Un piccolo museo pieno di palloni gonfiati. C’è Martin Creed in mostra a Belluno
L'artista britannico Martin Creed trasforma il Museo Burel di Belluno in un luogo dove poter tornare bambini, riproponendo un suo lavoro ormai iconico
Continua l’avventura curatoriale di Daniela Zangrando, che dal 2019 vuole superare ogni “centro” gerarchico portando i mostri sacri dell’arte contemporanea negli spazi doppiamente paradossali del piccolissimo Museo Burel (di cui è direttrice) e della periferica Belluno, a metà strada tra Venezia e Cortina. E così, dopo Christian Boltanski, Roman Signer e Hans Haacke, questa volta a riempire le due sale del Burel arriva la leggerezza del britannico Martin Creed (Wakefield, 1968). Una piccola/grande sfida che fin dalla giornata di apertura, ha dimostrato la straordinaria capacità di attrazione di un protagonista dell’arte contemporanea che nel suo percorso creativo ha voluto e saputo dimostrare che l’artista non deve solo colpire, interrogare o inquietare, ma in qualche raro caso può anche far sorridere, con un’ironia spiazzante capace di stupire e far riflettere chi ha il coraggio di lasciare all’ingresso le sue certezze.

Martin Creed. Una mostra per tutti a Belluno
E non vale solo per gli addetti ai lavori. Si fermano davanti al museo ed entrano anche famiglie al completo, con i bambini che si lasciano coinvolgere fisicamente dall’incanto di Work no. 3891, 2025 (un’evoluzione del suo Work No. 200. Half the air in a given space che aveva esordito nel 1998 alla Galerie Analix di Ginevra), con i suoi palloni bianchi gonfiati che occupano metà del volume del museo, lasciando appena lo spazio per muoversi a chi entra. Uno spazio incantato. Lo ha spiegato lo stesso Martin Creed, dialogando con Zangrando: “Volevo fare qualcosa con l’aria (…) Mettere l’aria nei palloncini da festa e riempire la stanza di palloncini mi è sembrato un modo semplice per rendere visibile l’aria”. Il risultato è coinvolgente, nel vero senso della parola: “La massa dei palloncini prendeva la forma dello spazio tra le persone e la forma della stanza, muovendosi di conseguenza al suo interno, e alla fine – dopo tutto questo – la situazione era normale: come sempre la stanza era piena di aria, e quindi le persone con sentimenti e pensieri potevano venire lì e andar via da lì”. Un artista capace di plasmare l’aria, così come ha lavorato con la luce (chi non ricorda la grande scritta luminosa Everything Is Going To Be Alright sul palazzo dell’Arengario a Milano nel 2006) e con il suono, come le campane a stormo per l’inaugurazione dei giochi olimpici di Londra del 2012.

Chi è Martin Creed
Martin Creed, vincitore del Turner Prize nel 2001 con The Lights Going On And Off, ha esordito al Camden Art Centre di Londra nel 1995, per passare poi alla Kunsthalle di Berna, alla Tate Modern di Londra e alla Fondazione Trussardi di Milano nel 2006, mentre sue opere sono presenti in musei e istituzioni come il MoMa di New York, il Centre Pompidou di Parigi, il Victoria and Albert di Londra ed altre raccolte a Città del Messico, Miami, Vancouver, Cleveland, Francoforte o Brisbane. “Avvicinarsi alla ricerca di Martin Creed”, scrive Zangrando nella presentazione, “significa entrare nell’universo di una sensibilità acuta ed epidermica, quasi tattile. In un’atmosfera che ha sempre qualcosa che mette a proprio agio e stampa un sorriso in faccia pur tenendo fede alla profondità, al rigore e alla conoscenza più stratificata del linguaggio dell’arte”. E racconta: “Martin Creed mi ha incantato fin da quand’ero studentessa è audace, è folle, ed è incredibilmente volto al dialogo con un pubblico che, impossibilitato a guardare passivamente, si ritrova dentro l’opera stessa, rendendosi conto di come l’arte e l’esperienza dell’arte siano qualcosa di vivo e palpitante”.

L’arte partecipativa di Martin Creed
Anche alla mostra di Belluno questa dimensione di partecipazione attiva del pubblico è fondamentale. In uno spazio dato, quello delle due stanze del museo, qualcosa accade. Qualcosa di inaspettato, leggero, pieno di ossigeno e di stupore. L’arte di Martin Creed continua l’annata del Burel caratterizzata dal ciclo intitolato Masquerade, che dopo una mascherata a febbraio ha ospitato in primavera i video dolenti di Beatrice Marchi con il loro dialogo tagliente tra umano e animale, tra bianco/nero e colore, tra presa diretta e rielaborazione pittorica, sullo sfondo di una natura o di un habitat trasformati in labirintiche prigioni.
Marco Perale
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