Il ruolo dei movimenti no global e della Street Art nel passaggio tra Anni Novanta e Anni Zero
Gli Anni Zero rappresentano un cambio di paradigma culturale e socio-spaziale che ancora oggi fatichiamo a interpretare pienamente, in cui cultura visiva, musicale, street art e i movimenti no global hanno un ruolo fondamentale
Nel suo recente dittico dedicato al passaggio tra Anni Novanta e Anni Zero, Christian Caliandro ribadisce un approccio critico ormai necessario: per comprendere l’arte di oggi è quanto mai necessario aggiornare il lessico, ma occorre soprattutto ripensare la genealogia dei fenomeni estetici e culturali che hanno segnato il limite tra i due secoli. Proprio in quello spazio liminale – più che nei singoli decenni – si colloca un nodo che forse merita di essere esplorato con maggiore attenzione.
Il passaggio tra Anni Novanta e Anni Duemila
Perché se gli Anni Novanta hanno consolidato molti degli immaginari globali della “cultura pop planetaria”, gli Anni Zero non rappresentano solo una fase successiva, un post-, un after, un alter, ma un trauma di transizione. Un cambio di paradigma culturale e socio-spaziale che ancora oggi fatichiamo a interpretare pienamente.
Una parte decisiva di quella genealogia affonda le radici, almeno in Italia, nei centri sociali degli Anni Novanta, che non furono solo luoghi di controcultura, ma laboratori autonomi di produzione non convenzionale e non istituzionale. In questi spazi si elaboravano forme di cooperazione, remix culturale e ibridazione che di fatto anticipano i linguaggi fluidi degli anni Zero.
È significativo che in quegli anni si consolidino pratiche musicali crossover e oltre, fino alle ibridazioni dei primi Duemila – basti pensare al percorso che conduce da Rage Against the Machine agli Audioslave – come segnalato anche dalla critica musicale.
I movimenti no global
Lo stesso andamento è osservabile nella cultura visiva: dissoluzione di confini disciplinari, mescolanza di codici, espansione dei linguaggi.
La stagione dei movimenti no global, quella compresa in particolare tra Seattle 1999 e Genova 2001, costituisce un altro asse fondamentale. La letteratura su Genova e sul movimento altermondialista ha evidenziato come questi movimenti siano stati generatori di immaginari collettivi: estetiche della protesta, visualità effimere, repertori simbolici transnazionali. Striscioni, stencil, poster, così come pagine web, hack-meeting, vjing, personal broadcasting: tutto ciò non è semplice attrezzatura per messaggi politici, ma un vero e proprio ecosistema visivo che si riflette nelle pratiche artistiche degli anni Zero.
Graffiti Writing e Street Art
È all’incrocio tra controculture, attivismo e trasformazioni urbane che avviene una delle transizioni più rilevanti per gli Anni Zero: quella dal Graffiti Writing al cosiddetto Post-Graffiti (poi Street Art per la vulgata). Esistono ricerche che mostrano come il cambio in questione non sia principalmente stilistico, ma sistemico: nuove modalità di presenza nello spazio urbano, nuove economie dell’attenzione, nuove forme di intervento abusive e non autorizzate che modificano la percezione della città. Dalla strada al computer e viceversa. Non c’è un linguaggio unitario, non c’è un’estetica comune, c’è piuttosto un nuovo regime di visibilità: urbana ed extraurbana, dentro e fuori dagli schermi.
Uno dei nodi centrali che differenziano Anni Novanta e Anni Zero non risiede solo nell’estetica, ma nella trasformazione del sistema culturale al passaggio del secolo.
Si modificano le modalità di partecipazione, costruzione dell’identità e distribuzione dei contenuti. Parallelamente, la riflessione sull’urbanistica analizza i processi di privatizzazione, gentrificazione e neutralizzazione degli spazi pubblici che hanno progressivamente eroso i territori dell’autonomia culturale: proprio quelli che negli Anni Novanta erano luoghi di produzione di immaginari non regola(menta)ti.
Il nuovo ecosistema degli Anni Zero
Gli Anni Zero inaugurano dunque non un’estetica, ma un nuovo ecosistema, in cui quegli spazi diventano più fragili, più intermittenti, più vulnerabili.
Credo che gli articoli di Caliandro possano aprire una discussione necessaria sugli ultimi trent’anni di cultura visiva che dovrebbe uscire da queste pagine ed entrare, perché no, nel mondo accademico. Forse proprio nel confronto tra i fenomeni sociali – e non solo artistici – che si potrebbe cercare la vera differenza tra Novanta e Zero.
Gli Anni Novanta sembrano gettare le basi per una rete sotterranea di pratiche, dispositivi e spazi culturali. Gli anni Zero la espandono e la globalizzano, ma in qualche modo ne inaugurano anche la crisi. Oggi viviamo sulle tracce di quella ambiguità irrisolta, ancora in attesa di una o di una pluralità di narrazioni critiche.
Claudio Musso
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