L’Archivio Storico della Biennale di Venezia apre una nuova grande sede nel 2026. L’intervista 

Sarà uno spazio di 8000 mq votato alla conservazione, ma anche a progetti di ricerca e dedicati agli studenti. Prosegue inoltre nel 2026 il progetto espositivo dedicato a Marco Polo che ha viaggiato in India, Turchia, Cina, con due nuove tappe. La prima sarà in Mongolia

L’Archivio Storico della Biennale di Venezia apre nel 2026 una nuova sede di ben ottomila metri quadrati all’Arsenale.  

Un progetto di grande respiro che offre l’occasione di ripensare il tema di come funziona un archivio e quale deve essere il suo ruolo nel presente in cui viviamo, attraverso la doverosa attività di conversazione ma anche progetti di ricerca rivolti al futuro. E lo fa attraverso azioni mirate come ad esempio la mostra che dal 2024, nel segno di Marco Polo, sta attraversando l’Oriente. La prima tappa Il sentiero perfetto si è svolta a Hangzhou, in collaborazione con la China Academy of Art; poi a Venezia con l’installazione dell’artista kazaka Gulnur Mukazhanova e l’opera Amfibio dell’artista di Istanbul Cevdet Erek, già presente a Hangzhou; è giunta poi ad Istanbul con la rassegna di musica contemporanea Amfibio Sound Days, in collaborazione con Istanbul Foundation for Culture and Arts (İKSV), per poi proseguire a Nuova Delhi con Interno Indiano alla Bikaner House in collaborazione con Kiran Nadar Museum of Art (KNMA).  Ogni tappa è concepita come un dialogo tra il passato e il presente, tra la storia e le forme artistiche contemporanee dei luoghi visitati. Abbiamo parlato di questo e altro con Debora Rossi, responsabile dell’ASAC. 

Intervista a Debora Rossi 

700 anni di storia veneziana nel nome di Marco Polo, celebrati con un progetto in 4 mostre diffuse in tutto il mondo. Come nasce questa iniziativa e con quali auspici? 
Questa iniziativa nasce in occasione della celebrazione de i 700 anni dalla morte di Marco Polo e ripropone idealmente il suo viaggio che parte da Venezia e guarda verso Est, reinterpretato attraverso le chiavi e le lenti dell’attività della Biennale di Venezia. L’idea non è semplicemente commemorare un personaggio storico, celebrare il passato ma, in linea con l’indirizzo seguito nelle attività dell’Archivio, ripercorrere idealmente le rotte di Marco Polo in un percorso di ricerca, osservando cosa oggi rappresenti il futuro nei luoghi che lui attraversò, soprattutto in termini di espressione artistica. Il progetto, a cura di Luigia Lonardelli, si sviluppa attraverso un viaggio diffuso in più tappe internazionali.  

Ci saranno altre tappe oltre a quelle di Hangzhou, Istanbul e Nuova Delhi? 
Certo, il viaggio non si ferma qui: il prossimo anno saremo in Mongolia e in un altro Paese che oggi l’Oriente considera tra i protagonisti della scena globale. L’auspicio è anche che questo percorso possa stimolare riflessioni sul dialogo tra culture, sul valore della scoperta e sul ruolo universale dell’arte come ponte tra Oriente e Occidente. 

Perché la Biennale di Venezia, che nel 2026 si appresta a celebrare la prossima edizione della Biennale Arte, ha sentito il bisogno di fuoriuscire dai suoi spazi e percorrere, come Marco Polo, altre rotte?   
Le attività della Biennale non hanno uno spazio di riferimento se non quello fisico delle sue sedi, ma anche in questi luoghi il riferimento guarda oltre i confini dei singoli stati. Secondo la vocazione storica di Venezia, la città della Biennale, da questo luogo si guarda e si dialoga con tutto il mondo. Nel caso particolare siamo usciti dagli spazi fisici tradizionali perché il progetto intendeva incarnare lo spirito stesso del viaggio di Marco Polo: esplorare, attraversare confini, aprirsi a dialoghi culturali e artistici con il mondo. Il titolo del progetto, È il vento che fa il cielo, tratto da una frase di Confucio tradotta da Ezra Pound, coglie perfettamente questo senso di ricerca: si tratta di percorsi che non si fermano ai confini nazionali, ma guardano lontano, verso ciò che ci attende “al di là”. Seguendo questa filosofia, ogni tappa diventa un’occasione per investigare e comprendere il futuro dell’arte nei luoghi attraversati, con un approccio che privilegia la scoperta e l’indagine piuttosto che la semplice esposizione. In altre parole, la Biennale si muove come Marco Polo: non per segnare territori, ma per osservare, ascoltare e restituire nuove prospettive, contribuendo così a una visione globale dell’arte contemporanea. 

