Nicolò Bruno / Guglielmo Janni – Il peso dell’altro

Informazioni Evento

Luogo
CASA VUOTA
via Maia 12, Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

visitabile su appuntamento

Vernissage
25/10/2025

ore 18

Artisti
Nicolò Bruno, Guglielmo Janni
Curatori
Francesco Paolo Del Re, Sabino de Nichilo
Generi
arte contemporanea, doppia personale

L’artista milanese è il protagonista a Casa Vuota a Roma della mostra intitolata Il peso dell’altro, curata da Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, in dialogo con la pittura di Guglielmo Janni (1892-1958).

Comunicato stampa

Una statua rotta, caduta a terra e frantumatasi in mille pezzi – un simbolo tra le figure del teatro della pittura di Nicolò Bruno – lascia vibrare l’eco inquieto di ciò che un tempo era intero. L’artista milanese è il protagonista a Casa Vuota a Roma della mostra intitolata Il peso dell’altro, curata da Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, in dialogo con la pittura di Guglielmo Janni (1892-1958): uno sguardo queer attraverso e oltre il Novecento. È la doppia personale di un artista del presente e di un artista storicizzato al quale non si dedica una mostra dal 1986, cioè da quella curata da Maurizio Fagiolo Dell’Arco all’Accademia Nazionale di San Luca. L’esposizione si inaugura sabato 25 ottobre 2025 nell’appartamento-galleria di via Maia 12 e si può visitare su appuntamento fino al 18 gennaio 2026, prenotando ai numeri 3928918793 o 3284615638 oppure all’email [email protected].

IL REALISMO EMOZIONALE DI NICOLÒ BRUNO
Innamorato del colore, interessato all’aspetto magico della pittura e allo stupore che il suo esercizio comporta, Nicolò Bruno espone a Casa Vuota una serie di dipinti di medie e piccole dimensioni realizzati nel corso del 2025 a partire da un periodo di residenza trascorso in Georgia. Per la sua prima personale romana, viene presentato al pubblico in maniera organica un ciclo di lavori pittorici più liberi e personali, emancipati dagli appunti fotografici che l’artista per lungo tempo ha usato come strumento di archiviazione, composizione e ispirazione per la costruzione dei suoi quadri. «Il peso dell’altro – spiega Bruno – nasce dalla necessità di abbandonare l’immagine trovata per entrare in un immaginario mio, più intimo e irrisolto. Copiare fotografie mi tratteneva sulla superficie: restavo spettatore. Qui invece ho scelto di espormi, di lasciare parlare ciò che non so spiegare».
«All’immagine fotografica – scrivono Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo – Nicolò Bruno va sostituendo un’immagine interiore, che si concretizza per approssimazioni, semplificazioni, deformazioni e giustapposizioni. Il distacco da un modo fotografico di guardare il mondo e di pensare alla pittura e l’allontanamento progressivo da un riferimento oggettivo da ricercare nella riproduzione di un dato reale vengono resi visibili dalla compresenza di colore e disegno. Schizzi fatti a penna e bozzetti erratici acquistano un nuovo significato e diventano un livello segnico ulteriore rispetto alla trama pittorica, con dei gesti di addizione vicini alla pratica del collage e dell’assemblaggio che vanno a sporcare la purezza del dipinto. Vecchie carte disegnate vengono incollate sulle tele, che spesso sono ribaltate in modo da mostrare il telaio, ossia la parte normalmente preclusa alla visione, e appaiono irte di spine, quasi ad assumere una materialità scultorea. Quadri-oggetti si rispecchiano in oggetti immaginati dal pittore e rappresentati nelle fogge di simulacri, di teste scultoree di eco metafisica che si rompono e si mostrano nella loro fragilità fatta a pezzi».
È una pittura di figure, quella di Nicolò Bruno, con una vocazione teatrale. «Che cosa possiamo offrire agli altri se non noi stessi?», si domanda. L’artista parla di sé stesso e delle persone che lo circondano, spesso collezionando autoritratti e mostrando giovani uomini colti in momenti di intimità, di riflessione, di abbandono, di tenerezza. Va però oltre l’autobiografia e compone, nell’allestimento a Casa Vuota, piccole storie che iniziano e finiscono (o forse non finiscono), brandelli di pura finzione, affabulazioni sospese.
Figure davanti allo specchio intente a lavarsi, bagnanti, ragazzi abbracciati, ragazzi che fumano, che dormono o si mettono le scarpe. Coppie di giovani, ragazzi soli, stanze da letto in cui forse non ci si ama più o ci si scopre estranei. Il racconto della quotidianità che ha sempre caratterizzato il suo immaginario cede il passo a narrazioni più allusive, evocative, immaginifiche. Le persone reali che lo circondano, spersonalizzandosi, diventano personaggi di una storia plurale, fatta di tanti piccoli aneddoti intrecciati. Spiega l’artista che «è un passaggio dal realismo emotivo al realismo immaginario. Non più raccontare ciò che vedo, ma ciò che mi abita. Non più riconoscere, ma evocare. Le immagini non sono pensate: affiorano. Le opere si muovono attorno al concetto di gesto: sovrapposizione, urgenza, collisione. Esposte su mensole che diventano palcoscenici, queste opere smettono di essere semplici “finestre” su un altrove. Diventano presenze. Personaggi. Comparse mute che, pur senza parlare, pesano».

