Push the limits 2

La Fondazione Merz a Torino presenta la seconda edizione di PUSH THE LIMITS, un progetto espositivo che, potenziando la ricerca, in questo secondo appuntamento continua a indagare il linguaggio e la creatività contemporanea con artiste di generazioni e provenienze differenti che fanno del superamento e della trasformazione dei limiti imposti e supposti la propria grammatica artistica.
Comunicato stampa
Dimani io mi aggraverò fatale colla tua anima…
Dimani fra la battaglia pensa me,
e questa memoria faccia cadere dalle tue mani la tua inutile spada:
dispera, e muori!
(William Shakespeare, Riccardo III)
La Fondazione Merz a Torino presenta la seconda edizione di PUSH THE LIMITS, un progetto espositivo che, potenziando la ricerca, in questo secondo appuntamento continua a indagare il linguaggio e la creatività contemporanea con artiste di generazioni e provenienze differenti che fanno del superamento e della trasformazione dei limiti imposti e supposti la propria grammatica artistica.
PUSH THE LIMITS la cultura si sveste e fa apparire la guerra, propone l’incontro con pratiche, linguaggi e ricerche di 19 artiste - Heba Y. Amin, Maja Bajević, Mirna Bamieh, Fiona Banner, Rossella Biscotti, Monica Bonvicini, Latifa Echakhch, yasmine eid-sabbagh, Cécile B. Evans, Dominique Gonzalez-Foerster, Mona Hatoum, Emily Jacir, Jasleen Kaur, Katerina Kovaleva, Teresa Margolles, Helina Metaferia, Janis Rafa, Zineb Sedira, Nora Turato - protagoniste con opere inedite, già realizzate o ricontestualizzate appositamente per gli spazi della Fondazione.
A cura di Claudia Gioia e Beatrice Merz, aperta da lunedì 27 ottobre 2025 a domenica 1° febbraio 2026, il progetto muove dall’idea dell’arte come rigenerazione e capacità di formulare pensieri e parole laddove le urgenze del presente sembrano invece spingere verso la ripetizione e la rassegnazione verso l’immobilismo.
Il titolo, PUSH THE LIMITS la cultura si sveste e fa apparire la guerra, ricerca l’attitudine dell’arte di porsi costantemente al limite per spostare l’asse del pensiero, della percezione e del discorso, per immettere nuove soluzioni e letture del nostro tempo. In questa seconda edizione, la mostra approfondisce il suo ruolo di fronte alla narrazione ufficiale, che prova a normalizzare le conseguenze devastanti dei conflitti e delle distruzioni, e al mutismo della politica. «Mezzi e fini si avvolgono su di loro e come risultato si ha solo quello di non capire più quali siano i fini», spiegano le curatrici.
Con l’intenzione di porsi come catalizzatore delle istanze e delle tensioni del nostro tempo, la Fondazione propone un progetto collettivo la cui sostanza narrativa trae ispirazione dalla maledizione lanciata per voce di William Shakespeare a Riccardo III, per evidenziare come oggi il linguaggio non abbia ancora trovato una nuova formula da sostituire alla maledizione: forme e modi si sono fatti più sofisticati, ma la sostanza non è mutata.
Tra le artiste presenti nella prima edizione di PUSH THE LIMITS, Barbara Kruger affermava la valenza della relazionalità come qualità costitutiva dell’azione. Questo principio, estendibile a ogni aspetto della vita umana e politica, conduce alla creazione di qualcosa di inedito che esprime libertà, all’origine delle azioni collettive e che poggia necessariamente su una plurale interdipendenza.
Hanna Arendt vedeva in questo tipo di azione collettiva un principio estetico, che si esprime nell’esecuzione e nella libertà con cui si formulano parole e forme nuove in risposta alle circostanze storiche e alle crisi del proprio presente.
FONDAZIONE MERZ
La Fondazione, intitolata a Mario e Marisa Merz, nasce come centro d’arte contemporanea nel 2005 a Torino, con l’intento di ospitare mostre, eventi, attività educative e portare avanti la ricerca e l’approfondimento dell’arte.
Nata e sviluppatasi in aperto contrasto al concetto di arte come monumento, ossia immagine della memoria, potente ma statica, la Fondazione interpreta oggi il proprio ruolo di centrale energetica dell’arte. Il luogo delle opere, passato da essere “casa dell’artista” a “casa per gli artisti”, ha inevitabilmente maturato il proprio ruolo, nato da un impulso di sopravvivenza, e si è resa attrice consapevole e presente di nuove opportunità.
