Tra le Soglie del Vivente

Informazioni Evento

Luogo
ALLEGRA RAVIZZA - ART PROJECT
Via Gorani 8, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
06/11/2025
Generi
arte contemporanea, collettiva

In mostra una collettiva di tre artisti.

Comunicato stampa

Galleria Allegra Ravizza è lieta di annunciare la mostra “Tra le Soglie del Vivente”, una collettiva di tre artisti che sarà ospitata nella sede di Lugano, in Piazza Cioccaro 11 con inaugurazione il 29 ottobre, e in contemporanea nello spazio di Milano, in via Gorani 8, che inaugurerà la settimana successiva in data 6 novembre 2025.

La mostra mette in dialogo tre artisti: Günter Weseler (Allenstein, 1930 – Düsseldorf, 2020), Chiara Lecca (Modigliana, 1977) ed Emil Lukas (Pittsburgh, 1964), che -chi per scelta e chi per nascita- condividono un’esperienza di vita radicata in un contesto naturale e pastorale, lontano dalla frenesia, dall’artificialità e dall’alienazione urbana delle città, dove la quotidianità è scandita dal ritmo della natura e in cui la presenza e il rapporto con l’animale è abituale, familiare e parte integrante di un contesto domestico e sociale improntato a una convivenza armonica. Questa vicinanza ha plasmato la sensibilità degli artisti generando un’arte che non si limita a osservare la natura, ma che la abita e la vive. In questo modo la posizione dell’uomo viene moderata, smette di essere protagonista e diviene spettatrice attiva di una narrazione artistica biocentrica.

Gli artisti presenti in mostra, ognuno secondo il proprio linguaggio, problematizzano il confine tra umano e non-umano, esplorando la soglia che separa la vita dalla morte, attraverso pratiche artistiche capaci di destabilizzare la percezione dello spettatore fino a suscitarne straniamento e ambiguità.

Procedendo lungo un sottile crinale di opposti, l’artista romagnola Chiara Lecca indaga le relazioni che intercorrono tra natura e artificio, organico e inorganico, uomo e natura, e investiga attraverso il mondo animale la sfera dell’umano e la coscienza collettiva.

Estranea ad ogni sorta di giudizio, l’artista ribalta i codici culturali che canonizzano la distinzione tra uomo, animale e natura reinterpretando il contesto pastorale e agricolo in cui vive la propria quotidianità fin dalla nascita. I suoi lavori si presentano, a prima vista, come rassicuranti sculture e confortanti elementi di arredo: ricchi mazzi di fiori posti in raffinati vasi e totem marmorei dall’algida eleganza sembrano decorare infatti le sale espositive, fino a quando alcune anomalie visive iniziano a fare interferenza, strappando quel velo iniziale di estremo realismo per svelarne l’inganno percettivo. Ad un’occhiata più attenta infatti ci si rende conto che i fiori non sono fiori ma parti di animali tassidermizzati e il marmo è “fake marble”, ossia finto marmo di provenienza animale. In questo modo l’artista sovverte con ironia e leggerezza le aspettative visive e concettuali legate ai materiali, giocando sulla loro ambiguità semantica, per provocare una reazione estetica-visiva mista tra fascino e repulsione. Lo spettatore, in uno stato di disorientamento e confusione, viene spinto così a riflettere sulla promiscuità insita tra vita e morte, naturale e artificiale fino a far crollare quella barriera concettuale e stereotipale che divide l’umano dal non-umano. Attraverso queste opere infatti Chiara Lecca lavora per suscitare, con ironia, sentimenti di disagio e fastidio al fine di normalizzare la presenza dell’animale e della sua carnalità in un contesto urbano ormai disabituato alla familiarità con il non-umano e con la sua morte.

Della medesima natura ibrida tra naturale e artificiale, umano e non-umano, si compongono gli Atemobjekte di Günter Weseler, oggetti di pelliccia che attraverso un meccanismo elettromeccanico riproducono gli elementi ritmici della respirazione. Nati inizialmente in forma pittorica e divenuti oggetti scultorei a partire dal 1964, queste creazioni riassumono l’essenzialità artistica e concettuale del suo lavoro, coniugando la componente acustica con quella visiva.

A quel tempo infatti, a causa di problemi alla gola, la respirazione e il suo ritmo divennero per l’artista oggetto di una ricerca quasi nevrotica che lo accompagnò fino alla fine della sua carriera. Fin dalle prime esposizioni Weseler apprese che i suoi oggetti respiranti sanno “prendere vita” e assumono un carattere in grado non solo di modificare l’ambiente circostante ma altresì capace di intimorire, spaventare, incuriosire e allertare lo spettatore. Gli Atemobjekte acquisiscono così enigma e ambiguità in quanto catalizzatori di un processo di consapevolezza e cognizione che genera un ambiente in grado di stimolare determinate reazioni mentali ed emozionali nello spettatore: si crea infatti una struttura spaziale in cui lo spettatore è incluso, proprio come accade con le opere di Chiara Lecca, sebbene caratterizzate da un linguaggio più ironico e leggero.

