lavoro di
documentazione, da cui nascono il volume Classifying, the thousand longest rivers in the world
(1977) e l’omonima serie di ricami su tessuto (1976-82, The Museum of Modern Art, New
York). Contemporaneamente, in cerca di nuovi stimoli, scopre nel 1971 l’Afghanistan dove,
da questo momento fino al 1979, soggiorna a lungo almeno due volte l’anno. A Kabul apre
un albergo, l’One Hotel, e comincia a far tessere dalle donne del luogo ricami multicolore,
inaugurando così un procedimento artistico basato sullo scarto temporale tra momento
ideativo ed esecuzione dell’opera, che prende compiutamente corpo nella serie delle grandi
Mappe ricamate del globo terrestre (1972-1992).
Nei primi anni 70 si trasferisce a Roma, dove la sua ricerca si fa conquistare dalla ricchezza
emotiva del colore e si amplia attraverso la delega a terzi della realizzazione pratica dei lavori,
come i grandi pannelli “dipinti” a biro, nei quali l’artista interviene solo nell’invenzione del
codice, trasformando la scrittura in un rebus crittografico (Mettere al mondo il mondo, 1972-
1973, Glenstone, Potomac (Maryland), USA). Espone le nuove opere nel 1972 nella prestigiosa
rassegna Documenta 5 a Kassel (dov’è di nuovo presente nel 1982), alla X Quadriennale
Nazionale d’Arte di Roma curata da Filiberto Menna nel 1973 e nel 1974 approda al The
Museum of Modern Art di New York, per partecipare alla collettiva Eight Contemporary Artists.
Seguono, tra il 1974 e il 1976, viaggi in Guatemala, Etiopia, Sudan. Nel 1975 è nuovamente a
New York poi alla XXIV Bienal de São Paulo (1975) e nel 1976 è invitato alla XXXVII Biennale
di Venezia. Il sottile gioco linguistico e formale che ispira l’accostamento di parole simili
di significato opposto, come Ordine e disordine (1973), o l’alternanza grafica tra lettere e
sfondo all’interno di una griglia quadrata caratterizzano anche le “opere matematiche” che
Boetti compie tra il 1975 e il 1977, affascinato dalle leggi che governano la progressione
numerica e le potenzialità di accelerazione implicite nella moltiplicazione. Legato a tale
ricerca è il progetto del 1975 Da mille a mille per la decorazione del fronte interno del portico
di recinzione nel centro scolastico del Dar Al Hanan Institution a Gedda (mai realizzato).
Data al 1978 l’antologica curata da Jean Christophe Ammann alla Kunsthalle di Basilea, che
raccoglie opere storiche insieme ai lavori più recenti: gli Aerei (1977), nati dalla collaborazione
con il disegnatore Guido Fuga (1977), e le opere tratte da fatti di cronaca ed eventi politicoculturali
resi noti dai giornali (Gary Gilmore, 1977, Fondazione Maramotti, Reggio Emilia).
L’interesse per i mezzi di comunicazione sfocia nel 1980 nella collaborazione con il quotidiano
“Il Manifesto” di Roma, per il quale realizza ogni giorno, per un anno, un disegno, portando
a compimento l’idea di un’opera seriale di larga fruizione. Segue nel 1983 la serie di disegni
ricalcati a matita dalle copertine delle riviste più popolari, a formare una sorta di sintesi
dell’eredità visiva di un anno (Anno 1990, 1990, Fondazione Alighiero e Boetti, Roma). In
questo decennio le opere s’infittiscono di lettere e interi racconti scritti con la mano sinistra,
acquistando al contempo un cromatismo vivace, che culmina nella saturazione totale dei
Tutto, realizzati con la collaborazione delle ricamatrici afghane rifugiatesi a Peshawar, in
Pakistan, dopo l’invasione sovietica. Contemporaneamente un suo grande mosaico murale
in ceramica bianca, realizzato a partire dai cartoni disegnati dagli studenti su indicazione
dell’artista, è collocato sul muro esterno dell’Art Gallery nella California State University
at Northridge, Los Angeles. Nel 1985 a Tokyo s’interessa allo shodo: l’arte della calligrafia
giapponese, collaborando con il maestro Enomoto San. Nel 1989 disegna scene e costumi
per lo spettacolo di Vita Accardi Hanjo, tratto dai Nô Moderni di Yukio Mischima [pseudonimo
dello scrittore e drammaturgo giapponese Hiraoka Kimitake], rappresentato quello stesso
anno al Teatro in Trastevere di Roma. Nel 1990 ottiene il Premio speciale della Giuria della
XLIV Biennale di Venezia, dov’è invitato con una sala personale, in cui espone opere su carta
di notevoli dimensioni caratterizzate da un flusso incessante di immagini realizzate a collage,
con timbri o in negativo con l’aerografo a partire da silhouette di propri disegni già ritagliate e
ricomposte in racconti sempre nuovi, fatti di levità e poesia, quasi fosse la rappresentazione
di un flusso continuo di pensieri, che tutto richiama alla memoria e rielabora. Analogo afflato
enciclopedico hanno i ricami Tutto, nati negli anni 80. Accanto a opere di piccolo formato
eseguite in prima persona (Extra-strong), in vista della personale a Le Magasin di Grenoble
del 1993 Boetti dirige due opere monumentali e corali: i 50 Kilim sul tema Alternando da uno
a cento e viceversa e Oeuvre postale: il più grande lavoro postale mai concepito, compiuto con
la collaborazione del Museé de la Poste di Parigi. Nel 1993 con Autoritratto (The Rachofsky
House, Dallas (Texas), USA) porta a termine un progetto risalente alla fine degli anni 70: una
statua in bronzo tratta dal calco del proprio corpo e munita di dispositivo elettrico e idraulico,
intesa come simbolizzazione della naturale forza creativa dell’uomo-artista. Muore a Roma il
24 aprile 1994. 
Tra le istituzioni italiane che hanno dedicato importanti progetti a Boetti dopo il 1994
si ricordano: il MAXXI-Museo delle arti del XXI secolo di Roma (2013), il MADRE-Museo
d’Arte contemporanea Donna Regina di Napoli (2009 a cura di Achille Bonito Oliva), la
GAMeC-Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo (2004, a cura di Giacinto Di
Pietrantonio), la 49a Biennale di Venezia, che nel 2001 gli riserva una sala personale curata
da Germano Celant; la GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (1997) e la GAMGalleria
d’Arte Moderna di Torino (1996).
All’originalità della sua ricerca il The Museum of Modern Art di New York, la Tate Modern
di Londra e il Museo Reina Sofia di Madrid hanno dedicato nel 2011 una grande retrospettiva
itinerante, Alighiero Boetti: Game Plan, onnicomprensiva della sua intera carriera. Nello
stesso anno la Fondazione Nicola Trussardi, in collaborazione con Artissima-Fiera d’arte
contemporanea di Torino, ha organizzato l’Alighiero e Boetti Day presso l’Auditorium RAI del
capoluogo piemontese, chiamando da tutto il mondo studiosi, critici, direttori di museo, artisti,
testimoni e persone che con lui hanno condiviso progetti, visioni del mondo e vita vissuta.
Francesca Franco
Fondazione Alighiero e Boetti