Sirāt. Il film che ha spiazzato il Festival di Cannes 2025
Un viaggio mistico e tribale, condotto da un gruppo ristretto di raver emarginati e nel deserto del Marocco, che in realtà nasconde una metafora sull’umanità e i suoi drammi. Qui il trailer
La festa è finita. Non c’è altro modo per dirlo: Sirāt è un film potentissimo, che spiazza e lascia inermi. Una Via Crucis che si svolge nel cuore del deserto marocchino e che non lascia scampo alle emozioni più forti, dall’euforia al dramma.
Inizia con un travolgente rave in cui un padre cerca la propria figlia per poi trasformarsi in una storia del tutto impensabile e inattesa, passando dalla musica techno all’assenza di suoni (se non quelli delle bombe!). Presentato in Concorso al 78esimo Festival di Cannes, Sirāt, diretto da Oliver Laxe (premiato nel 2019 dalla giuria di Un Certain Regard per Viendra le Feu), è un viaggio mistico che compiono tanto i personaggi quanto gli spettatori.
Sirāt: un viaggio tribale con le musiche di Dj Kangding Ray
L’uomo che cerca la propria figlia non è solo, è accompagnato dal figlio piccolo e dal cane. Insieme compiono un viaggio tribale al seguito di un gruppo di emarginati abituati alle sfide del deserto (anche, come vedremo, non del tutto).
In Sirāt la musica e la famiglia sono le chiavi della narrazione. La prima, orecchiabile e grezza, composta dal DJ francese Kangding Ray, rimanda ad uno stato di trance in cui perdersi per poi schiantarsi. La seconda riguarda sia quella di sangue sia quella che capita, che si sceglie lungo la strada della vita. Curiosità: i raver del film lo sono veramente nella vita e non sono attori professionisti.
Una storia a metà tra paradiso e inferno
Tra i riferimenti cinematografici di Sirāt ci sono diversi film cult. Tra i titoli più riconoscibili e intuibili ci sono la saga di Mad Max, Strade perdute di David Lynch, L’uomo che ha stregato di William Friedkin, Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, Gerry di Gus Van Sant e persino Nomadland di Chloé Zhao.
Quello che è certo è che Sirāt è una grande metafora dell’umanità, dei suoi drammi (come le guerre folli e improvvise) e dei suoi margini (o emarginati!). Profetico è il suo stesso inizio in cui, su schermo nero, si può leggere una frase appartenente alla tradizione islamica: “Sirat è il ponte tra paradiso e inferno, sottile come un capello e affilato come una lama”.
Un film contemporaneo ed essenziale
“Volevo che fosse un film popolare, con cui i giovani potessero entrare in sintonia”, ha raccontato il regista a Variety. “È un pubblico difficile da raggiungere, ma ha bisogno di storie che parlino di trascendenza. Pur essendo influenzato da registi come Bresson e Tarkovskij, penso anche a dove siamo arrivati come società. C’è un parallelo con il cinema americano degli Anni ‘70, con la violenza, la luce, la controcultura e il desiderio spirituale. Credo che Sirāt sia il mio film più contemporaneo”.
Ruvido, simbolico e anche umanista, Sirāt è destinato ad essere uno dei film che si ricorderanno di questa edizione del Festival di Cannes. Un film trascendente ed essenziale in cui il vagabondaggio fisico, mentale ed emotivo ha un valore potentissimo. Sirāt, già dalla sua etimologia, è un rito di passaggio in cui non c’è nessun eroe, ma solo uomini e donne annientati dalla imprevedibilità della vita.
Margherita Bordino
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