Ecco com’è la primissima mostra della nuova galleria Thaddaeus Ropac a Milano

Dopo l’annuncio a inizio anno, la nota galleria Thaddaeus Ropac ha inaugurato la sua nuova sede nello storico Palazzo Belgioioso con un progetto che vede protagonisti Georg Baselitz e Lucio Fontana

Dopo mesi di attesa, è stata finalmente inaugurata la sede milanese della nota galleria Thaddaeus Ropac, a Palazzo Belgioioso, con la mostra L’aurora viene, dedicata a Georg Baselitz e Lucio Fontana. L’esposizione ripercorre il profondo interesse dell’artista tedesco per il lavoro del maestro italo-argentino, evocando la dimensione cosmica e infinita che si estende oltre la tela. Le ricerche dei due artisti hanno in comune la sensazione che l’apparente distruzione messa in atto dalle loro opere possa portare ad un rinnovamento.

Il legame che unisce Georg Baselitz e Lucio Fontana

Sebbene i due artisti non si siano mai incontrati, Fontana ha esercitato un ruolo fondamentale nella ricerca artistica di Baselitz(Kamens1938), che ha scelto di avere uno studio in Italia. Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé, 1899 – Comabbio,1968) ha infatti vissuto e lavorato per gran parte della propria vita a Milano e qui, nel 1931, ha esposto per la prima volta le sue opere. La mostra pone in dialogo i due artisti con dipinti e sculture realizzati da Baselitz nell’ultimo decennio e lavori di Fontana datati dagli anni Trenta agli anni Sessanta. Tra questi, un nucleo di opere è stato concesso in prestito dalla Fondazione Lucio Fontana. “Un confronto ideale e sorprendente”, commenta Silvia Ardemagni, Presidente della Fondazione Lucio Fontana. “Questo consente di indagare nel profondo le ragioni che sottendono le creazioni artistiche, mettendo in scena un immaginario e una sensibilità comune, sebbene svolta con modalità differenti. Questo progetto dimostra quanto il lavoro di Fontana sia ancora vivo e attuale e leopere di Baselitz – che in molti casi evocano Fontana nel loro titolo – sono state straordinarie alleate in tal senso”.
“Apriamo questa nuova sede a Milano con una mostra che abbiamo pensato fin dall’inizio come un omaggio all’italianità e alla città. È una bi-personale che mette in dialogo due figure fondamentali: Georg Baselitz e Lucio Fontana. Baselitz è uno dei grandi artisti della galleria, con cui Thaddaeus Ropac lavora da oltre trent’anni. Si conoscono dai primi Anni Ottanta, da quando Ropac ha aperto la sua prima galleria, nel 1983”, ha spiegato Elena Bonanno di Linguaglossa, alla direzione della sede milanese.

Georg Baselitz e Lucio Fontana, L'aurore viene, installation view at Thaddaeus Ropac Milano. Photo Roberto Marossi. Courtesy Thaddaeus Ropac.
Georg Baselitz e Lucio Fontana, L’aurore viene, installation view at Thaddaeus Ropac Milano. Photo Roberto Marossi. Courtesy Thaddaeus Ropac.

Le opere in mostra da Thaddaeus Ropac a Milano

La selezione di opere di Georg Baselitz include una nuova scultura monumentale in bronzo posta davanti all’ingresso, nell’elegante cortile di Palazzo Belgioioso, insieme a una recente serie di dipinti, composizioni dai centri vuoti e non illuminati e figure sospese che sembrano emergere da fondali oscuri. Questi lavori rievocano l’esplorazione di Fontana su ciò che si estende oltre la superficie della tela, tracciando un’affinità poetica e concettuale tra i due artisti. A dimostrazione dell’evoluzione di questa esplorazione condotta da Fontana, i lavori esposti includono sculture “barocche” databili dal 1937 sino agli anni Cinquanta, una selezione di Concetti spaziali e alcune iconiche Attese realizzate a partire dagli anni Sessanta, accanto ad esempi significatividelle serie Gessi (1954-1958), Inchiostri (1956-1959) ed una rara Fine di Dio (1963-1964). “Nell’evoluzione della nuova spazialità che definisce l’opera di Baselitz”, ha scritto Fabrizio Gazzarri“è in atto una liberazione progressiva che getta via tutta la materiaoppressiva ed eccessiva. In questa rimozione della materia, la gravità perde la direzione; le strutture compositive si rompono, assumendo un nuovo ordine che obbedisce ad altre leggi, ad altre dimensioni potenziali (cosmiche?)”.