Presieduta da Beatrice Merz, si avvale della collaborazione di un comitato scientifico composto da Frances Morris (Director Emeritus, Tate Modern, London), Vicente Todolí (Direttore artistico HangarBicocca, Milano) e Mariano Boggia (Manager della collezione Merz) e della consulenza di curatori ospiti per la programmazione espositiva.
La Fondazione alterna mostre dedicate a Mario e Marisa Merz come momenti di riflessione e studio a dei grandi progetti site-specific di artisti nazionali e internazionali invitati a confrontarsi con lo spazio di via Limone a Torino e con il suo contenuto, senza tralasciare la ricerca sulle nuove generazioni per cui sono regolarmente organizzati non solo eventi espositivi ma anche musicali e performativi.
Il Dipartimento Educazione offre un insieme di attività e servizi finalizzati a favorire la relazione tra il territorio e il museo, diffondendo la conoscenza dei linguaggi e delle pratiche dell'arte contemporanea; organizza attività rivolte a diverse tipologie di pubblico per promuovere la conoscenza dell’arte contemporanea: visite guidate e laboratori per la scuola, percorsi formativi per gli insegnanti, workshop con gli artisti, oltre ad un servizio gratuito di accoglienza al pubblico in sala.
La biblioteca è specializzata in storia e critica dell’arte moderna e contemporanea; è affiancata all’Archivio Merz che ha lo scopo principale di raccogliere, ordinare e conservare ogni documentazione esistente relativa a Mario e Marisa Merz.
BIOGRAFIE ARTISTE
Heba Y. Amin
Heba Y. Amin (nata nel 1980 al Cairo, Egitto; vive e lavora a Berlino, Germania) esplora temi politici e la costruzione della memoria storica, utilizzando differenti linguaggi espressivi come film, fotografia, performance e installazione.
La sua ricerca si distingue per un approccio critico, immaginativo e spesso satirico, volto a mettere in discussione le narrazioni dominanti legate alla conquista e al controllo. Amin è professoressa di Digital and Time-Based Art presso l’Accademia Statale di Belle Arti di Stoccarda, co-fondatrice del collettivo Black Athena, curatrice d’arte visiva per la rivista MIZNA e attualmente fa parte dei comitati editoriali del Journal of Digital War e del Disruption Network Lab.
Inoltre, Amin è una delle artiste dietro l’azione di graffiti sovversivi sul set della serie televisiva Homeland, che ha ricevuto attenzione mediatica a livello mondiale.
Maja Bajević
Maja Bajević (nata nel 1967 a Sarajevo, Bosnia-Erzegovina; vive e lavora a Parigi, Francia) adotta un approccio critico all’arte per mettere in luce le dualità del comportamento umano, in particolare quelle legate al potere. Il potere della storia si contrappone a quello della scelta e dell’interpretazione; la memoria collettiva all’amnesia collettiva, i resoconti oggettivi alla narrazione soggettiva e all’immaginazione – intesa come costruzione in divenire, fluida e instabile (la presenza di impalcature nelle sue opere non è casuale), le cui trasformazioni e deviazioni rispondono a stimoli contraddittori. Il suo lavoro mira a formulare domande più che fornire risposte: ogni domanda risolta apre un nuovo territorio, con nuove parentesi che lasciano spazio all’imprevisto o all’inespresso, in un continuum senza fine. Fin dalla metà degli anni ’90, Bajević affronta un’ampia gamma di tematiche, tra cui globalizzazione, inclusione/esclusione, sfruttamento, neoliberismo e i loro effetti reciproci. Parallelamente, torna spesso sul tema dell’identità personale e della patria, e su come queste possano essere costruite o rese impossibili. Il suo lavoro spazia tra video, installazione, performance e suono, ma anche testo, artigianato, disegno, incisione, macchinari e fotografia.
Segnata da un’esperienza migratoria personale, le sue opere precedenti mettono in risalto l’interesse per la natura contingente della stabilità politica. Affrontando temi come l’abuso di potere e religione, la migrazione e l’emarginazione dello straniero, e la tensione tra locale e globale, il suo lavoro si inserisce nella tradizione di un’arte che svolge una funzione sociale e informativa, volta a mettere in discussione le convinzioni dominanti.