UNO SGUARDO QUEER ATTRAVERSO E OLTRE IL NOVECENTO
Il titolo Il peso dell’altro viene da una citazione evangelica, ricordo di un recente viaggio oltreoceano, e racconta sia le fatiche della reciprocità che una relazione amorosa comporta, sia più in generale il fardello delle aspettative altrui e la difficoltà di riuscire a compiacere l’altro. Vale a descrivere una fase più cupa e introspettiva dell’elaborazione pittorica di Nicolò Bruno, che guarda a un orizzonte personale di affetti, desideri e relazioni e si pone domande vitali sulla sua identità personale e artistica. Non solo. «Il titolo – annotano Del Re e de Nichilo – si presta a un ulteriore livello di lettura, in riferimento all’interlocuzione che l’artista sceglie di fare con la pittura di Guglielmo Janni, un pittore oggi quasi dimenticato, che esordisce alla Biennale Romana del 1921 e smette di dipingere nel 1938, proprio nel momento in cui la sua fama artistica è consolidata. Quello che più colpisce il pubblico di oggi dell’immaginario pittorico di Janni sono le figure di ragazzi che ama dipingere, pugili e atleti a riposo, attori di teatro o chierichetti impegnati in cerimonie liturgiche. Sono espressione di una sensibilità omosessuale vissuta in maniera conflittuale dall’artista che, dopo il rifiuto della sua pittura, si impegna a smembrare e distruggere gran parte delle sue opere, dedicandosi alla scrittura e allo studio dell’epistolario del suo celebre nonno materno, il poeta Giuseppe Gioacchino Belli. Nicolò Bruno sceglie di confrontarsi con questa eredità problematica di un pittore gay operante durante il fascismo, in un significativo passaggio di testimone che annulla il tempo, nella volontà di affermare uno sguardo queer che attraversa il Novecento e arriva fino al nostro tempo presente».
«È come una fiamma olimpica che viene passata da un pittore a un altro, da una generazione a un’altra. Farsi carico del peso dell’altro – spiega Bruno – per me esprime l’idea delle battaglie che noi omosessuali abbiamo ereditato e dobbiamo continuare a portare avanti e raccoglie, a livello artistico, la memoria di un’esperienza di cui dobbiamo fare tesoro. Mi sembra un bel messaggio di cui farsi portatori, in un mondo sempre più smemorato e orientato all’individualismo».
Il campo di forze della mostra esprime la tensione di un confronto, di un avvicinamento e di un allontanamento tra la pittura viva di Bruno e le testimonianze superstiti dell’arte di Janni, fatta di contrappunti, di richiami, di suggestioni e di sfide. Inedito e insolito, per Casa Vuota, è l’accostamento delle opere un artista del presente a quelle di un artista del Novecento. Piuttosto che con lo spazio, Nicolò Bruno dialoga con le passioni collezionistiche e con gli interessi dei padroni di casa e sceglie, come punto di partenza di questa conversazione ideale, il frammento di una grande scena di Atleti in palestra dipinta da Guglielmo Janni nel 1937 e poi da lui smembrata. A questo si affiancano altri dipinti, in prestito da collezioni private e gallerie, come il Ritratto dell’avvocato Mario Tancredi del 1922, un Ritratto di Antonietta Raphael, un Prelato del 1936, una Natura morta dello stesso anno, una Cerimonia liturgica del 1937 e una selezione di disegni.

Nicolò Bruno (Milano, 1989) si laurea in Pittura e Arti visive alla Naba di Milano nel 2012 e fonda insieme ai suoi compagni di corso il collettivo artistico F84, focalizzato sulla pratica dell’arte pubblica e relazionale. Sviluppa la sua ricerca pittorica in una dimensione intima e personale, riconducibile all’Emotional Realism. Del 2020 è la sua personale Maestrale curata da Efisio Carbone alla Galleria Massimo Ligreggi di Catania. Tra le principali mostre collettive a cui ha partecipato, si ricordano nel 2024 Le diable au corps curata da Daniele Capra e Massimo Mattioli nello spazio Bonelli Lab a Canneto sull’Oglio (MN), nel 2023 All my Dreams – Collezione Renato Alpegiani in collaborazione con Antonio Marras alla Fondazione Oelle di Catania, nel 2022 Art for Pride a Milano e 12 artists of tomorrow curata da Giulia Abate con un testo critico di Cesare Biasini Selvaggi alla Mucciaccia contemporary di Roma, nel 2021 Instruction to Ligh-Keepers a Sept a Milano, nel 2020 Corpi sul Palco, performance da casa in tempo di quarantena curata da Andrea Contin e Slaven Tolj al Contemporary and Modern Art Museum di Rijeka in Croazia e Finished Unfinished Spaces curata da Eva Comuzzi e Orietta Masin al Museo d’arte Moderna Ugo Carà di Muggia (TS). Opere di Nicolò Bruno sono nella collezione permanente di Soho House Rome.