La mostra di Georg Baselitz e Lucio Fontana a Milano

Figure spettrali e manifesti

Tra le opere recenti di Baselitz catturano immediatamente l’attenzione le figure spettrali che si stagliano capovolte e sospese nello spazio pittorico. Queste immagini prendono ispirazione da un sogno, nel quale l’artista ha visto la sua pelle ‘strappata dal centro e divisa in due’. Durante gli ultimi due decenni l’artista è tornato quasi compulsivamente su questo tema. Il suo trattamento leggero, talvolta quasi effervescente, della pittura suggerisce l’invecchiamento del corpo, mentre le modalità compositive, emergenti da fondi monocromatici, sembrano affiorare dal retro del supporto, richiamando allo spettatore lo scavo e la penetrazione delle profondità della tela tipici della pratica di Fontana. Emerge un parallelismo tangibile con le nuove leggi che Fontana ha stabilito nei suoi manifesti, scritti tra la fine degli anni Quaranta e i primi Cinquanta, in cui ha formulato le teorie dello Spazialismo. Fontana credeva che, al fine di realizzare una nuova arte in linea con i tempi coevi, l’Era Spaziale, fosse necessario aprire la tela al cosmo infinito che si estende oltre la sua superficie.

La dimensione cosmica e la fine

I centri scuri delle prime opere di Baselitz rimandano esplicitamente agli ultimi tagli di Fontana. Un’opera di questa serie, Aurora viene (2015), dà il titolo alla mostra, evocando la dimensione cosmica e infinita che si estende oltre la tela. La composizione presenta la raffigurazione di un paio di gambe capovolte, con all’estremità della tela delle scarpe, che attirano lo sguardo del visitatore verso il centro compositivo, che è vuoto. “Da lì”, ha spiegato Baselitz, “dovrebbe fluire, diffondersi espandersi verso i bordi”.

Questo abisso centrale rappresenta una rottura sia con le sue precedenti composizioni sia con le norme della storia dell’arte ed è il frutto della sua riflessione su Fontana: “Taglia una fessura al centro della sua tela e immerge lo sguardo dello spettatore nell’oscurità. L’artista ha in mente qualcosa di molto specifico, che si trova al di fuori del quadro. La fenditura è come una visione del cielo, dell’eternità”. In mostra viene presentato uno straordinario esempio della serie Fine di Dio di Fontana, considerata da molti come l’apice della sua pratica. L’artista ne ha realizzate 38, dal 1963 al 1964. La sua forma ovale rappresenta l’origine e l’assoluto. 

Il punto in comune dei due artisti

Le ricerche artistiche condotte dai due artisti hanno in comune la capacità di restituire la sensazione che l’apparente distruzionemessa in atto dalle loro opere possa portare ad un rinnovamento. Un indizio si ritrova nelle prime opere di Fontana presentate in mostra – che testimoniano il lavoro precedente alla teoria dello Spazialismo – in cui l’artista oscillava tra astrazione e figurazione, referenzialità e sperimentazione. Ogni opera era un audace atto di ‘persiflage’, come lo definì Baselitz, uno spiazzamento consapevole delle convenzioni artistiche. Poi è arrivato il gesto conclusivo della perforazione. Secondo Baselitz, all’epoca del suo primo incontro con l’opera di Fontana (a Berlino nei primi anni Sessanta) “il nero del taglio apriva a un barlume di speranza; la speranza cioè che, nel mezzo, potesse esserci qualcosa”. L’incontro tra i due artisti dà vita a un dialogo che attiva la percezione latente dell’unione tra il cosmico e il corporeo che si cela sotto la superficie delle loro opere, incentrate sull’infinita materia oscura che entrambi esplorano. Il taglio è stato l’aurora dell’impegno di Baselitz con Fontana: il punto di partenza per un dialogo più profondo. Aggiunge Barbero: “È lì, in quella fenditura, che Baselitz ha potuto vedere l’arte diventare la soglia tra il suono e la visione, tra la carne e lo spazio e tra il gesto e l’inizio: una nascita della forma che non è data, ma ha origine”.

La sede meneghina a Palazzo Belgioioso di Thaddaeus Ropac

I nuovi spazi della sede milanese della galleria si trovano nello splendido Palazzo Belgioioso, progettato da Giuseppe Piermarini nel 1772. Thaddaeus Ropac Milano si estende per 400 metri quadrati all’interno dello storico palazzo e costituisce la settima sede della galleria (le altre si trovano a Londra, Parigi, Salisburgo e Seoul). La galleria porta avanti un impegno di lunga data nei confronti scena artistica italiana. La sede di Milano è il punto di riferimento per le attività della galleria in tutta Italia, tra cui il sostegno ai propri artisti in occasione di mostre organizzate nel periodo della Biennale di Venezia, come aveva raccontato Thaddaeus RopacLa prossima mostra? Un doppio progetto dedicato a VALIE EXPORT e Ketty La Rocca.

Giulia Bianco

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Giulia Bianco

Giulia Bianco

Ha frequentato a Milano il Master Economia e Management per l'Arte e la Cultura della 24Ore Business School. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Catania con tesi dal titolo “I contratti nel mondo dell’arte”, è specializzata in diritto…

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