Mirna Bamieh
Mirna Bamieh (nata nel 1983 a Gerusalemme, Palestina; vive e lavora a Lisbona, Portogallo) indaga i processi di cancellazione delle identità e i meccanismi di resistenza e costruzione della memoria, esplorando le fragilità e le tensioni sociali all’interno delle comunità palestinesi, in relazione alle complesse dinamiche del presente politico.
Con una formazione in arti visive, arti culinarie, psicologia e sociologia, unisce cibo e narrazione per sviluppare pratiche artistiche socialmente impegnate attraverso Palestine Hosting Society, un progetto di arte dal vivo che ha fondato nel 2018. Mettendo in scena cene performative e interventi che attingono alle pratiche alimentari e alla trasmissione orale delle ricette, il progetto mira a rivitalizzare le culture gastronomiche palestinesi tradizionali, oggi a rischio di scomparsa.
A partire dal 2019, spinta dal desiderio di riflettere sulla storia personale in relazione a quella collettiva, l’artista ha iniziato a esplorare anche il processo di fermentazione, attraverso testi, suoni, ceramiche, disegni e opere video, confluiti in installazioni interattive site-specific. Il suo attuale ciclo di opere sull’argomento è la serie Sour Things.
Fiona Banner
Fiona Banner, nota anche come The Vanity Press (nata nel 1966 a Merseyside, Regno Unito), esplora questioni legate al genere, al linguaggio, all’interpretazione e all’editoria attraverso una varietà di media, tra cui disegno, scultura, performance e immagine in movimento. Al centro del suo approccio concettuale vi è la tensione tra linguaggio e i suoi limiti.
Particolarmente interessata a come il conflitto venga mitizzato dalla cultura popolare, inizia creando dei “wordscapes” o “film immobili”: narrazioni testuali dettagliate, scritte in prima persona, che spaziavano dai dai war movie ai film porno, da scene intime a eventi storici. Queste opere prendevano la forma di blocchi compatti di testo, spesso delle stesse dimensioni e proporzioni di uno schermo cinematografico. Successivamente, ha rivolto la sua attenzione al tema del nudo nella storia dell’arte, osservando modelli dal vivo e descrivendone pose e forme esclusivamente attraverso le parole. Un altro elemento ricorrente nella sua pratica è la rielaborazione di aerei militari, spesso trasformati in oggetti brutali, sensuali o comici: utilizzati come materiali d’installazione o animati da una presenza quasi vivente.
Nel film Pranayama Organ (2021), due aerei militari gonfiabili appaiono lentamente su una spiaggia desolata. Il film evolve in una performance rituale, messa in scena da due figure travestite da caccia militari – una delle quali è l’artista stessa – dove umano e automa si affrontano in un corteggiamento comico e inquietante tra danza e combattimento.
Nel 1997 Banner ha fondato la sua casa editrice indipendente, The Vanity Press, con la pubblicazione del monumentale The Nam. Da allora ha pubblicato numerose opere sotto forma di libri, oggetti scultorei e performance. Nel 2009 si è autoattribuita un numero ISBN, registrandosi come pubblicazione sotto il proprio nome.
Rossella Biscotti
Rossella Biscotti (nata nel 1978 a Molfetta, Italia; vive e lavora tra Bruxelles, Belgio e Rotterdam, Paesi Bassi) utilizza, nella sua partica artistica, il montaggio come gesto per rivelare narrazioni individuali e la loro relazione con la società, mettendo in luce i dispositivi che costruiscono queste narrazioni. Attraverso un approccio transmediale che attraversa cinema, performance e scultura, Biscotti esplora e ricostruisce momenti sociali e politici recenti a partire dalle esperienze soggettive degli individui, spesso in contrasto con sistemi istituzionali violenti e repressivi.
Integrando vissuto personale e narrazioni orali, l’artista costruisce un racconto “non ufficiale” della storia, che si colloca ai margini del discorso dominante. Spesso partendo da un luogo fisico d’indagine, intreccia con sensibilità racconti divergenti e anche contraddittori, dando vita a nuove narrazioni visive. Analizzando i materiali recuperati da una prospettiva contemporanea, Biscotti stabilisce connessioni con il presente, attivando l’immaginazione, la memoria e l’esperienza dello spettatore.