Mentre i primi oggetti respiranti vivevano essenzialmente del contrasto tra artificialità meccanica e naturalezza materica e del confronto tra l'oggetto e l'ambiente circostante -in un certo senso civilizzato-, negli anni Ottanta si è verificato un notevole spostamento verso l'organicità e l'armonizzazione, grazie anche alla scoperta di antiche tecniche di respirazione.

Sebbene non ascrivibile a alcun movimento artistico, l’arte di Günter Weseler può essere intesa come esempio di un “cinetismo organico” in cui tempo e cambiamento si intrecciano a forze latenti del regno psicologico e immaginario. La centralità del movimento e la sua fenomenicità vengono esplorate fin dalle prime rappresentazioni pittoriche come elementi imprescindibili per determinare la vita. Utilizzando la tempera all’uovo, Weseler raffigura strutture corporee e sagome organiche, cariche di energia e vitalità, contrapposte a forme più solide e definite, scegliendo di restringere la scelta cromatica ad un solo colore: il nero. Negli anni Sessanta l’artista predilige per le proprie creazioni pittoriche una evidente plasticità derivata dall’abbondanza iniziale del colore e del suo rapido trasferimento sulla superficie.

Materialità, temporalità e movimento cinetico-organico sono dunque elementi costitutivi dell’arte di Weseler, prerequisiti di un contenuto esperienziale che qualifica la sua intera attività artistica. Tali principi si ritrovano anche nell’arte di Emil Lukas che dialoga con la natura e interagisce con la materialità animale/naturale e umana, facendo di questi l’elemento cardine della propria ricerca concettuale. In mostra è esposta la sua serie di lavori Larva Paintings, per la quale Lukas si serve di larve di mosca che, a contatto con una miscela vischiosa e pigmento, a volte guidate da ombre e luci, tracciano segni sulla tavola disegnando inattesi percorsi di inchiostro dal tratto quasi calligrafico. Come accade in molti dipinti di Weseler, l’opera prende avvio da una traccia cromatica iniziale che segna la superficie pittorica come punto d’origine del processo, attivando una dinamica di trasformazione che ne guida l’intero sviluppo. La superficie supera così il suo essere semplice supporto divenendo spazio del processo di creazione, teatro d’azione dell’evento artistico e testimone della forza d’interazione tra natura e materia sotto la vigile direzione dell’artista. La superficie acquista così una propria complessa profondità. Attraverso questo processo Lukas crea opere frutto di una dinamica viva e organica, accettando l’elemento dell’imprevedibilità della natura e la cooperazione tra umano e non-umano come parti del processo estetico-artistico.

In linea con questa medesima tecnica processuale e creativa è la serie Amazzonia di Günter Weseler: tappeti di vegetazione selvatica che nascono nell’inverno del 1990 e si compongono di uno spesso manto di muschio steso sopra una superficie di vetro. Attraverso il naturale processo di essicazione, il tappeto erboso si frantuma in piccoli frammenti e il colore blu traspare creando una fotografia aerea di un paesaggio forestale attraversato da uno specchio d’acqua. Emerge così un paesaggio frattale, simile alle immagini satellitari delle regioni tropicali in cui predominano foreste e giungle. In questi lavori l’elemento dell’acqua diventa centrale grazie alla sua natura specchiante e riflettente che gli conferisce struttura e tridimensionalità spaziale. L’acqua diventa per Weseler simbolo di conoscenza e della profondità dell’inconscio originando un nuovo livello intangibile, una nuova realtà: “Vorrei chiamarlo “livello energetico” in contrapposizione alla realtà tattile che si trova di fronte alla superficie riflettente”[1]. In questo modo si generano dunque tre realtà: un primo livello percepibile e tattile; un secondo livello creato dalla capacità riflettente del vetro che incorpora nell’opera la realtà retrostante lo spettatore; infine, un terzo livello di realtà sita dietro il vetro, l’ambiente dell’inconscio, del sospettato e dell’intuito che traspare dalla profondità. In questi lavori affiora una maggior attenzione per l’armonizzazione e per l’osservazione dei cambiamenti nei processi organici, tipici dell’arte processuale di Lukas.

La serie Larva Painting di Lukas si colloca sul confine invisibile che separa la vita dalla morte: “I lavori della serie prendono le mosse dal profumo unico della morte. Questo odore attira le mosche che sono in cerca di un luogo dove depositare le loro uova per dare continuità alla vita della specie. Il risultato finale del dipinto è generato da inchiostro e pittura su tela che suggeriscono una profondità attraverso una serie di sovrapposizioni. Nella realizzazione di questi dipinti è cruciale la chimica della superficie, l’umidità, la luce e il colore, tutto ciò in relazione al ciclo vitale della mosca. L’idea è semplice: la vita, la morte e alcune cose tra l’una e l’altra…”[2]. Come sopra scritto, tale dualismo tra la vita e la morte è presente anche nelle opere di Chiara Lecca che, come l’artista americano, lo indaga in maniera totalmente naturale mostrando il decesso come parte ineluttabile del ciclo vitale, senza attribuirgli alcuna drammatica tragicità.

La mostra propone un percorso attraverso opere di grande sensibilità contemporanea, capaci di far riflettere sul rapporto tra uomo, natura e artificio, e di aprire un dialogo più ampio e consapevole su ciò che è vivente, organico e invisibile.

La mostra resterà aperta al pubblico su appuntamento fino al 6 febbraio 2026.