Debora Rossi, Foto di Andrea Avezzù
Debora Rossi, Foto di Andrea Avezzù

Il progetto è una iniziativa speciale dell’Archivio Storico della Biennale, che dà luogo di studio e di memorie diventa produttore di nuovi contenuti, in un percorso che dal 2022, in epoca post Covid ha caratterizzato in maniera totalmente diversa il ruolo di questo soggetto al fianco della Biennale. Quale è l’idea alla base di questo nuovo corso dell’Archivio?  
L’Archivio Storico è parte integrante della Biennale, tanto da essere considerato la sua “settima musa”, ed infatti nello statuto compare al pari degli altri sei (arte architettura cinema danza musica teatro) come Settore di attività. L’archivio, ovvero la raccolta e conservazione dei documenti di ogni mostra, accompagna le attività fin dalla prima Esposizione Internazionale d’Arte ed è stato uno degli elementi che ha contribuito a far riconoscere nel 1930 La Biennale, nata come iniziativa del Comune di Venezia, come un’Istituzione di rilevanza e riferimento dello Stato. Non ci si limitava solo alla realizzazione delle Esposizioni d’Arte raccogliendo il consenso e il successo del pubblico di allora, ma si costituiva anche un patrimonio documentario in grado di testimoniare l’attività svolta e si promuovevano allo stesso tempo nuovi progetti fornendo materiali agli artisti per le loro creazioni future. Tutto questo è riflesso e testimoniato nelle carte d’archivio che raccontano questa storia. In questo senso, l’Archivio è un luogo vitale: tutto ciò che viene prodotto nei programmi dei direttori artistici, una volta restituito alla consultazione torna a disposizione di artisti, studiosi, curatori e studenti, diventando nuova materia e fonte di ricerca e ispirazione. La ricerca che nasce dall’Archivio può abbracciare ambiti molto diversi: non riguarda necessariamente uno dei suoi settori ma può avere ambito interdisciplinare, oppure focalizzarsi sugli aspetti tecnici, artistici, filosofici e teorici che oggi costituiscono il percorso formativo di chi si confronta con le sfide del futuro della nostra società. 

Come si fa a raggiungere questi obiettivi? 
Questo ruolo che desideriamo per l’Archivio si rafforzerà ulteriormente con il trasferimento nella nuova sede all’Arsenale, previsto per la fine del prossimo anno. L’Archivio continuerà a essere un luogo di doverosa conservazione del patrimonio ma anche di ricerca sulle arti contemporanee e produzione di progetti speciali che possono nascere dalla ricerca stessa.  
La conservazione si amplierà grazie alle nuove tecnologie, che aumenteranno le possibilità di fruizione, e attraverso materiali d’archivio riferiti non solo direttamente alla Biennale di Venezia. Sempre più artisti e figure del mondo dell’arte che hanno partecipato alle attività dell’Istituzione scelgono di affidare all’Archivio la tutela della propria memoria affinché possa essere preservata e resa consultabile. Parallelamente cresceranno i progetti di ricerca, dal College di Scrittura “Scrivere in Residenza”ai workshop, alle collaborazioni con Istituzioni e Università, e continuerà la produzione di Mostre curate dai Direttori artistici così come progetti come È il vento che fa il cielo, la Biennale della Parola e altre ancora, consolidando così l’Archivio non solo come custode della memoria, ma anche come fucina di idee e progetti per il futuro dell’arte. 

A settembre 2025 si è inoltre inaugurato il terzo ciclo di attività del progetto di ricerca per la Mappatura geopolitica degli artisti che negli ultimi 20 anni hanno partecipato alle attività di tutti i settori della Biennale, coinvolgendo un pool di Università. Cosa è emerso da questa ricerca? Quali sono le geografie della Biennale?   
Il progetto di ricerca sulla Mappa Geopolitica degli artisti che hanno partecipato alle Biennali negli ultimi vent’anni dal 1999 al 2020, inaugurato nel 2023 con avvio della terza edizione a settembre 2025, ha avuto come obiettivo principale quello di avvicinare giovani studenti nati negli anni Duemila alla vita ed esperienza degli artisti che, mentre loro nascevano, si stavano già formando o erano attivi nei vari settori della Biennale negli ultimi vent’anni, e attraverso di loro di conoscere gli avvenimenti e le trasformazioni sociali degli stessi anni. Questo percorso ha permesso ai ragazzi di confrontarsi con una ricerca autentica: approfondire, esplorare, dialogare, riscoprire e rileggere avvenimenti che hanno segnato sia la storia recente sia l’evoluzione dell’espressione artistica. Dal lavoro è emersa una mappatura delle “geografie” della Biennale molto interessante: queste non coincidono solo con i percorsi degli artisti ma restituiscono una mappa da cui emergono le dimensioni sociali, politiche e culturali dei luoghi dai cui provengono gli artisti stessi. Stimolante inoltre osservare il dialogo e l’interazione tra studenti provenienti da diversi atenei e, in alcuni casi, da Paesi differenti. La pluralità delle loro sensibilità e tradizioni ha arricchito l’indagine, permettendo di comprendere non solo dove gli artisti sono attivi, ma anche come le loro esperienze e influenze culturali contribuiscano a delineare un quadro globale, dinamico e in continua evoluzione della scena artistica contemporanea. 