Monica Bonvicini
Monica Bonvicini (nata nel 1965 a Venezia, Italia; vive e lavora a Berlino, Germania) si è affermata come artista visiva e ha iniziato a esporre a livello internazionale a metà degli anni Novanta. La sua pratica eclettica ma rigorosa – che indaga il rapporto tra architettura, potere, genere e sessualità, spazio, sorveglianza e controllo – si traduce in opere che mettono in discussione il significato del fare arte, l’ambiguità del linguaggio, i limiti e le possibilità legati all’ideale di libertà. L’arte di Bonvicini è sarcastica, diretta e colma di riferimenti storici e socio-politici; non si astiene mai dallo stabilire un rapporto critico con i luoghi in cui è esposta, i materiali che la compongono e i ruoli di spettatore e creatore. Questo approccio, che è stato al centro della sua produzione sin dalla prima mostra personale presso il California Institute of the Arts nel 1991, si è evoluto formalmente nel corso degli anni senza tuttavia tradire la forza analitica che lo caratterizza, o cessare di mettere alla prova le posizioni dello spettatore, prendendo a colpi le convenzioni socio-culturali.
Latifa Echakhch
Latifa Echakhch (nata nel 1974 a El Khnansa, Marocco; vive e lavora in Svizzera) introduce spesso elementi legati a "ricordi culturali", evocando relazioni complesse in cui il valore simbolico viene sottratto, e la sua assenza suggerisce nuovi significati e presenze. L’artista rielabora e riattiva oggetti trovati, straniando l’ordinario e mettendo in discussione il significato che vi proiettiamo. Solo quando gli oggetti apparentemente noti vengono svuotati del loro significato originario diventano leggibili in molteplici modi. Attraverso riferimenti e appropriazioni di archetipi e ideologie del modernismo e oltre, Echakhch riflette sulla percezione spesso pregiudiziale delle identità nazionali e religiose. Le sue opere, al tempo stesso poetiche e concettuali, interrogano la semantica dei paradigmi culturali offrendo, al loro posto, ciò che l’artista definisce una “trasfigurazione poetica”.
yasmine eid-sabbagh
yasmine eid-sabbagh (libanese, nata nel 1980 a Parigi, Francia; vive e lavora a Dakar, Senegal) nella sua pratica artistica, esplora le potenzialità dell’azione umana attraverso processi collettivi e sperimentali. Questi includono iniziative di (contro)archiviazione, come il progetto di negoziazione per un potenziale archivio digitale (ri)assemblato in collaborazione con gli abitanti di Burj al-Shamali, un campo profughi palestinese nei pressi di Tiro, in Libano, dove ha vissuto stabilmente dal 2006 al 2011. Importanti anche i progetti pedagogici radicali come Ses Milanes-créixer a la natura, un’iniziativa autogestita rivolta a famiglie con bambini tra i 2 e 6 anni fondata nel 2020 a Bunyola, in Spagna, che utilizza la natura (bosco e orti comunitari) come unica infrastruttura promuovendo un’educazione comunitaria e consapevole. La fotografia è spesso il mezzo attraverso cui l’artista indaga le nozioni di collettività, potere e resistenza: ne sono esempio il suo impegno come membro della Arab Image Foundation (arabimagefoundation.org), istituzione archivistica guidata da professionisti del settore, e la sua ricerca di dottorato in Teoria dell’Arte e Studi Culturali presso l’Accademia di Belle Arti di Vienna.
Cécile B. Evans
Cécile B. Evans (americano-belga, nasce nel 1983 a Cleveland, USA; vive e lavora a La Plaine Saint Denis, Francia). Esplora, nelle opere, il valore dell’emozione e della ribellione alle sovrastrutture ideologiche, fisiche e tecnologiche. Lavora con video, installazioni digitali, sculture interattive e performance utilizzando animazione, live action e software audiovisivi per creare narrazioni altre che mettano in discussione le strutture emozionali della contemporaneità.
Dominique Gonzalez-Foerster
Dominique Gonzalez-Foerster (nata nel 1965 a Strasburgo, Francia; vive e lavora a Parigi, Francia e Rio de Janeiro, Brasile) è riconosciuta a livello internazionale per una ricerca che esplora le relazioni cognitive e sensoriali tra spazi e corpi, movimento, comportamento e identità, nonché sulla costruzione di ambienti che fanno diretto riferimento alla letteratura, alla musica e all’architettura. Nel suo lavoro, che abbraccia fotografia, film, performance e installazioni spaziali, i codici della rappresentazione dello spazio sono spesso proiettati come scenografie teatrali, mettendo in discussione la presunta neutralità degli spazi espositivi. Le sue composizioni immersive invitano lo spettatore a un ruolo attivo, stimolando soggettività influenzate dal passato, dal futuro e dalla finzione.
Mona Hatoum
Mona Hatoum (palestinese, nata nel 1952 a Beirut, Libano; vive e lavora a Londra, Regno Unito) il suo lavoro poetico e politico si sviluppa attraverso una vasta gamma di media e affronta temi legati allo sradicamento, alla marginalizzazione e ai sistemi di controllo sociale e politico. Hatoum divenne nota alla metà degli anni Ottanta per una serie di performances e video che si concentravano, con grande intensità, sul corpo. Agli inizi degli anni Novanta il suo lavoro si è orientato verso le installazioni di larga scala, che mirano a impegnare lo spettatore in contrastanti emozioni di desiderio e repulsione, fascino e timore. L’artista ha sviluppato un linguaggio nel quale oggetti domestici di uso comune come sedie, letti, culle e utensili da cucina sono trasformati in oggetti sconosciuti, minacciosi e a volte pericolosi.
Emily Jacir
Emily Jacir (nata nel 1970 a Betlemme, Palestina; vive e lavora a Betlemme, Palestina, e Roma, Italia) è un’artista e regista, la cui ricerca artistica affronta questioni legate alla traduzione, ai processi di trasformazione e di resistenza, alle narrazioni censurate e rimosse dai discorsi egemonici. Il suo lavoro si sviluppa attraverso l’utilizzo di media espressivi che includono la fotografia, il cinema, la scultura, l’installazione, i gesti performativi e la ricerca storica e d’archivio. Esplora il movimento personale e collettivo attraverso il tempo e lo spazio, analizzandone le implicazioni sull’esperienza fisica e sociale nello spazio-tempo transmediterraneo. Attribuendo valore a rituali come danze, processioni e giochi, l’artista traccia i modi in cui lo spazio, la collettività e la memoria vengono rivendicati. Attiva nell’ambito dell’educazione in Palestina dal 2000, Jacir si è fortemente impegnata nella creazione di spazi alternativi per la produzione di conoscenza, a livello locale e internazionale. È fondatrice di Dar Yusuf Nasri Jacir for Art and Research, centro d’arte e ricerca con sede a Betlemme.
Jasleen Kaur
Jasleen Kaur (nata nel 1986 a Pollokshields, Glasgow, Regno Unito; vive e lavora a Londra, Regno Unito), nel suo lavoro indaga il rapporto tra identità, comunità e memoria attraverso materiali di uso quotidiano
come fotografie e oggetti di consumo concentrandosi sulle storie e sulle persone non visibili nei racconti
ufficiali.
Katerina Kovaleva
Katerina Kovaleva (nata nel 1966 a Mosca, Russia) è un’artista multidisciplinare, la cui pratica si sviluppa tra grafica, collage, scultura e installazione. Al centro del suo lavoro c’è un’indagine profonda sul rapporto tra memoria e identità, tra storia collettiva e vissuto personale. Attraverso l’uso di materiali d’archivio, documenti, fotografie e oggetti trovati, Kovaleva costruisce narrazioni visive che riflettono sulle tracce del passato, sui processi di oblio e sulla trasformazione culturale e sociale. Il suo approccio stratificato e poetico mescola elementi documentari e immaginari, dando vita a opere in cui la materia diventa veicolo di memoria e riflessione. Spesso, nei suoi progetti, emerge l’interesse per il paesaggio – fisico o simbolico – e per luoghi segnati da transizioni o marginalità, che diventano metafore di fragilità, attesa o dissoluzione. Kovaleva dà forma a una pratica che coniuga ricerca storica, intuizione artistica e sensibilità politica, costruendo spazi visivi in cui il tempo si stratifica e l’esperienza individuale si intreccia con i grandi movimenti della storia.
Teresa Margolles
Teresa Margolles (nata nel 1963 a Culiacán, Sinaloa, Messico; vive e lavora tra Madrid, Spagna e Città del Messico, Messico). La sua pratica artistica indaga le cause sociali e le conseguenze della violenza. Per Margolles, l’obitorio rappresenta uno specchio fedele della società, in particolare di quella messicana, segnata da morti legate al narcotraffico, alla povertà, alla crisi politica e all’inefficace risposta delle istituzioni. Attraverso un linguaggio visivo essenziale e potente, dà voce ai soggetti “silenziati” — le vittime considerate come “danni collaterali” del conflitto.