Qual è il futuro degli archivi? In un mondo sempre più interconnesso e allo stesso tempo fragile, saturo di barriere ed estemporaneo, anche a causa degli strumenti del digitale che rendono più difficile l’archiviazione, ad esempio, di scambi epistolari, quali sono le buone pratiche che una istituzione artistica e culturale deve attivare per preservare il passato e guardare al futuro?   
Il futuro degli archivi, soprattutto in un mondo sempre più interconnesso ma anche fragile e saturo di informazioni, passa inevitabilmente dalla digitalizzazione e dalla smaterializzazione. Questa è una sfida comune a tutti gli archivi contemporanei: da un lato la tecnologia offre strumenti straordinari, come la velocità della digitalizzazione e la possibilità di reperire e analizzare grandi quantità di dati anche attraverso l’utilizzo ragionato dell’IA; dall’altro occorre evitare che l’archivio si trasformi in un semplice deposito burocratico. Come mostrano le carte del passato, molte delle informazioni e delle suggestioni più preziose arrivano dai canali non ufficiali, dalle corrispondenze personali, dai dettagli apparentemente marginali. Oggi tutto questo confluisce in inesauribili contenitori costituiti dalla posta elettronica o altri sistemi di messaggistica o scambio di dati. Per questo motivo, la ricerca d’archivio non può limitarsi all’analisi dei dati provenenti dai documenti cd “ufficiali”: deve essere ricostruzione di percorsi, di storie, di legami, possibilità di osservazione delle sequenze con cui le carte si accumulano e di come si relazionano tra loro. Per affrontare queste sfide, la Biennale ha introdotto alcune buone pratiche.  

Ad esempio?  
I direttori artistici, come parte del loro incarico, selezionano dalla propria corrispondenza ciò che considerano più significativo per documentare il progetto realizzato, offrendo così un punto di vista autentico. Inoltre, sono disponibili storage online di raccolta nei quali trasferire rapidamente il materiale prodotto durante il lavoro, così che possa essere acquisito direttamente dall’Archivio. 
Sul piano della documentazione, si sfruttano le tecnologie più avanzate: dalla riproposizione dei percorsi espositivi come restituzione del rapporto tra opere e visitatore, alle riprese con regia di spettacoli di danza, musica e teatro, fino all’acquisizione dei modelli 3D degli allestimenti delle mostre. In questo modo, l’Archivio diventa non solo un luogo di conservazione del passato, ma anche uno strumento dinamico per la ricerca e la produzione, capace di guardare al futuro mantenendo vive memoria e contesto. 

Nel 2026, come dicevamo, si aprirà la nuova sede dell’Archivio in Arsenale. Come cambierà la vita dell’Archivio con questo nuovo progetto?   
L’apertura della nuova sede dell’Archivio all’Arsenale, prevista per il 2026, rappresenta un passo fondamentale per la vita dell’Archivio. Tutte le attività che svolgiamo, dalla conservazione alla ricerca fino alla produzione di progetti speciali, richiedono spazi adeguati, e qui avremo la possibilità di ampliare significativamente ciascun filone di lavoro: più spazio per la conservazione, ambienti dedicati alla ricerca quotidiana così come a residenze di lungo periodo, e aree flessibili per la realizzazione di progetti speciali. 

Un altro valore aggiunto della nuova sede è la collocazione stessa: come la Biblioteca ai Giardini si trova nel cuore della Mostra di Arte e Architettura, così l’Archivio sarà posto nel centro delle attività (Biennale Arte e Architettura, Festival di Danza, Musica, Teatro) dell’Arsenale. Questo favorirà un’osmosi ancora più viva e continua tra memoria e produzione, tra ricerca e creazione, rendendo l’Archivio un luogo non solo di conservazione, ma anche di dialogo attivo con la contemporaneità artistica. L’appuntamento è per i primi di giugno, con conferenze, concerti e performance. 

Santa Nastro 

Libri consigliati:

Libri consigliati:
(Grazie all'affiliazione Amazon riconosce una piccola percentuale ad Artribune sui vostri acquisti)

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. Dal 2015 è Responsabile della Comunicazione di…

Scopri di più