Helina Metaferia
Helina Metaferia (etiope-americana, nata nel 1983 a Washington, USA; vive e lavora a New York, USA) è un’artista interdisciplinare la cui pratica spazia tra collage, assemblaggio, video, performance e pratiche partecipative. Il suo lavoro si alimenta di materiali di archivio come scritti, testimonianze orali e storie che si trasformano in arte. Con ritagli, collage e assemblaggi crea una poetica visiva che porta in superficie storie marginalizzate e della diaspora promuovendo partecipazione comunitaria e processi di cura e trasformazione politica.
Janis Rafa
Janis Rafa (nata nel 1984 ad Atene, Grecia; vive tra Amsterdam, Paesi Bassi e Atene, Grecia). La ricerca artistica di Rafa si sviluppa, attraverso diversi linguaggi, dai lungometraggi a narrazioni visive più brevi, da ambienti immersivi con gesti scultorei a disegni e testi — per creare ambienti ed esperienze coinvolgenti. Il suo lavoro, spesso incentrato sulla relazione tra esseri umani e animali, esplora schemi apparentemente contraddittori come amore, desiderio e seduzione, ma anche dolore e penetrazione, giochi di potere e intrusione, trauma e controllo. L’animale agisce spesso come simbolo, emblema o parabola, con l’obiettivo di raccontare gli aspetti sfaccettati delle dinamiche storiche e psicosociali, erotiche e interpersonali, sollevando una domanda fondamentale: fino a che punto possiamo sfidare i nostri sensi e linguaggi per vedere attraverso e oltre l’ovvio? Questi temi complessi sono al centro della pratica artistica di Janis Rafa, che si sviluppa attraverso diversi linguaggi: dai lungometraggi a narrazioni visive più brevi, da ambienti immersivi con gesti scultorei a disegni e testi. Le sue opere creano esperienze sensoriali profonde, in cui il rapporto tra esseri umani e animali diventa punto di partenza per esplorare tensioni e contraddizioni: amore, desiderio e seduzione, ma anche dolore, penetrazione, giochi di potere, intrusione, trauma e controllo. L’animale diventa spesso simbolo, emblema o parabola, attraverso cui affrontare le molteplici sfaccettature della storia e della psiche, dell’erotismo e delle relazioni interpersonali. Il lavoro di Rafa solleva infine una domanda essenziale: fino a che punto siamo disposti a mettere in discussione i nostri sensi e i nostri linguaggi, per riuscire a vedere attraverso — e oltre — l’apparenza delle cose?
Zineb Sedira
Zineb Sedira (nata nel 1963 a Gennevilliers, Francia; vive a Londra, Regno Unito e lavora tra Parigi, Algeri e Londra). Il lavoro di Sedira esplora i temi dell’identità post-coloniale, della memoria dei migranti e del paesaggio come testimone della storia. Utilizza video fotografia, installazioni e documentazione con una forte componente autobiografica. In opere come Dreams Have No Titles, presentata al Padiglione Francia alla Biennale di Venezia nel 2022, mescola la propria biografia con il cinema militante algerino e francese degli anni 60 e 70 trasformando l’archivio in un racconto politico.
Nora Turato
Nora Turato (nata nel 1991 a Zagabria, Croazia; vive e lavora ad Amsterdam, Paesi Bassi). La ricerca artistica di Turato si sviluppa attraverso installazioni testuali, stampe, libri e performance, con il linguaggio come fulcro concettuale e formale. Attingendo sia a testi raccolti che a scritti originali, Turato canalizza il flusso costante del discorso pubblico in narrazioni personali che rielabora, decostruisce e ricompone in una pratica articolata e stratificata.
L'artista lavora per cicli periodici che definisce "pools" (bacini), in cui riflette su tendenze culturali e sociali contemporanee, soffermandosi in particolare sul linguaggio e sullo spirito del tempo che ne segnano i cambiamenti. Ogni ciclo è accompagnato da una pubblicazione artistica – anch’essa intitolata pools – che Turato descrive come una sorta di “rapporto annuale” dei testi e delle espressioni raccolti nell’arco dell’anno.